sabato 25 ottobre 2008

Il caro-vita

Qualche giorno fa ho comprato quattro arance in un piccolo supermercato del centro storico. Le ho pagate un euro e novantasette centesimi. Arance da spremuta, per di più. In pratica mi sono costate quasi mille lire l'una. Se considerate che per riempire un bicchiere di succo d'arancia ce ne vogliono almeno due (qualche volta tre) se ne deduce che la mia colazione (da qualche tempo faccio sempre colazione con toast, succo d'arancia e caffè) mi costa una piccola fortuna.

E' da tempo che vado meditando sul costo della vita e sulle sue implicazioni sociologiche. Oggi costa caro anche quello che una volta non costava niente (tipo le patate, il pane o il latte, per esempio ). E probabilmente non perché siano cari i prodotti all'origine, ma perché si è allungata (o forse ingarbugliata, in modo a volte sospetto) la catena che porta un determinato prodotto dalla terra (o dalla fabbrica) alla tavola.

Il che mi porta a concludere che si stava meglio quando si stava peggio. Tanti anni fa c'erano meno soldi, c'era meno scelta e forse meno qualità, ma anche il più squattrinato riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena. Comprava cose che costavano poco, e poi magari si concedeva il lusso della carne alla domenica. Insomma, non si moriva di fame.

Nemmeno oggi si muore di fame, intendiamoci, ma l'incidenza della spesa alimentare sul bilancio di una famiglia è aumentata sensibilmente, a detrimento di altre voci. E se veramente sei povero in canna, è difficile che riesci a mettere insieme un pasto decoroso con quattro soldi.
E poi oggi non si riutilizza niente, si butta via quasi tutto ciò che avanza nei piatti, mentre una volta si conservava scrupolosamente tutto, lo si riciclava, lo si rielaborava, lo si riproponeva sotto altra forma.
C'è davvero qualcosa che non va nel nostro modo di vivere.

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