mercoledì 24 dicembre 2008

Letterina a Babbo Natale

Caro Babbo Natale,

lo so che sono troppo grande per rivolgermi a te, e poi da un po’ di tempo non credo nemmeno più alla tua esistenza, ma facciamo finta che io sia ancora piccolo. Tanto per te, uno in più uno in meno, non credo che faccia tanta differenza.

E poi non voglio nemmeno chiederti regali per Natale. No, ho già tutto quello che mi serve, più o meno, e quello che non ho posso procurarmelo da solo. Vorrei invece che tu mi liberassi di qualcosa, con un colpo di bacchetta magica o in un altro modo, vedi tu. Le risorse non ti mancano.

Liberami, per favore, dei telethon, delle partite del cuore e di tutte le altre forme di beneficenza-spettacolo che infestano l’Italia in questo periodo.

Liberami dei gratta e vinci, dei superenalotto e di tutti i totoqualchecosa che illudono i gonzi e ingrassano solo questo stato biscazziere.

Liberami dei falsi babbi natale nelle piazze, dei falsi zampognari che scendono dalle montagne, degli abeti di stoffa, dei presepi con la carta stagnola, dei mercatini finto-etnici che puzzano di incenso e risuonano di sonorità andine, dei cenoni e dei botti di fine anno, e del consueto bollettino di guerra del giorno dopo.

Liberami delle pubblicità stupide: degli scoiattoli e dei pinguini che salvano il mondo a colpi di scoregge, degli antichi vasi che devono essere salvati, delle banche circolari costruite intorno a te, dei bambini istupiditi dai pandori e dai panettoni, delle automobili che danzano e che volano, dei mulini bianchi e delle fattorie, delle tribù che parlano in eterno a zero centesimi, dei cavernicoli che ringano 12-54.

Liberami della TV spazzatura, delle veline, delle letterine, delle isole, delle talpe, degli amici, dei grandi fratelli, delle carrambe, delle domeniche in famiglia, delle maratone di ballo, dei porta a porta, delle interminabili dirette da Piazza San Pietro.

Liberami delle banalità dei calciatori, dei rotocalchi scandalistici, delle approssimazioni linguistiche dei giornalisti, dei neologismi e dei barbarismi non necessari, delle scritte volgari sui muri, dei luoghi comuni, degli allarmismi inutili, dei tormentoni per fare audience, delle discoteche con tutta la loro brutta musica e il loro corredo di idioti che si spiaccicano per le strade.

Liberami della mummia che siede al Quirinale, dei federalisti in cravatta verde e del loro losco caporione, del bravo ragazzo che dovrebbe opporsi e non lo fa, dei politici corrotti, indagati o condannati, dei voltagabbana e dei portaborse, dei sindacalisti di comodo e degli statali fannulloni.

Liberami della presenza ingombrante del Vaticano, del suo pastore tedesco e dei suoi lacchè, in abito talare o meno.

Liberami di quest’Europa costruita a tavolino senza che nessuno si degnasse mai chiederci la nostra opinione, del suo fottuto euro e delle sue fottute direttive.

Liberami, infine, se puoi, dell’imprenditore / presidente del Milan / politico / intrattenitore / faccio-tutto-io che guida le sorti degli italici destini. Sì, lo so che questa è un po’ più difficile, ma da qualche parte del mondo ci sarà pure qualcuno che crede ancora alle favole.

Grazie.

venerdì 12 dicembre 2008

Piove, governo ladro!

Piove, governo ladro! Così si diceva una volta, e dal momento che nei detti popolari c'è sempre un sottofondo di verità bisogna dedurne che la disaffezione dei cittadini nei confronti dei suoi governanti non è cosa di adesso. Anche se tutto autorizzerebbe a pensare che invece l'abbia provocata la pochezza degli ultimi governi che si sono succeduti in Italia.

Be', comunque piove da ieri, dalle mie parti, e a Roma non stanno messi meglio, ma per continuare con la mia metafora meteorologico-politica, facciamo un salto indietro di quasi mezzo secolo.
1962. In quell'anno uscì un film che avrebbe fatto epoca. Si chiamava "Il sorpasso", era diretto da Dino Risi e interpretato da un mostruoso Vittorio Gassman, insieme a Jean-Louis Trintignant e Catherine Spaak. Mi è capitato di rivederlo qualche giorno fa in TV e mi ha lasciato di stucco. Ci ho ritrovato dentro l'Italia felice e ottimista di allora, abbagliata dal boom, quando governavano i democristiani, i soldi giravano, il twist impazzava e tutto sembrava a portata di mano. Ci ho anche trovato me stesso sedicenne, nei panni dello studentello impacciato e secchione che si lascia sedurre dal cialtrone di turno. Perché anch'io ero un po' come lui, e cercavo di esorcizzare la mia timidezza frequentando amici più "scafati". Che poi ogni tanto mi hanno anche mollato qualche fregatura.
Ma insomma, tornando all'Italia degli anni sessanta, era davvero un mondo pieno di ottimismo e di fiducia, in cui l'invadenza dei media non era ancora così forte e dunque non ci ritrovavamo fra i piedi ogni giorno le avvilenti pantomime del potere, e gli uomini politici ci sembravano tutti belli e buoni, a parte qualche scandaletto ogni tanto che poi moriva lì.

Il sessantotto era ancora di là da venire, Kennedy era ancora vivo e la RAI aveva un solo canale, da cui faceva il bello e il  cattivo tempo. Niccolò Carosio esclamava a bassa voce "quasi gol", Mike Bongiorno e Giulio Andreotti già imperversavano (saranno mica eterni?), il Brasile di Pelè vinceva il Campionato del mondo in Cile, dove gli italiani furono presi a calci in culo. Io cominciavo allora a fumare, in quella sorta di rito di iniziazione che un tempo era quasi d'obbligo.
E Gassman diventò un modello che molti, dopo, purtroppo hanno imitato.

martedì 2 dicembre 2008

La mia vita in due parole

Stamattina, quando mi sono svegliato, non mi ricordavo affatto che oggi fosse il mio compleanno. Me l'ha ricordato Francesco con una telefonata di auguri mentre stavo beatamente traducendo. Poi altri sono stati così gentili da festeggiarmi, ma in sostanza devo ammettere che, non da adesso, il 2 dicembre è diventato un giorno come un altro.

Come amo dire scherzosamente, a questo punto più che festeggiare bisogna commemorare, stringere i denti e andare avanti. Superata una certa età, si perde anche il gusto della ricorrenza, forse perché è capitata già troppe volte per avere ancora voglia di celebrarla.
Con questo non voglio fare discorsi disfattisti, anzi, visto che sono in ballo, parlerò un po' di me, così potrete chiudere il collegamento e andarvi a distrarre con letture più amene.
Sono nato sessantadue anni fa nella ridente (ridente? Ma chi l'ha mai vista ridere? diceva Renato Pozzetto) città di Roma. In una nottata freddissima, sostenuta da mio padre, mia madre andò a piedi fino alla clinica (da Via Vittoria fin quasi a Piazza Risorgimento, fatevi un po' un'idea) tenendosi la pancia scossa dalle doglie e aggrappandosi a tutti i lampioni. Poco c'è mancato che nascessi per strada. Invece nacqui la mattina dopo, alle 10 e 40.

Figlio in qualche modo della guerra, o se preferite dell'immediato dopoguerra, devo aver patito anch'io le ristrettezze di quel periodo, ma non ne ho memoria. Mi si dice che da piccolo abitavo insieme ai miei in quel di Via Vittoria, in pieno centro storico, in un appartamentino fatiscente condiviso con un anziano zio. Nei paraggi era ancora pieno di case chiuse, dove i militari facevano la fila (e anche mia madre, una volta per sbaglio, credendo che distribuissero qualcosa da mangiare. E' un aneddoto che mi ha sempre fatto molto ridere). Ma i miei si amavano ed erano felici. Poi pian piano le cose sono migliorate, e ci siamo trasferiti in un bell'appartamentone in zona Flaminio. Mi ricordo ancora che durante il trasloco giocavo con una spazzola in mezzo alla segatura. Dopo quattro anni è nato mio fratello Stefano, che pare abbia dormito pochissimo per diversi mesi, riducendo mia madre sull'orlo dei suicidio. In seguito è diventato un bravo ragazzo, molto più simpatico di me. Più avanti siamo finalmente riusciti a tornare nel villino di Viale Vaticano che aveva costruito il mio nonno paterno nel lontano 1923. Si era finalmente liberato l'appartamento al piano di mezzo, e lì ho vissuto fino a quando non mi sono sposato.
Scuola elementare dalle monache (di quelle cattive, che davano le bacchettate sulle dita, ma io ne ho prese poche perché ero abbastanza diligente), poi le medie alla Ludovico Ariosto in Via Luigi Rizzo e il liceo scientifico al Plinio Seniore di Via Montebello, un orribile palazzone adibito con qualche fatica a edificio scolastico e popolato da loschi insegnanti senza qualità. Sopravvissuto a stento al liceo, sono poi rinato nel periodo universitario (Lingue e letterature straniere al Magistero, in Piazza Esedra). Laurea col massimo dei voti, magna cum laude. Quindi il servizio militare, prima a Bari poi a Roma, in aeronautica, altra esperienza da cancellare. Dopo qualche invenzione per mantenermi senza dover contare sempre sui soldi di papà, finalmente nel 1976 ho vinto un concorso statale per le biblioteche, e sono ancora qui, in una biblioteca, tutto sommato contento di aver sempre fatto lavori che mi piacevano.

Una vita come tante. Nulla di particolare. Ma a me sta bene. Non rimpiango quasi nulla del passato, e mi aspetto sempre qualcosa dal futuro. Un atteggiamento positivo che mi ha sempre aiutato. Come mi diceva oggi mia zia Adriana al telefono (80 anni suonati): alla nostra età, quando c'è la salute, che altro si può chiedere?

