mercoledì 24 dicembre 2008

Letterina a Babbo Natale

Caro Babbo Natale,

lo so che sono troppo grande per rivolgermi a te, e poi da un po’ di tempo non credo nemmeno più alla tua esistenza, ma facciamo finta che io sia ancora piccolo. Tanto per te, uno in più uno in meno, non credo che faccia tanta differenza.

E poi non voglio nemmeno chiederti regali per Natale. No, ho già tutto quello che mi serve, più o meno, e quello che non ho posso procurarmelo da solo. Vorrei invece che tu mi liberassi di qualcosa, con un colpo di bacchetta magica o in un altro modo, vedi tu. Le risorse non ti mancano.

Liberami, per favore, dei telethon, delle partite del cuore e di tutte le altre forme di beneficenza-spettacolo che infestano l’Italia in questo periodo.

Liberami dei gratta e vinci, dei superenalotto e di tutti i totoqualchecosa che illudono i gonzi e ingrassano solo questo stato biscazziere.

Liberami dei falsi babbi natale nelle piazze, dei falsi zampognari che scendono dalle montagne, degli abeti di stoffa, dei presepi con la carta stagnola, dei mercatini finto-etnici che puzzano di incenso e risuonano di sonorità andine, dei cenoni e dei botti di fine anno, e del consueto bollettino di guerra del giorno dopo.

Liberami delle pubblicità stupide: degli scoiattoli e dei pinguini che salvano il mondo a colpi di scoregge, degli antichi vasi che devono essere salvati, delle banche circolari costruite intorno a te, dei bambini istupiditi dai pandori e dai panettoni, delle automobili che danzano e che volano, dei mulini bianchi e delle fattorie, delle tribù che parlano in eterno a zero centesimi, dei cavernicoli che ringano 12-54.

Liberami della TV spazzatura, delle veline, delle letterine, delle isole, delle talpe, degli amici, dei grandi fratelli, delle carrambe, delle domeniche in famiglia, delle maratone di ballo, dei porta a porta, delle interminabili dirette da Piazza San Pietro.

Liberami delle banalità dei calciatori, dei rotocalchi scandalistici, delle approssimazioni linguistiche dei giornalisti, dei neologismi e dei barbarismi non necessari, delle scritte volgari sui muri, dei luoghi comuni, degli allarmismi inutili, dei tormentoni per fare audience, delle discoteche con tutta la loro brutta musica e il loro corredo di idioti che si spiaccicano per le strade.

Liberami della mummia che siede al Quirinale, dei federalisti in cravatta verde e del loro losco caporione, del bravo ragazzo che dovrebbe opporsi e non lo fa, dei politici corrotti, indagati o condannati, dei voltagabbana e dei portaborse, dei sindacalisti di comodo e degli statali fannulloni.

Liberami della presenza ingombrante del Vaticano, del suo pastore tedesco e dei suoi lacchè, in abito talare o meno.

Liberami di quest’Europa costruita a tavolino senza che nessuno si degnasse mai chiederci la nostra opinione, del suo fottuto euro e delle sue fottute direttive.

Liberami, infine, se puoi, dell’imprenditore / presidente del Milan / politico / intrattenitore / faccio-tutto-io che guida le sorti degli italici destini. Sì, lo so che questa è un po’ più difficile, ma da qualche parte del mondo ci sarà pure qualcuno che crede ancora alle favole.

Grazie.

venerdì 12 dicembre 2008

Piove, governo ladro!

Piove, governo ladro! Così si diceva una volta, e dal momento che nei detti popolari c'è sempre un sottofondo di verità bisogna dedurne che la disaffezione dei cittadini nei confronti dei suoi governanti non è cosa di adesso. Anche se tutto autorizzerebbe a pensare che invece l'abbia provocata la pochezza degli ultimi governi che si sono succeduti in Italia.

Be', comunque piove da ieri, dalle mie parti, e a Roma non stanno messi meglio, ma per continuare con la mia metafora meteorologico-politica, facciamo un salto indietro di quasi mezzo secolo.
1962. In quell'anno uscì un film che avrebbe fatto epoca. Si chiamava "Il sorpasso", era diretto da Dino Risi e interpretato da un mostruoso Vittorio Gassman, insieme a Jean-Louis Trintignant e Catherine Spaak. Mi è capitato di rivederlo qualche giorno fa in TV e mi ha lasciato di stucco. Ci ho ritrovato dentro l'Italia felice e ottimista di allora, abbagliata dal boom, quando governavano i democristiani, i soldi giravano, il twist impazzava e tutto sembrava a portata di mano. Ci ho anche trovato me stesso sedicenne, nei panni dello studentello impacciato e secchione che si lascia sedurre dal cialtrone di turno. Perché anch'io ero un po' come lui, e cercavo di esorcizzare la mia timidezza frequentando amici più "scafati". Che poi ogni tanto mi hanno anche mollato qualche fregatura.
Ma insomma, tornando all'Italia degli anni sessanta, era davvero un mondo pieno di ottimismo e di fiducia, in cui l'invadenza dei media non era ancora così forte e dunque non ci ritrovavamo fra i piedi ogni giorno le avvilenti pantomime del potere, e gli uomini politici ci sembravano tutti belli e buoni, a parte qualche scandaletto ogni tanto che poi moriva lì.

