venerdì 27 marzo 2009

Che cosa significa vivere nell'Italia di oggi

Mentre manca ormai poco al giorno in cui il giorno diventerà più lungo (almeno apparentemente, ma a me basta), mi interrogo su quello che significa vivere in Italia oggi, nell'era del berlusconismo spinto.

A suo tempo, poco meno di un anno fa, mi dissi (me tapino): be', il PdL ha vinto le elezioni, purtroppo, ma almeno avremo un governo forte, che decide, e non più un governo debole, ostaggio di tutti. Forte, questo governo, lo è stato, certo, ma solo per quello che faceva comodo a lui. Sono rimasti tutti i vecchi privilegi, le vecchie baronie, sono rimasti gli indagati, i condannati, i sospettati, è rimasta l'arroganza del potere e la presunzione di intoccabilità, che da presunzione sta diventando certezza.
Le poche voci di dissenso sono sempre più flebili, confinate in ambiti ristretti, senza risonanza. Vox clamans in desertum, dicevano i latini.

Adesso non possiamo nemmeno più disporre della nostra vita, o di quel poco che ne rimane quando la malattia, la sorte, la sfortuna o la semplice decadenza della carne la reclamano. No, siamo costretti a sopravvivere a noi stessi attraverso una macchina, uno strumento inventato dall'uomo. Non l'ha inventato Dio, attenzione. Dio ha inventato le malattie e la morte e una natura che si incarica di far rispettare le sue leggi. Oggi l'uomo si è sostituito a Dio e decide lui quanto si deve vivere. Però l'uomo ha inventato anche il preservativo, che oltre a impedire la procreazione protegge anche dalle infezioni. Il Vaticano gongola per la legge sul testamento biologico, ma ha ribadito per bocca del suo massimo rappresentante che no, il preservativo è male. Gli africani possono morire come le mosche, basta che lo facciano nella grazia di Dio, senza peccare.
Da una parte si difende a oltranza la vita, dall'altra la si calpesta senza ritegno.
E allora mettiamoci d'accordo: la vita è vita, tanto nella disgraziata Africa che nell'opulenta Italia. E certo, Berlusconi non ha ancora vietato per legge l'uso del preservativo, ma l'aria che si respira è quella di un nuovo medioevo. In cui la caccia alle streghe ha assunto vesti diverse: non ci sono roghi, non ci sono processi sommari, ma d'altra parte non è più il tempo delle marce su Roma e delle sfilate in camicia nera ai Fori Imperiali. Oggi il regime si instaura e si autoalimenta in modo assai meno vistoso, e la sensazione è che di questo regime facciano ormai parte tutti, anche quelli che in teoria dovrebbero opporsi.

Spero di sbagliarmi, ma non vedo rose e fiori nel nostro futuro. E non è la crisi economica che mi preoccupa.

mercoledì 18 marzo 2009

Oggi copio dal blog di Beppe Grillo

Sono diversi giorni che non scrivo. Un po' perché ho da fare, un po' perché sono a corto di argomenti. Può succedere, dopo tanti anni.

E allora farò come Giannino Stoppani... come, non sapete chi è Giannino Stoppani? Allora correte in libreria e procuratevi una copia del Giornalino di Gian Burrasca, che tanto viene continuamente ristampato, e leggetevelo.

Insomma, che fa il nostro Giannino, proprio all'inizio? In occasione del suo compleanno, fra tanti regali, ha ricevuto anche un bel diario con le pagine bianche, ma non sa che scriverci. Così copia alcune pagine dal diario di una delle sorelle. Naturalmente la cosa creerà qualche problema, perché la succitata sorella ha scritto cose che sarebbe meglio non divulgare, e invece finisce col leggerle proprio chi non dovrebbe leggerle.

Io copio da Beppe Grillo, invece. Non posso dire di essere sempre d'accordo con le sue posizioni, in alcuni casi è troppo estremista, troppo "puritano", si potrebbe dire, ma qui mi trova del tutto al suo fianco. Non gli ho chiesto il permesso, ma credo che non se ne avrà a male per questo piccolo plagio.
Ordunque, il buon Beppe scriveva, esattamente il 12 marzo: "Caro ragazzo, cara ragazza del 2009,
sono un ex ragazzo degli anni ’60, mi chiamo Beppe Grillo, ho sessant’anni. Faccio parte della generazione che ti ha fottuto. Il tuo futuro è senza pensione, senza TFR, senza lavoro. Il tuo presente è nelle mani di vecchi incartapecoriti, imbellettati, finti giovani. Quando ero bambino l’aria e l’acqua erano pulite, il traffico era limitato, la mia famiglia non faceva debiti e tornavo a scuola da solo a piedi. Non c’erano scorte padane e neppure criminali stranieri in libertà. I condannati per mafia non diventavano senatori.