Ha ragione. Per un sagittario come me, poi, l'ottimismo è d'obbligo.

mercoledì 26 novembre 2008

L'era dell'usa e getta

La settimana scorsa ho avuto un problema alla parabola e sono rimasto per qualche giorno senza televisione. Sono sopravvissuto lo stesso. Comunque ho avuto bisogno del tecnico, che si chiama Duilio, e quando è venuto a sistemare il problema ci siamo messi a parlare. Lui ha un piccolo negozio in cui vende elettrodomestici e gli ho chiesto come andassero le cose, visto che i piccoli stanno chiudendo tutti, schiacciati dalla concorrenza con i centri commerciali, gli ipermercati e via dicendo.

Mi ha risposto che sopravvive, perché lui offre qualcosa che i suoi avversari non sono in grado di offrire: se stesso. Un rapporto ancora umano con il cliente, assistenza, consigli, competenza. Un po' come succedeva con il negozietto di frutta sotto casa. E poi ha aggiunto: "Però non è più come una volta. Oggi quasi nessuno si fa riparare niente. Butta via e ricompra".

Questo mi ha fatto pensare. E' vero, viviamo nell'era dell'usa e getta. Se hai, poniamo un televisore vecchio che si è rotto, non vale più la pena di metterci le mani. Magari non si trovano nemmeno i pezzi di ricambio, e alla fine ti ritrovi fra le mani sempre un televisore vecchio, dopo aver speso una cifra con la quale probabilmente potevi ricomprartelo nuovo, o quasi.

E' un trend irreversibile, e forse non c'è nemmeno da scandalizzarsi troppo. Però non posso fare a meno di pensare che una volta le cose non andavano così. Una volta non si buttava via niente. Avevi un paio di scarpe rotte? Le portavi a riparare dal ciabattino, che lavorava di martello e di chiodi e te le restituiva quasi nuove con una spesa modesta. Avevi un cappotto consumato? Lo facevi rigirare e ci andavi avanti per altri dieci anni. Ti avanzava qualcosa da mangiare? La riciclavi e la riproponevi il giorno dopo sotto altra forma. Ti serviva un vestito per la prima comunione? Una brava sarta era capace di trasformare il vecchio abito da sposa di mamma in un vestitino più che decoroso per l'occorrenza. E quando non serviva più se ne ricavava magari una tenda e un centrino per la tavola. Ti si sfilava una calza? C'era il modo di aggiustare anche quella.
Non sto dicendo che fosse meglio prima (anzi, con ogni probabilità era peggio), sto solo notando quanto sia cambiato il nostro modo di vivere. Una volta si campava di espedienti, e a volte ci si doveva ingegnare per farlo. Oggi non c'è nessun bisogno di faticare. La società dell'opulenza ti mette a disposizione tutto, più presto e spendendo di meno. Magari quello che compri durerà pochissimo, ma chi se ne frega? Quando sarà necessario si butta e si ricompra. Così facciamo contento Berlusconi.

martedì 18 novembre 2008

Scrivere partendo dal nulla

Che scrivete quando non avete niente da scrivere? Niente, appunto. Ecco, io sono bravissimo a scrivere di niente. Lo facevo a scuola, quando allungavo il brodo dei temi per arrivare almeno alla quarta facciata e per farli sembrare più profondi (qualche volta lo erano, dipendeva dalla qualità dell'ispirazione). Lo facevo quando scrivevo di cinema e magari dovevo parlare di un film brutto ma siccome non si può dire che un film è brutto e basta, allora bisogna inventarsi tutta un'architettura verbale per esprimere lo stesso concetto in modo diverso e più elegante. E lo faccio ancora adesso, qualche volta, se mi capita di dover scrivere qualcosa che proprio non mi esalta (tipo quando ti dicono "mi servono quattro pagine sul tale argomento", del quale non ti interessa una beneamata minchia), ma sono costretto a farlo lo stesso. La lingua italiana è così ricca di vocaboli e di locuzioni che davvero c'è solo il problema della scelta.

Ma la vuotezza di contenuti è anche una pratica diffusa in molti degli scrittori di oggi, anche in quelli che vanno per la maggiore. Non faccio nomi, per carità, ma ce ne sono alcuni che davvero si scrivono addosso, e alla fine del libro uno si domanda: embè? Che ha detto? Di che mi ha parlato? Di niente, infatti, ma lo ha fatto con una tale leggerezza, con una così sapiente scelta lessicale e sintattica che sembra abbia scritto un trattato filosofico. Forse è per questo che sugli scaffali delle librerie ci sono troppo libri. Ma basta con questi scrittori adolescenti, con le notti prima degli esami, con i romanzetti fantasy che spuntano a ogni pie' sospinto, con le storie minimaliste di banalità quotidiane che non interessano a nessuno, con i tormentoni psicologico-amorosi, le rimasticazioni dell'adolescenza che fu, i ricordi della guerra, i diari tirati fuori dal cassetto. Basta, apriamo un po' le finestre e facciamo prendere aria alla stanza....

Ecco, vedete? Ero partito con la testa vuota come una zucca e mi sono ritrovato come per miracolo a mettere insieme un discorso un po' polemico, se vogliamo, ma di una certa sostanza. Certe volte basta davvero limitarsi a prendere la penna (o la tastiera) in mano, e il soffio della creazione sgorga da solo. Provare per credere.

 

martedì 11 novembre 2008

L'elezione di Obama

Mi si chiede da più parti... be', non esageriamo, mi si chiede da almeno due parti di esprimere il mio pensiero sull'elezione di Obama.

Premesso che la mia opinione vale quello che vale, penso che tutti siamo d'accordo sull'assunto: meglio Obama che McCain. E che siamo anche d'accordo sull'altro assunto: peggio di Bush jr. nessuno potrà fare. Probabilmente anche il povero McCain sarebbe stato un presidente migliore.
Detto questo, però, non posso non esprimere anche una sensazione a fior di pelle. Obama è giovane, bello e abbronzato... oops, volevo dire di colore. E' troppo giovane, bello e di colore per essere vero. Sembra costruito su misura per andare incontro a istanze di rinnovamento sul piano anagrafico, estetico e razziale. Insomma, il presidente che tutti (o quasi) si auguravano dopo gli otto anni di grigiore dell'era Bush.

Non sarà forse un'operazione di facciata, un calcolato lavoro di maquillage, in sostanza la creazione del primo presidente degli Stati Uniti esclusivamente e totalmente mediatico, magari solo un bel burattino nelle mani di chi scuce i soldi? Perché di soldi ne ha spesi una valanga, il buon Obama, e non erano per niente suoi. Normale amministrazione, nelle elezioni americane: ci sono sempre degli sponsor che finanziano i candidati. Ma in cambio che chiedono? Che garanzia abbiamo che questo neopresidente dall'aria di bravo ragazzo (un po' kennediano, vogliamo dirlo?) sappia tirar fuori l'esperienza, il coraggio e la forza di scegliere veramente da solo?

Certo, dietro un presidente USA c'è sempre uno staff di superesperti al suo servizio (l'ho imparato in molti telefilm americani, tipo "24", e anche lì c'è un presidente nero, anzi ce ne sono due, perché il primo viene ammazzato), e dunque le sue decisioni in politica estera e in politica interna non sono mai del tutto sue, ma di un insieme di persone che però è lui a dover scegliere. E in un momento storico delicato come questo non ci si può più permettere di sbagliare.

Staremo a vedere. Per il momento godiamoci la festa anche noi. Come ha fatto il nostro premier, il quale deve avere una vocazione all'avanspettacolo, perché ogni tanto se ne esce con qualche battuta. Il problema è che nessuno le capisce, e allora è meglio che cambi mestiere (né politica né spettacolo, mi verrebbe da dire, ma nella vita non si può avere tutto).

Aridatece Totò.

martedì 4 novembre 2008

Perché mi chiamo Horselover

Mentre attendo trepidante la partita di stasera, fra i resti della Roma che fu e una delle squadre più forti d'Europa, mi sovviene che non ho mai spiegato al colto e all'inclita da dove derivi quello strano nick con cui mi presento in questo blog.

Horselover. Traducendo: colui che ama i cavalli. Ora, io non amo affatto i cavalli, anzi di loro non ne ne potrebbe fregare di meno. Casomai dovrei chiamarmi catlover, e invece ho scelto l'altro. Vi sarete chiesti perché (e se non lo avete fatto non posso biasimarvi, ci sono cose più importati nella vita a cui dedicarsi nelle ore libere).

La spiegazione è semplice, e ha a che fare con il mio scrittore preferito, quel Philip K. Dick di cui ogni tanto parlo e su cui prima o poi vi terrò una lezione di dottorato.
Dunque, dovete sapere che in uno dei suoi ultimi romanzi, dal titolo VALIS, Dick scelse di raccontarsi in un personaggio autobiografico che si chiama Horselover Fat. Be', questo non spiega niente, direte voi. E invece sì, perché il nostro che cosa fece, non avendo evidentemente nemmeno lui niente di meglio da fare? Modificò fantasiosamente il proprio nome (Philip) risalendo alla radice greca di Filippo, philippos, cioè amante dei cavalli, e tradusse il proprio cognome, ma questa volta utilizzando la lingua tedesca. Infatti "dick" in tedesco significa "grasso". In inglese "fat". Una commistione linguistica, un gioco, in sostanza, perché fra altre cose, quando non era in depressione, o alle prese con i suoi inferni personali, o perso in qualche mondo strano indotto dalla droga, Dick era un gran burlone.

Ecco spiegato l'arcano. Avrei potuto scegliere fra tanti altri nomi presi dai suoi romanzi: uno di quelli che mi piace di più è Joe Chip, e un altro Herbert Schoenheit von Vogelgang (anche se questo è un po' troppo lungo), ma Horselover mi intrigava perché ha qualcosa di fascinoso, di evocativo.
Però potete anche chiamarmi semplicemente Maurizio.

sabato 25 ottobre 2008

Il caro-vita

Qualche giorno fa ho comprato quattro arance in un piccolo supermercato del centro storico. Le ho pagate un euro e novantasette centesimi. Arance da spremuta, per di più. In pratica mi sono costate quasi mille lire l'una. Se considerate che per riempire un bicchiere di succo d'arancia ce ne vogliono almeno due (qualche volta tre) se ne deduce che la mia colazione (da qualche tempo faccio sempre colazione con toast, succo d'arancia e caffè) mi costa una piccola fortuna.

