martedì 26 giugno 2012

A volte ritornano. Nel mio caso, spesso.
Stavolta, grazie a Facebook, è riemerso dalle ombre del passato il mio amico Paul Harrison. Chi è Paul Harrison? Be', chi era, sarebbe meglio chiedersi, visto che stiamo parlando di quasi 42 anni fa. Era la fine di agosto, o forse l'inizio di settembre, del 1970 e io me ne stavo tornando in Italia dalla terra di Albione a bordo della mia 500. Ero stato lì per circa un mese e mezzo a preparare la mia tesi di laurea su Thomas Lovell Beddoes (chi era costui? Un poeta romantico misconosciuto che ha scritto cose stupende) e mi trovavo al porto di Dover in attesa di imbarcarmi sul traghetto per il Belgio. A un certo punto mi si avvicina un ragazzo, Paul appunto, che mi chiede di salire in macchina, altrimenti non può imbarcarsi. Gli dico di sì. Ci mettiamo a chiacchierare e mi spiega che sta andando a una parata di palloni aerostatici, proprio in Belgio.
Per farla breve attraversiamo la Manica, sbarchiamo nel continente e procediamo verso sud. Giunti al punto in cui lui doveva scendere mi dice: "Ho cambiato idea. Vengo con te fino in Italia." Ne sono ben felice, così non devo fare tutto quel lungo viaggio da solo.
Era fatto così, Paul. Un entusiasta, un ragazzo pieno di risorse e di iniziative. Se aveva voglia di fare una cosa, prendeva e partiva. Non conosceva una parola di italiano, solo un po' di francese, che qualche volta confondeva con la nostra lingua. Siamo stati tre giorni insieme attraverso il Belgio, la Germania, la Svizzera e un pezzetto di Italia. Abbiamo condiviso un'esperienza bellissima, dormito e mangiato dove capitava, rubato mele, chiacchierato tanto. Giunti a Como è sceso, diretto non ricordo dove.
Non è finita qui. Me lo sono ritrovato a Roma nel 1975, dove è stato ospite mio e di Maria Luisa (eravamo sposati da poco e abitavano in un casa grande quanto una scatola di fiammiferi). E poi me lo sono ritrovato a Pavia qualche anno dopo, con Francesco piccolissimo e lui giunto a bordo di un furgone Volkswagen (mi pare). Mi raccontò che aveva in programma una crociera nel Mediterraneo a bordo di una qualche imbarcazione.
Dopo non l'ho sentito più. Recentemente l'ho cercato più volte, ma di Paul Harrison è piena la rete e non sapevo quale fosse quello giusto. E' finita che mi ha trovato lui. E a occhio di sembra lo stesso di tanti anni fa, ancora sportivo, in movimento, vitale e molto british.
Hi Paul, it's great to hear again from you!

domenica 17 giugno 2012

Dopo tanti anni, quasi venti, tornerò in Sardegna con Francesco, Rose e Lolo.
Era un sogno che accarezzavo e temevo di non riuscire più a realizzare. Mi è rimasta nel cuore, quest'isola bella e profumata. Ti accorgi di essere arrivato quando il traghetto si avvicina a Olbia: ne senti subito l'odore, anzi un misto di odori, macchia mediterranea, mirto, ginepro, liquerizia e non so che altro.
Poi scendi e l'odore si fa più forte, e quando arrivi verso il mare anche gli occhi hanno il loro momento di gloria. Colori stupendi, forti e decisi, spiagge incredibili, e un'edilizia tutto sommato abbastanza rispettosa dell'ambiente (almeno era così vent'anni fa). E non c'è solo il mare: l'interno è aspro e fascinoso, a volte desertico a volte lussureggiante. La gente schetta e gentile.
La Sardegna è un luogo in cui è ancora possibile (era ancora possibile?) fare delle scoperte: calette nascoste e deserte, miniere abbandonate, dune sabbiose che ricordano un deserto africano, chiesette romaniche nel mezzo del nulla, paesetti appartati dove ancora circolano figure femminili ammantate di nero.
Meglio evitare, comunque, gli itinerari più sfruttati. La Costa Smeralda, un'occhiata e via, per esempio. E pensare che proprio lì il famoso Aga Khan acquistò per quattro soldi da contadini ignari o dimentichi di avere fra le mani un angolo di paradiso un tratto di costa di una bellezza da levare gli occhi, prima che ci costruissero in modo intensivo e prima che ci arrivasse Berlusconi.
Dopodiché, prima o poi toccherà alla Sicilia.

venerdì 8 giugno 2012

La morte è una strana bestia.
Ti colpisce quasi sempre quando meno te l'aspetti, ti porta via le persone care seguendo criteri di scelta non sempre chiari e nei modi più imprevedibili, ma ha almeno un effetto positivo: riunisce le persone.
Mercoledì è venuta a mancare mia madre. Per carità, un'età avanzata e una vita lunga sostanzialmente felice (a parte gli orrori della guerra che ha vissuto da ragazza e la perdita di un figlio ancora in culla): fino a quattordici anni fa, quando morì mio padre. Uno shock che non ha mai superato. Si è trascinata per questi quattordici anni facendo del male a se stessa e a chi le stava intorno con l'unica speranza di riunirsi quanto prima al marito. Adesso ci è riuscita e spero che sia finalmente serena.
Non ne parlerò né bene né male. Anzi, non ne parlerò per niente. E' un mio ricordo, la porterò con me perché è stata una buona madre e una buona moglie.
No, vorrei invece tornare a quanto dicevo prima. In questa triste occasione sono rispuntati fuori dal nulla parenti lontanissimi, amici dimenticati, conoscenti di cui si erano perse la tracce, anche semplici figure passate quasi casualmente nella sua (e nella mia) vita.
E con molti di costoro capita di guardarsi in faccia senza riconoscersi (perché la vita ci ha cambiato) e si riscoprono affetti sopiti o magari cancellati dalla lontananza e ci si dice, inevitabilmente, che sarebbe bello vedersi anche in altre occasioni meno tristi. Poi tutto torna come prima. La vita torna ad allontanarci, fino al prossimo evento luttuoso...
Possibile che la vita non riesca a riavvicinare le persone come fa la morte?