Le stragi di Stato non erano iniziate, Piazza Fontana a Milano era solo un posto in cui passavano i tram. Le imprese erano gestite da imprenditori. E’ strano dirlo ora, ma c’erano persone che investivano il loro denaro per sviluppare le aziende. E manager che vedevano lontano. Enrico Mattei dell’ENI, ucciso in un attentato, Adriano Olivetti, Mondadori, Ferrari, Borghi e cento altri che non ricordo. Intorno alle città c’erano i prati e non i cimiteri di cemento che chiamano unità residenziali. La bottiglia di latte la riportavo al lattaio e non costruivano inceneritori. La televisione era un servizio pubblico in cui lavoravano anche veri giornalisti come Enzo Biagi, e con solo un quarto d’ora di pubblicità al giorno. Quando si parlava si usava il tempo futuro. Il presente e soprattutto il passato erano verbi di complemento. I giardini pubblici erano puliti e sui marciapiedi si camminava senza doversi destreggiare tra le macchine parcheggiate. Le persone erano più gentili, spesso sorridevano. Sul Corriere della Sera scrivevano Montanelli, Buzzati e Pasolini..."
Sottoscrivo tutto.

martedì 3 marzo 2009

La mia mania di collezionismo

Fin da piccolo ho sempre collezionato qualcosa. Ho cominciato con gli albi delle figurine, per lo più quelle dei calciatori, ma anche altre (mi ricordo una raccolta che si chiamava "Ruote, vele, ali" con immagini di veicoli di ogni genere e di ogni tempo, uno schianto!). Allora (parlo degli anni cinquanta, ma anche dopo) le figurine non erano autoadesive. Ci voleva la coccoina per attaccarle sull'album: io ce ne mettevo tanta e alla fine l'album si gonfiava e diventava alto il doppio, e qualche volta le pagine si attaccavano fra loro. Poi ho cominciato con i fumetti (Grande Blek e Capitan Miki). Tutte le settimane andavo dalla mia edicolante e compravo quegli albetti rettangolari che oggi sono diventati così ricercati. Costavano venti lire l'uno, e la mia paghetta settimanale era di cento lire, così mi avanzavano i soldi per comprare altre cose. Ne ho acquistati per diversi anni, poi me ne sono liberato e mi mordo ancora le mani per averlo fatto. Quando sono stato più grandicello e mi è presa la fissa della fantascienza ho cominciato a collezionare gli Urania, poi via via tutte le altre pubblicazioni periodiche. Giunto ad averne qualche migliaio non sapevo più dove metterle e così, negli anni settanta ho cominciato e venderle (in qualche occasione a svenderle). Anche in questo caso mi mordo ancora le mani per averlo fatto. Successivamente, sposato e con un figlio, non ho collezionato più niente. Non ne avevo il tempo, e comunque in una città di provincia era assai più difficile, rispetto a Roma. Trasferitomi in campagna ho cominciato a collezionare gatti (non del tutto per mia volontà). Sono arrivato ad averne 44 (già, i mitici 44 gatti della canzone dello Zecchino d'oro), poi mi sono detto che non era una cosa del tutto normale e il loro numero è diminuito progressivamente. Non ne ho ucciso nessuno (non lo farei mai), mi sono limitato a un'opera sistematica di sterilizzazione delle femmine. Il resto lo ha fatto il destino. Adesso ne ho solo (si fa per dire) una ventina, ma la popolazione è diventata stabile, con una inevitabile tendenza al calo. Al momento colleziono telefilm di fantascienza. Sono arrivato a quasi 3000 titoli (da Star Trek a Lost), inzeppati su due hard drive esterni da 500 Gb l'uno. Ne ho anche un terzo da 320 Gb, ma lì ci tengo altre cose, non di fantascienza. Probabilmente non avrò mai il tempo di vederli tutti, ma saprò come ammazzare la noia quando sarò in pensione. Francesco mi prende in giro per questo, ma ragazzi, questa sì che è una collezione! E se ve ne servisse qualcuno, basta fare un fischio.