E' da tempo che vado meditando sul costo della vita e sulle sue implicazioni sociologiche. Oggi costa caro anche quello che una volta non costava niente (tipo le patate, il pane o il latte, per esempio ). E probabilmente non perché siano cari i prodotti all'origine, ma perché si è allungata (o forse ingarbugliata, in modo a volte sospetto) la catena che porta un determinato prodotto dalla terra (o dalla fabbrica) alla tavola.

Il che mi porta a concludere che si stava meglio quando si stava peggio. Tanti anni fa c'erano meno soldi, c'era meno scelta e forse meno qualità, ma anche il più squattrinato riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena. Comprava cose che costavano poco, e poi magari si concedeva il lusso della carne alla domenica. Insomma, non si moriva di fame.

Nemmeno oggi si muore di fame, intendiamoci, ma l'incidenza della spesa alimentare sul bilancio di una famiglia è aumentata sensibilmente, a detrimento di altre voci. E se veramente sei povero in canna, è difficile che riesci a mettere insieme un pasto decoroso con quattro soldi.
E poi oggi non si riutilizza niente, si butta via quasi tutto ciò che avanza nei piatti, mentre una volta si conservava scrupolosamente tutto, lo si riciclava, lo si rielaborava, lo si riproponeva sotto altra forma.
C'è davvero qualcosa che non va nel nostro modo di vivere.

mercoledì 15 ottobre 2008

Confesso di essere preoccupato

Confesso di essere preoccupato.

Non per me, che ho ormai superato da tempo l'età delle illusioni e mi aspetto solo una vecchiaia serena. Ma per chi verrà dopo, per le nuove leve (come si dice), per i giovani che sono (o dovrebbero essere) il futuro della nazione e del mondo.

Mi guardo intorno e che cosa vedo? Mercati impazziti che divorano centinaia di milioni di euro (ma dove andranno a finire?), acrobazie e contorcimenti per tenere in piedi una compagnia aerea che era il fiore all'occhiello dell'Italia e che invece diventerà non si sa bene cosa nelle mani di non si sa bene chi, comunque sempre sciacalli senza scrupoli, protetti da un governo miope e connivente. Ministri improvvisati che fanno e disfanno (da un po' tempo nel nostro paese c'è la sagra del cambiamento, un po' come a casa mia, dove ogni tanto mi diverto a spostare i mobili per vedere l'effetto che fa). Scrittori costretti a vivere sotto scorta perché hanno pubblicato un libro troppo scomodo in cui si raccontano cose che a Napoli sanno tutti, ma che non si possono mettere per iscritto. Tutti che gridano "non arrivo più a fine mese" e che si strafogano di gratta e vinci e di puntate al superenalotto, perché non si può mai dire, 80 milioni farebbero comodo a tutti, ma intanto sono strapieni di telefonini che fra un po' faranno anche il caffè. Il politically correct che impera sfiorando spesso il ridicolo (a quando la soppressione del termine "morto" in favore del più rispettoso "diversamente vivo"?). Potrei continuare.

Il tutto condito da un premier che continua bellamente a farsi gli affari suoi, senza nemmeno nasconderlo troppo, e di un'opposizione che si oppone in buona sostanza solo a se stessa, tanto una poltrona non si butta mai via (se gliene lasciano qualcuna, però) e tiriamo a campare.
Ma che mondo è? E soprattutto, dove è diretto? Che cosa ci aspetta, dietro l'angolo?

lunedì 6 ottobre 2008

Che fine ha fatto la Roma?

Che fine ha fatto la bella Roma di Spalletti? Quella squadra sbarazzina che giocava per il gusto di giocare e che sembrava avere detto di no al grigiore di un calcio esasperatamente tatticista e sparagnino? Quella squadra che per un paio d'anni ha dato spettacolo sui campi di mezza Europa?

Boh, me lo domando ormai da oltre un mese, dopo avere assistito sgomento a una serie di prestazioni scialbe, per di più con squadre che davvero non brillavano per qualità. E anche le vittorie non mi hanno dato la soddisfazione che provavo una volta.
Per dirla in poche parole, non mi diverto più a vedere giocare la squadra.
Certo, contano assenze pesanti, a cominciare da quella di capitan Totti, ma è una giustificazione fino a un certo punto, perché in altre occasioni, anche in situazioni di emergenza, la squadra ha sempre (o quasi) risposto sul campo nel migliore dei modi, sopperendo con l'impegno e la qualità dei sostituti, e potendo comunque sempre contare su un modulo di gioco che garantiva se non altro bel gioco e situazioni interessanti.

Invece la squadra quest'anno è spenta, come se improvvisamente fosse andata via la luce, e lo è ormai da diverse settimane. Anche prima capitava qualche capitombolo, qualche brutta figura, ma poi c'era sempre una reazione, e la luce tornava. Se pensiamo che l'anno scorso, su 38 partite, la Roma ne ha perse solo quattro, e che quest'anno è già a tre dopo appena sei giornate...
Fine di un ciclo? Speriamo di no, perché un altro Spalletti non lo si trova dietro l'angolo. Ha già fatto miracoli e forse non gli si può chiedere di più. Comunque lo capiremo tra poco. Se il gioco continua a latitare oltre un certo periodo di tempo, allora si deve parlare di crisi. Già un bel banco di prova ci aspetta fra due settimane, quando all'Olimpico scenderà la corazzata l'Inter, e la Roma dovrà affrontarla senza Panucci e Mexes. Ma forse con Totti.

lunedì 29 settembre 2008

Lucio Battisti e gli anni '60

29 settembre. Alzi la mano chi non ha mai cantato questa canzone. Il fatto che la data coincida con quella di nascita di un noto imprenditore prestato alla politica è pura combinazione e non deve sminuire il valore della canzone di Battisti.

Era il 1967 e già il decennio dei miracoli, dal punto di vista musicale, volgeva al termine. Era cominciato con la rivoluzione dei Beatles e trascinato anche da loro era andato avanti con una straordinaria fioritura di gruppi e solisti. Non starò qui a fare nomi, tanto li conoscete tutti, ma la qualità del prodotto musicale in quel decennio ha raggiunto vertici mai più uguagliati. Dopo sono venuti altri generi che progressivamente hanno impoverito la musica, trasformandola in merce usa-e-getta senza più anima, quasi tutta.

Ogni tanto riascolto quella musica e la scopro ancora attuale. C'è dentro una pulsione genuina, una spontaneità un po' ingenua, ma autentica, la convinzione che cambiare il mondo fosse possibile. Invece è stato il mondo a cambiare la musica, anche se per una breve stagione molti di noi hanno creduto il contrario. Lucio Battisti ha segnato un'intera generazione, della quale non rimane nulla, ma le sue canzoni e i suoi testi (anzi, i testi di Mogol) sono ancora lì a testimoniare un'epoca eroica fatta di sensazioni non di plastica, di personaggi non di cartone, di pubblico non ancora disposto ad accettare l'appiattimento del gusto musicale.

Ah, gli anni sessanta! Chi non li ha vissuti non sa che cosa si è perso...

Sono sparito per un po'

No, non sono sparito dalla circolazione. Non mi sono ritirato a vita monastica, non sono emigrato ai tropici (cosa che prima o poi mi piacerebbe fare).

Ho semplicemente partecipato a un corso di due settimane organizzato dal mio ministero per l'alfabetizzazione informatica dei suoi dipendenti. Così diventeremo tutti più bravi e preparati.
In effetti, trattandosi del pacchetto Office, la maggior parte delle cose le sapevo già, ma ho imparato qualcosa di nuovo, e oltre a rimborsarmi le spese di missione mi danno anche un premio di 150 euri a settimana. Non chiedetemi il perché, me le danno e io me le piglio.
Ho conosciuto gente nuova, ho anche ritrovato persone che non vedevo da trent'anni, ho mangiato manicaretti niente male (diverse cose di mare, visto che mi trovavo in Ancona) e, insomma, per un po' di tempo ho rotto con il consueto ritmo di vita.

Mi sono anche un po' stancato, visto che ogni giorno dovevo fare 130 chilometri in macchina. E per di più, ma me ne sono accorto troppo tardi, con gli ammortizzatori finiti. In pratica è stato come se camminassi su una macchina con le ruote di legno. Ogni buca, ogni dosso, ogni minima irregolarità del fondo stradale li sentivo moltiplicati per mille.

Ma tant'è, ormai è finita e da lunedì tornerò al tran tran di sempre, attaccherò una nuova traduzione e mi preparerò all'autunno imminente.

Senza più i miei adorati gatti dentro casa: sono riuscito a cacciarli tutti. Adesso mangiano e dormono fuori, e un po' mi dispiace perché mi facevano anche compagnia, ma la casa è molto più pulita e abitabile. Pronta ad ospitare, l'anno prossimo, l'adorato Lorenzo.

giovedì 4 settembre 2008

L'acceleratore di particelle

Preparatevi ragazzi, il 10 settembre potremmo scomparire in un buco nero insieme alla Terra (http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/scienza_e_tecnologia/big-bang-test/big-bang-test/big-bang-test.html). La notizia è di quelle che smuovono qualcosa dentro di noi, fantascienza ma non troppo, ma dal momento che tanto prima o poi dobbiamo morire, forse è meglio farlo così, in modo spettacolare, non credete?

