martedì 2 dicembre 2008

La mia vita in due parole

Stamattina, quando mi sono svegliato, non mi ricordavo affatto che oggi fosse il mio compleanno. Me l'ha ricordato Francesco con una telefonata di auguri mentre stavo beatamente traducendo. Poi altri sono stati così gentili da festeggiarmi, ma in sostanza devo ammettere che, non da adesso, il 2 dicembre è diventato un giorno come un altro.

Come amo dire scherzosamente, a questo punto più che festeggiare bisogna commemorare, stringere i denti e andare avanti. Superata una certa età, si perde anche il gusto della ricorrenza, forse perché è capitata già troppe volte per avere ancora voglia di celebrarla.
Con questo non voglio fare discorsi disfattisti, anzi, visto che sono in ballo, parlerò un po' di me, così potrete chiudere il collegamento e andarvi a distrarre con letture più amene.
Sono nato sessantadue anni fa nella ridente (ridente? Ma chi l'ha mai vista ridere? diceva Renato Pozzetto) città di Roma. In una nottata freddissima, sostenuta da mio padre, mia madre andò a piedi fino alla clinica (da Via Vittoria fin quasi a Piazza Risorgimento, fatevi un po' un'idea) tenendosi la pancia scossa dalle doglie e aggrappandosi a tutti i lampioni. Poco c'è mancato che nascessi per strada. Invece nacqui la mattina dopo, alle 10 e 40.

Figlio in qualche modo della guerra, o se preferite dell'immediato dopoguerra, devo aver patito anch'io le ristrettezze di quel periodo, ma non ne ho memoria. Mi si dice che da piccolo abitavo insieme ai miei in quel di Via Vittoria, in pieno centro storico, in un appartamentino fatiscente condiviso con un anziano zio. Nei paraggi era ancora pieno di case chiuse, dove i militari facevano la fila (e anche mia madre, una volta per sbaglio, credendo che distribuissero qualcosa da mangiare. E' un aneddoto che mi ha sempre fatto molto ridere). Ma i miei si amavano ed erano felici. Poi pian piano le cose sono migliorate, e ci siamo trasferiti in un bell'appartamentone in zona Flaminio. Mi ricordo ancora che durante il trasloco giocavo con una spazzola in mezzo alla segatura. Dopo quattro anni è nato mio fratello Stefano, che pare abbia dormito pochissimo per diversi mesi, riducendo mia madre sull'orlo dei suicidio. In seguito è diventato un bravo ragazzo, molto più simpatico di me. Più avanti siamo finalmente riusciti a tornare nel villino di Viale Vaticano che aveva costruito il mio nonno paterno nel lontano 1923. Si era finalmente liberato l'appartamento al piano di mezzo, e lì ho vissuto fino a quando non mi sono sposato.
Scuola elementare dalle monache (di quelle cattive, che davano le bacchettate sulle dita, ma io ne ho prese poche perché ero abbastanza diligente), poi le medie alla Ludovico Ariosto in Via Luigi Rizzo e il liceo scientifico al Plinio Seniore di Via Montebello, un orribile palazzone adibito con qualche fatica a edificio scolastico e popolato da loschi insegnanti senza qualità. Sopravvissuto a stento al liceo, sono poi rinato nel periodo universitario (Lingue e letterature straniere al Magistero, in Piazza Esedra). Laurea col massimo dei voti, magna cum laude. Quindi il servizio militare, prima a Bari poi a Roma, in aeronautica, altra esperienza da cancellare. Dopo qualche invenzione per mantenermi senza dover contare sempre sui soldi di papà, finalmente nel 1976 ho vinto un concorso statale per le biblioteche, e sono ancora qui, in una biblioteca, tutto sommato contento di aver sempre fatto lavori che mi piacevano.

Una vita come tante. Nulla di particolare. Ma a me sta bene. Non rimpiango quasi nulla del passato, e mi aspetto sempre qualcosa dal futuro. Un atteggiamento positivo che mi ha sempre aiutato. Come mi diceva oggi mia zia Adriana al telefono (80 anni suonati): alla nostra età, quando c'è la salute, che altro si può chiedere?

Ha ragione. Per un sagittario come me, poi, l'ottimismo è d'obbligo.

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