Questa faccenda del LHC (Large Hadron Collider, un gigantesco acceleratore di particelle) mi ricorda un romanzo che ho tradotto una decina di anni fa: Flashforward (Avanti nel tempo), di Robert J. Sawyer, nel quale si racconta la disavventura di un gruppo di dipendenti del CERN di Ginevra che si ritrovano per un breve momento sbalzati con la mente nel futuro. Si vedono più vecchi, diversi, qualcuno si vede forse morto, e finita la cosa tutti cercano di capire che cosa sia veramente successo, se quello sia il loro futuro e se sia immutabile. Un romanzo intrigante e di piacevolissima lettura. Ricordo che allora mi posi la domanda: ma a che cacchio serve questo LHC che costa un sacco di soldi? La risposta è che serve a ricreare le condizioni al momento del Big Bang, a capire come stavano le cose subito dopo la nascita dell'universo.
OK, e quando lo avremo scoperto? In che modo ci aiuterà? Ci toglierà forse dai piedi Veltrusconi & C? Farà calare il prezzo della benzina? Illuminerà la mente degli idioti della domenica? Ci svelerà tutti i segreti di Lost? Niente di tutto questo. Per la vita di noi semplici umani che non contiamo niente non cambierà assolutamente nulla.

E allora? Allora niente, quell'acceleratore c'è e ce lo dobbiamo tenere. E, ripensandoci, speriamo che il mondo non finisca il 10 settembre (nel caso fosse così vi saluto tutti anticipatamente). Mi dispiacerebbe morire senza sapere se verrà costruito il ponte sullo stretto di Messina.
Ah, tanto per vostra informazione ho aggiunto qualche foto al mio blog. Sbrigatevi a guardarle prima di finire inceneriti...

giovedì 28 agosto 2008

L'operazione Gatti sciò

Ragazzi, che belle giornate! Da quando è finito quel periodo afoso si sta da dio. Tempo caldo quanto basta, aria profumata, serate fresche e luminose, che da casa mia offrono un fascinoso panorama di stelle.

E mentre mi godo questo scampolo di estate, ho finalmente dato il via all'operazione denominata: Gatti, sciò! Insomma, voi sapete che ho una vera e propria colonia felina, una ventina di simpatiche bestiole che hanno quasi tutti un nome e un posto nel mio cuore. Però la situazione si era fatta progressivamente sempre più pesante. Liberi di scorrazzare in certi ambienti, molti gatti ne avevano fatto praticamente la loro casa. Soprattutto d'inverno, perché si sa, i gatti non amano il freddo, e così si ammucchiavano a dormire uno sopra l'altro. Uno spettacolo affascinante, ma con qualche problema di pulizia.

E così, subendo il ricatto di Francesco che mi ha minacciato di non venirmi a trovare con Lorenzo se non avessi posto rimedio alla situazione, ho cominciato a darmi da fare. Adesso mangiano tutti fuori, e fra un po' dormiranno anche tutti (o quasi tutti) fuori. Con qualche eccezione: Robin, il gatto cieco, Marvin, il mio gatto preferito, e forse ancora uno o due.
Non dico che casa mia diventerà una reggia, ma quanto meno tornerà ad essere abitabile e soprattutto... a puzzare un po' di meno.

Ma nel frattempo sto anche pensando a mettere su una bella vasca con i pesci e le rane...

martedì 1 luglio 2008

Vado a conoscere il nipotino

Eh sì, Francesco è arrivato in Italia. Staremo un po' qui, poi partiremo insieme da Roma il 15, destinazione Taipei. Dove finalmente potrò vedere il mio nipotino. Oltre a ritrovare quel bel caldo da bagno turco che ha allietato i miei giorni  a Taipei/Hong Kong/Macao poco più di un anno fa. Ma per Lorenzo questo ed altro. Lascerò il mio prato, i miei animali, la mia tranquillità campestre per rituffarmi nel mondo variegato e operoso della metropoli taiwanese, mi sorbirò le mie 17 ore di volo senza fumare (e, ahimè, mi sarà giustamente proibito fumare anche in prossimità del piccolo), e prenderò appunti per un terzo Diario taiwanese.

Perciò mi congedo per un mesetto circa. Tornerò ad agosto con altre emozionanti avventure da raccontare.
Buona estate a tutti.

martedì 24 giugno 2008

La mia vecchia fiamma Emanuela

Vi ho già parlato della mia vecchia fidanzata che mi ha rintracciato tramite Internet. Con lei siamo in comunicazione da ormai diversi anni, e ci siamo anche rivisti, toccando con mano che gli anni passati non sono bruscolini, ma che dentro siamo rimasti (quasi) gli stessi.

Ebbene, un'altra mia vecchia fiamma si è rimessa in contatto con me: Emanuela detta un tempo Lilli. Non vuole che faccia il suo cognome, né comunque lo avrei fatto, perché sono un gentiluomo, ma mi ha autorizzato per iscritto a parlare anche di lei.

Qualcuno potrà domandarsi, con un po' di malignità, quante fiamme possa aver mai avuto il sottoscritto. Poche, ci tengo a dirlo: non sono mai stato uno sciupafemmine, anzi casomai sono loro che hanno sciupato me.

Emanuela detta Lilli è stata un'affettuosa amicizia quando ancora nemmeno sapevo che cosa significasse l'amore.  Ero poco più che un'adolescente, sulla soglia di quell'età difficile in cui ti aspetti chissà che dalla vita, ma ti sembra di non avere le palle per affrontarla. Complice un'estate al mare e la musica dei Beatles, che a me sulle prime non piacevano ma che lei mi insegnò ad apprezzare, ci fu tra noi una breve, tenera storia d'amore. Poi ognuno per la sua strada.
Me la ricordo come una ragazza un po' pazzerella (e lei sostiene di esserlo ancora), piena di entusiasmo genuino per la vita, fresca e pulita come un petalo di rosa appena sbocciata.
A quanto pare sa tutto di me. Ha letto il mio blog e mi ha anche lasciato qualche messaggio, firmandosi con un nick che io non conoscevo. Io invece non so quasi niente di lei, se non che è sposata, ha due figli e vive anche lei fuori città con un numero imprecisato di cani e di gatti. E che fa il bioarchitetto.

Il resto me lo racconterà piano piano. E così i pezzi della mia vita si ricompongono, come un puzzle. Manca solo che si rifacciano vivi i miei amici d'infanzia. E non è detto che qualcuno non lo faccia, prima o poi.

sabato 14 giugno 2008

Mia moglie, che non ho saputo sognare

Tre anni fa Maria Luisa, mia moglie, lasciava questo mondo. Senza troppi rimpianti, immagino, visto che non le ha dato grandi soddisfazioni. Lo ha fatto con pudore, senza clamori. Forse per l'ennesima volta ha avuto paura di dare fastidio e ha tolto il disturbo a modo suo.

Rimpianti ne ha lasciati a me, però, non solo per il modo repentino in cui se n'è andata, ma soprattutto perché mi ha lasciato con la sensazione di non aver fatto per lei tutto quello che avrei potuto. Magari non è vero, ma non lo saprò mai con certezza.

Donna difficile, Maria Luisa, affetta da quel tipo di malessere che non riesci nemmeno a definire. Infanzia difficile, adolescenza difficile, matrimonio difficile. Senza gli strumenti per affrontare le difficoltà. O meglio, senza gli strumenti per metabolizzarle. La consumavano come un tarlo in un mobile antico.

Grandi qualità perennemente inespresse. Era maestra nell'arte di svendersi, o magari era solo timida. Aveva un ideale d'amore che forse esiste solo nei sogni, ma quando esiste è amore con l'A maiuscola. E a proposito di sogni, c'era una bellissima frase che ripeteva spesso, non so nemmeno di chi: ogni donna è del primo che sa sognarla.

Forse non ho saputo sognarla, chissà, l'ho solo amata.

giovedì 5 giugno 2008

I romanzi di Lansdale

Mentre il padreterno continua ad affogarci di pioggia, io passo spesso il tempo a tradurre.

Non vi ho mai parlato della mia attività di traduttore (seconda solo a quella di bibliotecario) per troppa modestia, ma ormai dura da oltre trent'anni, nel corso dei quali ho tradotto quasi sempre fantascienza. Non tantissimo, diciamo una cinquantina di romanzi e un duecento racconti, ma sempre con grande piacere.

Tradurre è a suo modo una forma di creazione, e se ci pensate bene senza i traduttori nessuno (o quasi) avrebbe mai potuto leggere, potrebbe leggere o leggerà la grande maggioranza dei libri pubblicati. Tutti, cioè, meno quelli scritti in italiano. E così quando leggete un libro di un autore straniero, fate un pensierino a colui che vi ha reso possibile la lettura.

Detto questo, doverosamente per una categoria in genere ignorata, aggiungo che ho appena finito di tradurre un romanzo di Joe Lansdale. E' uno scrittore americano (anzi texano, come Bush, ma con idee per fortuna diverse dalle sue) che scrive mescolando i generi. E non generi alti, si badi bene, ma i più popolari, i più trash, i più spazzatura che si possa immaginare: horror, western, fantastico, giallo, noir, avventura. Mescola tutto e ne viene fuori un prodotto che... be', dovete leggerlo per capire.
E' uno spasso. Tanto per rendervi l'idea, vi cito un pezzetto da quella che forse è la sua opera più famosa: la trilogia del Drive In. Si svolge in gran parte all'interno di un grande cinema all'aperto americano (anzi texano) dove ai protagonisti ne succedono di tutti i colori.
Ecco l'incipit (più o meno) del secondo romanzo: Un giorno, d'improvviso, uno si trova ad aver finito le scuole superiori, felice come un bruco nella cacca; si sveglia con l'uccello duro, passa le giornate seduto con le mutande macchiate di piscia e i piedi appoggiati sopra la bocchetta del condizionatore, con l'aria fredda che gli soffia sulle palle, e la prima cosa che gli succede è che viene crocifisso. (Il perché lo scopriremo in seguito).

Riuscite a immaginare una descrizione più vivida di un adolescente americano (anzi texano) nella sua prima estate da ex studente? Ecco, Lansdale è quasi sempre così: irriverente, sboccato, pieno di paragoni fantasiosi, nudo e crudo nella sua prosa essenziale, pieno di idee e sempre pronto a rimescolare le carte in tavola. Diciamo che è per la letteratura ciò che Quentin Tarantino è per il cinema. Nel romanzo che ho appena finito di tradurre, per esempio, che si chiama Zeppelins West e non so che titolo avrà in italiano, ritroviamo tutti insieme personaggi come Buffalo Bill, Wild Bill Hickock, Toro Seduto, Il capitano Nemo con il suo Nautilus e il dottor Moreau con le sue bestie (questi ultimi due sotto mentite spoglie), e poi ancora la creatura di Frankenstein, l'Uomo di latta del Mago di Oz, Dracula il vampiro e forse me ne scordo qualcuno. E' un pastiche incredibile e grottesco, ma godibilissimo. Letteratura popolare, appunto, ma della più bell'acqua.
In quello che ho tradotto un paio di mesi fa (dovrebbe chiamarsi La morte ci segue, o qualcosa del genere, e credo sia già stato pubblicato) c'era addirittura una cittadina del West messa a ferro e fuoco da un'orda di zombies. Sangue, sbudellamenti e sparatorie a tutto spiano.
Per la cronaca, i romanzi di Lansdale sono pubblicati da Einaudi e da Fanucci (il mio editore).

giovedì 29 maggio 2008

La stagione della semplicità

Evviva, è arrivato il caldo. Un po' bruscamente, a dire la verità, ma meglio che un calcio sulle gengive.

Amo la stagione calda perché mi consente di vestire all'insegna della semplicità (cosa che invero faccio anche d'inverno) e della rapidità (cosa che non posso fare anche d'inverno).
Quando fa caldo un pantalone di tuta, una maglietta, e un paio di scarpe da tennis sono tutto ciò che occorre. Li lavi, li stendi e dopo mezzora sono asciutti, così il cambio è assicurato senza fatica e la mattina non perdo tempo a scegliere che cosa mettermi. Un po' come il protagonista del film La mosca (Jeff Goldblum) al quale la ragazza (Geena Davis) chiede: Ma tu non ti cambi mai d'abito? Porti sempre lo stesso. Al che lui risponde: No, mi cambio tutti i giorni. E le mostra il suo guardaroba dove ci sono dieci paia di vestiti, dieci camicie, dieci cravatte, dieci paia di scarpe tutti uguali.
Quando fa freddo c'è da coprirsi di più, poi magari in biblioteca c'è il riscaldamento a palla e così bisogna alleggerirsi. Poi magari piove e io gli ombrelli non li ho mai a disposizione quando mi servirebbero. Poi magari il motore ci mette un po' ad avviarsi, e i vetri sono tutti appannati e non si vede un piffero. Poi magari, in previsione della neve, uno monta le gomme termiche a novembre e le smonta ad aprile senza che siano mai servite a niente (come mi è successo quest'anno). Poi magari d'inverno non puoi mettere su una bella cena con una caprese, tanta frutta e tanta verdura.  Poi magari hai il riscaldamento che funziona a singhiozzo, in certe stanze fa freddo e in altre fa caldo (questo succede a me, in campagna, ma in parte è colpa mia perché c'è sempre una finestra aperta da cui entrano e escono i gatti... Lo so, sono un cretino, me lo dico da solo così vi risparmio la fatica). Poi magari ti raffreddi, ti viene la tosse, ti scola il naso e continui come un imbecille a fumare perché la voglia non ti passa mai, ma le sigarette hanno un sapore sempre più cattivo. Poi magari c'è la nebbia e devi camminare a cinque all'ora con la testa fuori dal finestrino.

Poi magari... be', continuate voi, ce n'è a bizzeffe.

E per questo vado sempre ripetendo che la vita in campagna è bella, ma è un po' meno bella nella brutta stagione, e dunque ogni tanto penso di fare come facevano i signori di una volta: passare l'estate in campagna e l'inverno in città. Ma i soldi per due case non ce li ho, e quindi rimango così. Mi accontento di andare in letargo quando serve.

martedì 20 maggio 2008

Benedetto sia il computer

E che capperi! Splinder è in manutenzione, mi dice di riprovare fra un po'. Ho riprovato fra un po', ma era sempre in manutenzione. Poi, dopo diversi giorni, mi sono rotto e ho provato a entrare lo stesso. Eccomi qua.

Tutta questa storia, però, mi ha dato da pensare. Vi è mai capitato di non avere la connessione  magari per un guasto alla linea telefonica, o di ritrovarvi con il computer che all'improvviso non si avvia o, peggio, va in crash?  Be' , a me sì. E in quei momenti sono tornato indietro di vent'anni almeno, quando tutte queste diavolerie non esistevano.

Allora i libri si catalogavano con la macchina da scrivere, sulle belle schedine di formato internazionale con il buco rotondo sotto. Le trovate ancora, nelle biblioteche, magari piene di correzioni e di aggiunte, insieme a quelle di una volta, manoscritte in bella calligrafia.
Allora le traduzioni si battevano anch'esse a macchina, e se ti sbagliavi giù a correggere di gomma o di bianchetto, e poi a riscrivere sopra, sperando che nel frattempo il foglio non si fosse spostato sul rullo. Quanto a revisioni finali, nemmeno a parlarne. E poi una bella busta, il francobollo e via alla posta, sperando che il plico non si perdesse per strada.

Allora le lettere si scrivevano a mano, magari su carta intestata, e se era una lettera d'amore si attendeva con ansia il postino per vedere se avevamo ricevuto risposta.

Allora le ricerche si facevano sulle enciclopedie (e chi non ne aveva una in casa, magari modesta?). Se c'era da pagare il bollo dell'auto o l'abbonamento alla televisione si andava alla posta e si facevano anche lunghe file in uffici brutti e squallidi, con impiegati brutti e squallidi (oggi gli uffici postali sono diventati dei veri e propri bazar pieni di libri, DVD, elettrodomestici e gadget vari, ma non si capisce mai dove bisogna mettersi in fila, perché non ci sono più quelle scritte belle e chiare di una volta tipo CONTI CORRENTI, RACCOMANDATE, PACCHI eccetera. No, oggi c'è scritto PRODOTTI BANCOPOSTA, ma che diavolo significa? Vabbe', questa è un'altra storia, però).
Insomma, il mondo è cambiato e non lo scopro certo io. Ma siamo cambiati anche noi e certe volte mi sorprendo a ricordare com'ero, che cosa facevo, come mi mettevo in relazione con la vita e con gli altri, e non mi riconosco più. Era un'altra persona, quella, e non solo perché più giovane, ma proprio perché viveva e pensava in ossequio a regole del tutto diverse, con ritmi diversi, con un approccio diverso alla realtà. Che credeva di correre e invece camminava come una lumaca.
Insomma il computer è stata la vera rivoluzione del ventesimo secolo. Non l'automobile, non la televisione, non il volo nello spazio, non la carta igienica (come mi diverto a dire ogni tanto). No, il computer, quella macchina che tutti voi avete a casa, sempre più piccola, sempre più potente, sempre più padrona della nostra vita.

Benedetto sia il computer, dunque, e la rete sua fedele alleata.

lunedì 5 maggio 2008

La comparsa delle lucciole

Questo è il periodo in cui di solito appaiono.

La sera, sopra il prato e in mezzo ai cespugli, cominciano ad accendersi le lucciole, almeno in campagna. Spettacolo straordinario. Ne ho già viste due ieri sera, le prime avvisaglie del trionfo che avrà luogo di qui a qualche giorno. Sono i maschi a emettere quella luminosità intermittente, e sono i maschi che volano, mentre le femmine, luminose anche loro, strisciano al suolo (come sempre si fanno desiderare). E' in questo che la natura è davvero ineguagliabile. Nell'infinita varietà delle sue invenzioni.
Camminare di notte in una strada buia in mezzo a centinaia, forse migliaia di lucciole, è un'esperienza affascinante, sembra di essere sospesi in un mare di luci che si spostano senza requie, silenziose e delicate, intente a vivere una vita ingiustamente breve e a viverla nel modo più appariscente possibile, lasciando una traccia visibile di sè, quasi a voler dire: campiamo pochi giorni, ma sono giorni belli ed esaltanti. Illuminiamo la notte, vi pare poco?
Tutto il contrario degli uomini, che invece vivono tanto e spesso male.

lunedì 28 aprile 2008

Dov'è tutta questa crisi?

Questo weekend sono stato a Roma per festeggiare il compleanno di  mia madre (84 anni portati bene, del resto viene da una famiglia di persone molto longeve. Spero di aver preso da lei...)

Venerdì 25 verso mezzogiorno, imboccata a Orte l'A1, direzione Roma, ho notato subito che nell'altra carreggiata (quella diretta verso nord) c'era una bella fila di veicoli. Proseguendo senza praticamente incontrare traffico continuavo a guardare verso sinistra e la fila era sempre lì, con le auto incolonnate che procedevano lentamente e ogni tanto si fermavano. Giunto a Roma Nord ho visto che il casello continuava a vomitare automobili. Anche tutto il tratto da Roma Nord al Grande Raccordo Anulare era un serpentone ininterrotto di macchine. E una piccola fila c'era anche lungo la Salaria, in prossimità dell'imbocco del GRA.

In totale oltre 60 chilometri di fila sotto un sole che già cominciava a farsi sentire. E mi risulta che anche in altre zone di Roma ci fossero problemi analoghi di traffico intenso in uscita dalla città.
In tutto questo c'è qualcosa che non mi quadra. Già mi sembra strano che all'ora di pranzo di un giorno di festa i gitanti (giornalieri o meno) siano ancora in fila quando avrebbero già dovuto raggiungere le loro mete, ma si sa, la gente se la prende comoda e magari molti avranno pensato di trovare meno traffico a quell'ora senza sapere che anche molti altri hanno pensato la stessa cosa.
Ma soprattutto questa periodica ondata migratoria significa gente che spende in benzina, in pedaggio, in alberghi, trattorie, autogrill, agriturismi e acquisti vari. E allora dov'è tutta questa crisi di cui si parla? Dove sono quelli che non riescono ad arrivare a fine mese? Come mai le trattorie sono tutte piene e bisogna prenotare per trovare un posto?

Forse viaggiano solo i ricchi? E i poveri rimangono in città ad accontentarsi dei parchi e dei giardinetti? O siamo semplicemente un popolo di bugiardi e di piagnoni?

venerdì 18 aprile 2008

La ranocchia di Trilussa

No, non voglio parlare di politica.

Ci siamo abbuffati di chiacchiere, di proclami, di promesse, abbiamo fatto il pieno di banalità, ci siamo persi per strada un pezzo di Italia e probabilmente siamo tutti un po' più poveri.
Ma la vita va avanti, anche con una classe politica così becera e volgare, anche con l'esibizione del potere, anche con il trionfo del dio denaro e del celodurismo, anche con la presenza invadente di faccendieri e pregiudicati, anche con l'immancabile fiorire dell'opportunismo.
No, non voglio parlare di politica. Parlerò di poesia. Parlerò di Trilussa, grande poeta romanesco, che scriveva così:

 

La ranocchia ambizziosa

 

Una Ranocchia aveva visto un Bove.

- Oh! - dice - quant'è grosso! quant'è bello!

S'io potesse gonfiamme come quello

me farebbe un bel largo in società...

Je la farò? chissa?

Basta... ce proverò. -

Sortì dar fosso e, a furia de fatica,

s'empì de vento come 'na vescica,

finchè nun s'abbottò discretamente;

ma, ammalappena je rivenne in mente

quela ranocchia antica

che volle fa' lo stesso e ce schiattò,

disse: - Nun è possibbile ch'io possa

diventà come lui: ma che me frega?

A me m'abbasta d'esse la più grossa

fra tutte le ranocchie de la Lega....

sabato 12 aprile 2008

La superstrada Civitanova-Foligno

Mentre ci prendiamo la nostra brava pausa di riflessione (Riflessione? Che c'è da riflettere? Qui c'è solo da piangere) dopo una campagna elettorale dai toni dimessi e scontati, Berlusconi ripete da 16 anni le stesse cose, e almeno in questo bisogna riconoscergli una certa coerenza, mentre Veltroni imbroglia proponendo un nuovo che nei fatti non c'è, dietro la bella mano di vernice. Gli altri non contano, il mondo va avanti.

E' di qualche giorno fa la notizia che sono stati stanziati i fondi per il completamento della superstrada Civitanova Marche-Foligno. Lo so, alla maggior parte di voi non gliene fregherà niente, ma a me interessa perché significa un collegamento più veloce di questa parte della regione (le Marche sporche, come le chiamano) con Roma, dove ogni tanto, sia pure a malincuore, torno.
Questa superstrada, cominciata... vediamo un po', quaranta, cinquant'anni fa? è una delle grandi incompiute d'Italia. Lunga poco più di cento chilometri, è attualmente completa per circa la metà: giunta alle falde delle montagne (e non le Alpi, si badi bene, ma montarozzi che non arrivano a 1000 metri d'altezza) si ferma, e dopo bisogna proseguire per la vecchia statale, piena di curve, dove se trovi un camion puoi dire ciao alla tua tabella di marcia.

Il fatto è che questa parte delle Marche non ha da anni nessun peso politico. I nostri parlamentari sono stati pochi e scalcinati. Sarebbe bastato, che so, un tipo ameno e disinvolto come lo zio Remo (per gli ignoranti o per i più giovani Remo Gaspari, un pezzo grosso della prima repubblica, più volte ministro) che ha fatto del suo Abruzzo un trionfo di infrastrutture (anche troppe). Quando qui la RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) non sapevano nemmeno che fosse, in Abruzzo c'era. Già, erano i tempi della Cassa del Mezzogiorno...

In compenso adesso da queste parti si stanno progettando ben tre palazzetti dello sport nel raggio di poche decine di chilometri. Crepi l'avarizia. Ed è imminente l'apertura della galleria che passa sotto la città di Macerata.

Solo dove abito io non si muove niente. E' il bello della campagna...

sabato 5 aprile 2008

C'è chi sta male e chi sta peggio

Ci lamentiamo che i prezzi aumentano, che l'inflazione è cresciuta, che è sempre più difficile arrivare a fine mese.

Be', consoliamoci: c'è chi sta peggio di noi. Lo Zimbabwe, per esempio (uno stato africano ma non chiedetemi dove si trova, andatevelo a cercare sull'atlante) ha raggiunto il livello record del 66.000% di inflazione. No, non mi sono sbagliato a scrivere: 66 con tre zeri dopo. Una bottiglia da due litri di latte, per esempio, costa 17mila dollari locali, al cambio 36 sterline, poco più di 45 euro. Roba da ricchi.

A proposito di ricchi. Alitalia naviga ormai verso il fallimento: se Air France-KLM (bontà loro) non cambieranno idea non avremo più una compagnia di bandiera. Il che la dice lunga sul livello di credibilità cui siamo scesi.

Gianfranco Cimoli, dopo avere affossato le Ferrovie dello Stato (ed esserne andato via con un premio di buonuscita di 6 milioni e 700 mila euro), è stato chiamato al vertice di Alitalia e ha pensato bene di ripetersi, ma non ha fatto in tempo a finire l'opera. Ha lasciato prematuramente (per essere più precisi, il governo Prodi lo ha cacciato via) e si è autoattribuito un altro premio di buonuscita più modesto (quasi 3 milioni di euro). Al resto dello sfascio ci hanno pensato i sindacati. Ve li ricordate ancora i tanti scioperi dei piloti e dei controllori di volo? Bene, adesso quegli stessi che prima scioperavano dissennatamente scendono in piazza a supplicare la cordata franco-olandese di ripensarci.

AirOne non è stata nemmeno presa in considerazione.  A questo punto chi mai si prenderà la patata bollente? Nessuno, probabilmente.

E tanto per cambiare nessuno pagherà.

sabato 29 marzo 2008

Berlusconi e il culto della personalità

Qualche anno fa Giorgio Gaber (buonanima e mai troppo rimpianto) cantava: Meno male che c'è il Riccardo / che da solo gioca a biliardo / non è di grande compagnia / ma è il più simpatico che ci sia.

Togliete Riccardo e mettete Silvio, che adesso ha anche lui la sua canzoncina (e se non la conoscete, peggio per voi: non sapete che cosa vi perdete), e scoprirete una sorprendente analogia.
Gioca da solo (non al biliardo, ma a fare il politico). Non è di grande compagnia (chi lo vorrebbe come compagno di giochi?), però è simpatico, pieno di battute e di sottile umorismo. Soprattutto con le donne.

Mano male che Silvio c'è, dunque. Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, poi brevettarlo e infine metterlo in commercio. Tanti Silvio in tutto il mondo e ogni problema sarebbe risolto. La politica la farebbe lui come gli pare e noi non avremmo più pensieri.

Mi sbaglierò, ma ho l'impressione che il personaggio tradisca una leggerissima tendenza al culto della personalità. Forse Presidente del Consiglio è un po' troppo poco per lui. Presidente della Repubblica? Mavvia, non in Italia, dove conta come il due di coppe a briscola quando regna denari. E allora che ci rimane?

Voi ce lo vedete, vestito di bianco, che si affaccia a Piazza San Pietro?
Io sì.

sabato 22 marzo 2008

Il bello dei posti dove vivo

Parlare di politica italiana sotto Pasqua non mi sembra una bella cosa. Bisognerebbe intristirsi, o sdegnarsi, o incazzarsi a seconda dei casi, o magari semplicemente fare ricorso all'arma del sarcasmo e dell'ironia. Ma a Pasqua siamo tutti più buoni, un po' come a Natale, o almeno ci proviamo, e così meglio optare per argomenti più leggeri.

E così vi racconterò semplicemente che mio cugino Egisto è venuto a farmi visita con la moglie Daniela (che mi segue e spesso commenta). Con l'occasione ho pensato di farmi un piccolo giro turistico con loro per mostrargli le bellezze del luogo. Siamo partiti ieri mattina, approfittando di una tregua del maltempo, e lungo una strada che attraversa le dolci colline marchigiane ci siamo arrampicati fino ai 650 metri di Cingoli, da cui si può godere un panorama mozzafiato, soprattutto nei giorni molto limpidi. Una distesa sterminata di colli e valli che si perde fino al mare da un lato e fino ai Sibillini dall'altro. Tagliati in due da una tramontana gelida abbiamo girato per il centro storico, dove la pietra prevale sul cotto e dove ancora si sente quell'antico profumo di paese che i più anziani forse ricordano di avere annusato da bambini, poi abbiamo visitato l'antichissima collegiata di Sant'Esuperanzio, luogo di grande suggestione anche per un'architettura assai particolare. Quindi siamo passati per Treia, il mio comune, famoso per il gioco del pallone col bracciale celebrato anche da Leopardi, un centro storico dove invece trionfa il mattone cotto e che è stato praticamente tutto restaurato a regola d'arte. Un piccolo gioiello.

Dopo, non contenti, abbiamo raggiunto l'antica abbazia di Chiaravalle di Fiastra, altro luogo di grande fascino, in cui la spazialità tutta verticale dell'edilizia benedettina ti fa sentire davvero piccolo e insignificante.

Infine abbiamo affogato i nostri dispiaceri di elettori frustrati prima ancora di votare abboffandoci di pesce annaffiato da un eccellente frizzantino. Senza dover fare un mutuo per pagare il conto.
Tutto questo per dire che nella zona in cui vivo (ma un po' in tutta la parte interna delle Marche e anche in Umbria) ci si può davvero sentire in pace: l'ambiente è pulito, la campagna curata, la gente semplice e gentile, l'offerta in termini turistici e artistici ricca e variegata, il cibo buono e genuino, l'aria in genere eccellente. Insomma, qui la qualità della vita è ancora buona, e questo spiega anche perché io abbia lasciato prima Roma, poi addirittura una piccola città di provincia come Macerata per rifugiarmi in campagna.

Discorsi da vecchio orso, dirà qualcuno, forse non a torto. Magari da giovane non avrei fatto queste scelte, non lo so. Ma sapere che in questa Italia sporca, degradata, inquinata e caotica, esistono ancora piccoli angoli tranquilli e vivibili mi rasserena.

Buona Pasqua a tutti.

venerdì 14 marzo 2008

Berlusconi e i suoi galoppini

E' di ieri l'ultima battuta di cattivo gusto dell'uomo di Arcore. Nel corso di un dibattito pubblico una ragazza gli ha chiesto in che modo affrontare il problema del precariato e lui, per tutta risposta, ha replicato che la soluzione è quella di sposare un miliardario, magari suo figlio. Come a dire, dalla pure via, ma accertati che l'uomo a cui la dai abbia i soldi. Battuta che, oltre a non essere una risposta, una donna dovrebbe ritenere quantomeno offensiva. Pare invece cha la tapina, in un'intervista, abbia dichiarato che probabilmente voterà Berlusconi perché alcune delle sue idee le piacciono. Contenta lei...

A me delle idee di Berlusconi era piaciuta solo quella del ponte sullo stretto di Messina. Che è finita nel dimenticatoio.

Sempre il nostro ha tranquillamente candidato l'imprenditore Giuseppe Ciarrapico (che peraltro io ricordo come presidente della Roma all'inizio degli anni 90: due stagioni, con un quinto e un decimo posto, quando le squadre erano ancora sedici), un imprenditore dagli interessi molto sfaccettati che ha già sul groppone una condanna a tre anni in Cassazione per bancarotta, nonché un'altra (anch'essa definitiva) per finanziamento illecito ai partiti, che però è stata tramutata in affidamento ai servizi sociali per via dell'età. C'è poi un'altra condanna nel processo relativo al crack del Banco Ambrosiano (prima cinque anni e mezzo, poi quattro anni e mezzo e infine solo sei mesi, peraltro scontati in detenzione domiciliare per motivi di salute). Niente carcere, dunque (alla faccia della giustizia giusta), e adesso un bel posto garantito in Parlamento. Basta con i rubagalline, si sentiva il bisogno di un pregiudicato a quattro stelle.

Il bello è che il 26 febbraio Sandro Bondi, uno dei tanti inutili galoppini di cui è pieno il mondo politico italiano, aveva annunciato ufficialmente che non sarebbe stato candidato nel PdL chi ha in corso procedimenti penali.

A pensarci bene, in fondo ha ragione. Ciarrapico non è mica indagato. E' solo condannato.
L'idea che persone del genere possano rappresentarmi in Parlamento mi lascia decisamente poco tranquillo.

 

venerdì 7 marzo 2008

E' nato Lorenzo

Oggi, addì 7 marzo dell'anno del Signore 2008, in quel di Taipei (Taiwan), a ore 14.30 circa (ora dell'Asia sud-orientale) ovvero a ore 7.30 circa (ora dell'Europa centrale) ha visto la luce il piccolo Lorenzo Nati (nome cinese ancora da definire), peso tre chilogrammi, buona salute, occhi grandi e il resto non si sa.

Questo fa di Rose e Francesco una madre e un padre, e di me un nonno. Che cosa significhi esattamente ve lo saprò dire fra qualche tempo, quando avrò metabolizzato la notizia.
Per il momento posso solo dire che sono felice.

venerdì 29 febbraio 2008

L'Italia secondo mio cugino Egisto

Mi scrive mio cugino Egisto da Terni... Egisto (che nome evocativo!) era in realtà un lazzarone coi fiocchi: allevato da una capra, uccise lo zio Atreo e in seguito sedusse Clitennestra mentre suo marito Agamennone aveva altro da fare dalle parti di Troia. Dopodiché, non contento, uccise anche Agamennone e regnò per sette anni, prima di essere fatto fuori da Oreste.

L'altro Egisto, mio cugino, è tutt'altra pasta d'uomo: non ha mai ucciso nessuno, né sedotto la moglie di nessuno (che io sappia) e adesso, bellamente in pensione, si dedica al teatro amatoriale con buoni risultati.

Insomma, mio cugino mi scrive una lettera accorata nella quale dice, tra l'altro: "L'Italia sta affondando nella crisi di tutto: politica, economia, lavoro, banche, mondezza, e pensare che è un Paese bellissimo, con una storia di duemila anni alle spalle, che ha avuto geni, artisti, musicisti, ingegneri, architetti che tutto il mondo ci invidia, opere d'arte, panorami, spiagge, luoghi incantevoli. Dovremmo vivere di turismo e invece stiamo perdendo anche quello, solo per la miopia dei nostri governanti, ma sai che ti dico: siamo noi italiani che siamo da rifare!"
Mi sa che non ha torto. Si dice che ogni paese ha i governanti che si merita, e l'Italia non fa eccezione, anzi è forse l'esempio più eclatante della veridicità dell'assioma. Furbetti, piagnoni, sempre attenti ai cosiddetti cazzi propri, con un senso civico ridotto ai minimi termini, sempre pronti a vedere i difetti degli altri e mai i propri, gli italiani sembrano avere una vocazione al masochismo politico. A questo punto mi sembrano però quasi rassegnati, e non ci sono girotondi, grillate o provocazioni di sorta che possano scuoterli.

Le previsioni per il 13/14 aprile mi appaiono fosche. Spero di sbagliarmi, ma non vedo all'orizzonte un futuro di riscatto per il popolo italico. Dov'è il nuovo?

venerdì 22 febbraio 2008

L'incomprensibile mondo dell'economia

Avevo quattro soldi da parte, investiti diversi anni fa. Quando mi sono accorto che la somma, rispetto all'inizio, era rimasta più o meno la stessa mi sono detto che forse non era stato un grande investimento. Così ho cambiato. Mi hanno dato un pacco di carte grosso come un elenco telefonico, con un mucchio di cose scritte sopra che mi sono ben guardato dal leggere. Dicono che è a tutela dell'investitore, ma in realtà è scritto in un linguaggio da iniziati. Ho perso mezz'ora a compilare moduli, a rispondere a domande per valutare il mio profilo di rischio, a firmare autorizzazioni di ogni sorta. Guadagnerò qualche euro di più, la mia vita non cambierà, e mi ritroverò a meditare sul misterioso mondo dell'economia.

Non so se ci avete fatto caso, ma è diventata una mania. Le banche aprono nuovi sportelli come funghi, si accorpano, formano cartelli sempre più grandi, sembrano moltiplicarsi come per un moderno miracolo dei pani e dei pesci, le finanziarie sono più numerose dei fruttivendoli, dovunque ci sono agenzie di brokeraggio, il mondo è pieno di consulenti in giacca e cravatta che parlano per enigmi, la televisione ci propina in continuazione servizi sulle borse di tutto il mondo, parlando di Dow Jones, Nasdaq, Mibtel, Standard and Poors e di altre incomprensibili entità.
E' un mondo di folli, un mondo in cui le regole sfuggono a ogni logica, i soldi sono virtuali e forse anche le persone che lo popolano. Ogni tanto si bruciano miliardi per motivi che gli ingenui come me non riusciranno mai a capire, si vive perennemente sull'orlo del baratro eppure tutti continuano a correre come formiche, ipnotizzati dal miraggio dell'investimento perfetto.

In realtà di perfetto non c'è niente, è solo un grande baraccone popolato da istrioni in cerca di vittime. In realtà basterebbe accontentarsi di quello che si ha, e forse la vita sarebbe migliore.

sabato 16 febbraio 2008

Il replay della vita

L'ultima volta ho scritto una fesseria. In realtà non era passato tanto tempo, ma a me sembrava così. Boh, forse perché stavo male, e avevo perso la cognizione del tempo.

In realtà, da un po' di tempo mi capita spesso. Ci sono delle occasioni in cui non mi ricordo che giorno è e devo andare a controllare il calendario. Altre volte, invece, mi rendo conto di quanto corra veloce il tempo, per esempio quando all'improvviso scopro che è passato un anno da quando ho pagato, che so, il bollo della macchina o la tassa sulla televisione, e non me ne sono nemmeno accorto.
Una volta chi ci faceva caso, al passare del tempo? Ti sembrava di avere tutta la vita davanti a te, e la vita stessa era più varia, più ricca. Oggi invece è fatta di tante cose che si ripetono sempre uguali, di scadenze che si ripropongono periodicamente, in una sorta di replay.

Mi ricorda un romanzo che ho tradotto ultimamente, che si chiama appunto Replay (di Ken Grimwood), in cui un quarantacinquenne muore per un infarto e si ritrova misteriosamente a rivivere la sua vita ricominciando dai vent'anni, ma con tutti i ricordi degli eventi avvenuti successivamente. Lui sa, per esempio, che il 21 novembre 1963 Oswald attenterà alla vita di Kennedy, e cerca di impedirlo. Sa anche chi vincerà le Golden Series di football, scommette e diventa ricchissimo. Giunto un'altra volta a quarantacinque anni muore di nuovo, e ricomincia la sua vita di ventenne, con l'esperienza di una vita in più.

Che cosa faremmo se potessimo rivivere la nostra vita con l'esperienza e le informazioni che abbiamo accumulato? Alzi la mano chi non si è mai posto questa domanda. Il romanzo offre qualche risposta, ma la risposta migliore secondo me è che bisogna vivere la propria vita, soprattutto da una certa età, guardando avanti e non indietro. Come se potesse essere eterna.

 

giovedì 7 febbraio 2008

Fulgido esempio di dedizione al lavoro

Manco da più giorni di quanti sarebbe lecito aspettarsi. La mia intenzione è sempre stata quella di aggiornare il blog con cadenza settimanale, o giù di lì.

Il fatto è che sono stato colpito da un'influenza di quelle che ti lasciano con la lingua di fuori e la voglia di farti, il prossimo inverno, un bel vaccino per tempo. Sono stato così male che ieri non sono nemmeno venuto al lavoro. Be', vi chiederete, che c'è di strano? C'è di strano che da circa una ventina d'anni non facevo assenze per malattia. Sono venuto in biblioteca in tutte le condizioni: zoppicante per uno stiramento al polpaccio, raffreddato, influenzato, piegato in due per il mal di schiena, con la febbre alta, con la pressione alta e in numerose altre condizioni patologiche più o meno serie. Insomma, tutto il contrario dello statale assenteista e lavativo. Dovrebbero pagarmi un extra, a me.

Qualcuno potrà, forse non a torto, domandarsi se qualcosa di patologico non ci sia dentro la mia testa, e in effetti certe volte anche a me riesce difficile capire il motivo di questo accanimento. Non saprei spiegarlo, è il mio modo di essere. Non mi comporto così per farmi bello, per vantarmi, anche se certe volte mi diverto a fare il cretino raccontando le mie prodezze da Guinness dei primati.
Finirà che verrà a lavorare anche in punto di morte. Così potranno mettere una bella lapide nel mio ufficio: A MAURIZIO NATI, FULGIDO ESEMPIO DI DEDIZIONE AL LAVORO. R.I.P.
Dove R.I.P. sta per Ripetutamente, Invariabilmente Pirla.

mercoledì 30 gennaio 2008

Genitore invece di mamma e papà

Leggo e allibisco: http://tinyurl.com/32vhvn.

Per chi non avesse voglia o tempo di navigare, riassumo, anzi cito: "Nelle scuole elementari britanniche sarà proibito usare l'espressione «mamma e papà» e diventerà obbligatorio utilizzare l'espressione neutra «genitori», in modo particolare nelle comunicazioni a casa". Questo perché, secondo un'organizzazione per i diritti degli omosessuali, "l'espressione «mamma e papà» lede i diritti dei genitori omosessuali e favorirebbe pregiudizi anti-gay, inoltre ritengono che i bambini non dovrebbero avere un'idea «convenzionale» della famiglia".

E' una notizia apparsa oggi sul Corriere della Sera, non uno scherzo di carnevale, e mi ricorda vagamente quel galateo per un uso non sessista della lingua italiana di cui parlai l'anno scorso e che prevedeva, tra l'altro, aberrazioni linguistiche tipo "la sacerdote", "la prete" e via dicendo. E noto sempre più spesso, nei messaggi di posta elettronica, come stia prendendo piede l'abitudine di dire "buongiorno a tutt*", dove quell'asterisco cancella il genere: né maschile né femminile, dunque, così nessuno si offende.

E allora un alunno non dovrà più venire a scuola accompagnato dalla madre o dal padre, ma da un genitore, anzi dal genitore A o dal genitore B, come sembra si usi dire. E naturalmente non si potrà più dire "mamma mia", ma magari "genitore mio", né "bello di mamma" ma "bello di genitore". Volete mettere?

Né ci saranno più la festa della mamma o quella del papà, con grande soddisfazione di chi su queste cosiddette feste ci lucra. E poi, diciamocela tutta, alla generazione successiva non si potrà nemmeno più dire "nonno" o "nonna", ma "genitore del genitore" (questo nella fantascientifica ipotesi che una coppia omosessuale possa procreare, naturalmente).

Si potrebbe andare avanti a lungo. Ma il buonsenso che fine ha fatto? E' proprio vero quel vecchio detto: la mamma (pardon, il genitore) dei cretini è sempre incinta.

martedì 22 gennaio 2008

Il discorso annullato del Papa alla Sapienza

Nel mio precedente post ho accennato un po' di sfuggita all'invadenza di un capo di stato straniero. Inutile fare nomi, si capisce benissimo a chi mi riferivo. Adesso che è passata la buriana (come si dice a Roma), proviamo un po' a mettere qualche puntino sulle i.

Premetto che sono un liberal nel senso più lato del termine (come in effetti non ce ne sono in Italia, ma solo nei paesi anglosassoni). Pannella è stato per anni uno dei miei numi tutelari. Libertà per tutti nei limiti in cui essa non va a colpire la libertà di qualcun altro. Dunque anche libertà di parola e di espressione in senso quasi voltairiano. Ergo il papa aveva tutto il diritto di parlare alla Sapienza in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico. Altrettanta libertà, però, avevano i suoi contestatori di esprimere il loro dissenso, prima durante e dopo. Avremmo assistito a una cerimonia blindata, magari, sarebbe volata qualche parolaccia (del resto è già successo in altre occasioni anche allo stesso Wojtila) e tutto sarebbe finito lì.

Invece il nostro pastore tedesco (che bella definizione, devo darne atto a... non ricordo più se al Manifesto o a Liberazione) ha preferito annullare il tutto, e così si è scatenato il putiferio che sappiamo, con una quasi unanime riprovazione perché si è impedito al papa di parlare.
Ma questo non è vero, era stato invitato ed è stato lui a declinare l'invito, per motivi che con qualche malizia potrei definire di convenienza. E' riuscito infatti a passare per vittima, per di più facendosi bello con la scusa che ha voluto evitare disordini e incidenti. E così lui guadagna credito e gli italiani fanno la figura dei beceri irrispettosi. E intanto ricomincia il martellamento sulla legge 194. E' di ieri l'intervento di Bagnasco, e altri ne seguiranno. Con un governo così debole, perennemente sull'orlo dello sfacelo, e che ha al suo interno una presenza cattolica sempre forte, a dispetto del suo supposto orientamento laico e di sinistra, aspettiamoci momenti difficili sul piano dei diritti civili.
Ma la cosa più bella è stata la reazione di Radio Maria. La conoscete? E' un'emittente radiofonica di ispirazione cattolicissima, direi integralista, l'unica che si riesce a prendere sempre in tutta Italia, a momenti anche sotto le gallerie. Io ogni tanto la ascolto e in particolare mi diverto a sentire Padre Livio, un imbonitore d'altri tempi. Ebbene questo signore non si è fatto scrupolo di rivelarci che fra gli studenti contestatori ci sono degli aderenti a gruppi satanici, espressione del demonio che vuole distruggere la chiesa, il suo papa e i suoi preti. Gente che puzza di zolfo ed emette il fumo dell'inferno. Non ci credete? Andate su YouTube e sentite con le vostre orecchie (http://it.youtube.com/watch?v=Va533YjJ84I).
Però attenzione, prima di scoppiare a ridere. C'è un sacco di gente che queste cose le prende sul serio, purtroppo.

lunedì 14 gennaio 2008

Emergenza rifiuti in Campania

Ma in che razza di paese vivo?

C'è una città (forse una provincia o una regione) sommersa dai rifiuti, e non da adesso. I cittadini non vogliono discariche nell'orticello, ma da qualche parte devono pur metterle. La Campania vive da quindici anni un'emergenza rifiuti che non è più emergenza, ma pura e semplice normalità. I politici, a cominciare dal loro governatore, se ne lavano le mani e dicono che non è colpa loro. Però le zone dove abitano i camorristi sono pulitissime, guarda un po'. Dal momento che è l'unica regione italiana, a quanto mi risulta, in cui ci sia questo problema allora la colpa di chi è? Ma si sa, siamo in Italia, e la colpa non è mai di nessuno.

Il sindaco della capitale (mica di un paesetto sperduto) viene preso a sculacciate da un capo di stato straniero sempre più invadente, e poco manca che si scusi per non aver porto l'altra guancia. Però se qualcuno si permette di fare le pulci al Vaticano, apriti cielo! E ne hanno anche loro, di scheletri nell'armadio.
Quello che voglio dire è che stiamo perdendo la faccia agli occhi del mondo. Già all'estero si fanno matte risate da tempo sui nostri uomini politici (soprattutto su quello che continua a costruirsi ville faraoniche nelle quali non troverà mai il tempo di andare ad abitare), e adesso siamo diventati il paese della "monnezza", con tanto di articoli sui maggiori giornali del mondo. E mentre la Francia può almeno vantare fra i suoi maggiori rappresentanti un bell'uomo che si spupazza una Carla Bruni (e anche il rivoluzionario Chavez non scherza), noi andiamo avanti con figure dimesse e avanti negli anni che assomigliano tanto a impiegati del catasto in pensione, o a rubicondi sagrestani di paese.
E che cacchio, dateci almeno un po' di gossip per risollevarci l'umore!

lunedì 7 gennaio 2008

Le abbreviazioni dei giovani

Ho avuto notizia, qualche tempo fa, di un sito WEB che si chiama NoKappa (http://www.nokappa.it/index.php), che ha lo scopo di proteggere la lingua italiana dal progressivo imbarbarimento dovuto (anche) al disinvolto linguaggio degli SMS. Quello, tanto per intenderci, che scrive cmq al posto di comunque, kasa al posto di casa, nn al posto di non, xsona al posto di persona, c6 al posto di ci sei e via dicendo.

Comunque la si pensi (e non sarò certo io a mettermi a fare il purista) bisogna ammettere che questa corsa all'abbreviazione ha una ricaduta inevitabile sulla lingua (per il momento su quella scritta, in futuro chissà). Ricaduta non sempre positiva, se è vero che, a un concorso per entrare in magistratura, su 4000 candidati che hanno affrontato la prova scritta soltanto 322 sono stati promossi. I nostri giovani non sanno scrivere. Al punto che uno dei commissari si è domandato come avessero fatto a prendere la licenza media.

Va bene che le ricariche dei cellulari bisogna centellinarle il più possibile, va bene che per scrivere tanti messaggi è necessario abbreviare i tempi, ma è possibile che questi signori non si rendano conto che c'è una certa differenza fra un SMS e un tema d'italiano?

Ne volete un esempio? I commissari si sono ritrovati di fronte a un neologismo mai sentito: "veperata". Ci hanno messo un po' per capire che significava "vexata" (latino) e che il tapino (o la tapina, non so) aveva (giustamente, dal suo punto di vista) sostituito quell'imbarazzante x con un bel per. Non sia mai che dovessero prenderla per ignorante!

Un po' di sane letture non guasterebbero.