Il sessantotto era ancora di là da venire, Kennedy era ancora vivo e la RAI aveva un solo canale, da cui faceva il bello e il  cattivo tempo. Niccolò Carosio esclamava a bassa voce "quasi gol", Mike Bongiorno e Giulio Andreotti già imperversavano (saranno mica eterni?), il Brasile di Pelè vinceva il Campionato del mondo in Cile, dove gli italiani furono presi a calci in culo. Io cominciavo allora a fumare, in quella sorta di rito di iniziazione che un tempo era quasi d'obbligo.
E Gassman diventò un modello che molti, dopo, purtroppo hanno imitato.

martedì 2 dicembre 2008

La mia vita in due parole

Stamattina, quando mi sono svegliato, non mi ricordavo affatto che oggi fosse il mio compleanno. Me l'ha ricordato Francesco con una telefonata di auguri mentre stavo beatamente traducendo. Poi altri sono stati così gentili da festeggiarmi, ma in sostanza devo ammettere che, non da adesso, il 2 dicembre è diventato un giorno come un altro.

Come amo dire scherzosamente, a questo punto più che festeggiare bisogna commemorare, stringere i denti e andare avanti. Superata una certa età, si perde anche il gusto della ricorrenza, forse perché è capitata già troppe volte per avere ancora voglia di celebrarla.
Con questo non voglio fare discorsi disfattisti, anzi, visto che sono in ballo, parlerò un po' di me, così potrete chiudere il collegamento e andarvi a distrarre con letture più amene.
Sono nato sessantadue anni fa nella ridente (ridente? Ma chi l'ha mai vista ridere? diceva Renato Pozzetto) città di Roma. In una nottata freddissima, sostenuta da mio padre, mia madre andò a piedi fino alla clinica (da Via Vittoria fin quasi a Piazza Risorgimento, fatevi un po' un'idea) tenendosi la pancia scossa dalle doglie e aggrappandosi a tutti i lampioni. Poco c'è mancato che nascessi per strada. Invece nacqui la mattina dopo, alle 10 e 40.

Figlio in qualche modo della guerra, o se preferite dell'immediato dopoguerra, devo aver patito anch'io le ristrettezze di quel periodo, ma non ne ho memoria. Mi si dice che da piccolo abitavo insieme ai miei in quel di Via Vittoria, in pieno centro storico, in un appartamentino fatiscente condiviso con un anziano zio. Nei paraggi era ancora pieno di case chiuse, dove i militari facevano la fila (e anche mia madre, una volta per sbaglio, credendo che distribuissero qualcosa da mangiare. E' un aneddoto che mi ha sempre fatto molto ridere). Ma i miei si amavano ed erano felici. Poi pian piano le cose sono migliorate, e ci siamo trasferiti in un bell'appartamentone in zona Flaminio. Mi ricordo ancora che durante il trasloco giocavo con una spazzola in mezzo alla segatura. Dopo quattro anni è nato mio fratello Stefano, che pare abbia dormito pochissimo per diversi mesi, riducendo mia madre sull'orlo dei suicidio. In seguito è diventato un bravo ragazzo, molto più simpatico di me. Più avanti siamo finalmente riusciti a tornare nel villino di Viale Vaticano che aveva costruito il mio nonno paterno nel lontano 1923. Si era finalmente liberato l'appartamento al piano di mezzo, e lì ho vissuto fino a quando non mi sono sposato.
Scuola elementare dalle monache (di quelle cattive, che davano le bacchettate sulle dita, ma io ne ho prese poche perché ero abbastanza diligente), poi le medie alla Ludovico Ariosto in Via Luigi Rizzo e il liceo scientifico al Plinio Seniore di Via Montebello, un orribile palazzone adibito con qualche fatica a edificio scolastico e popolato da loschi insegnanti senza qualità. Sopravvissuto a stento al liceo, sono poi rinato nel periodo universitario (Lingue e letterature straniere al Magistero, in Piazza Esedra). Laurea col massimo dei voti, magna cum laude. Quindi il servizio militare, prima a Bari poi a Roma, in aeronautica, altra esperienza da cancellare. Dopo qualche invenzione per mantenermi senza dover contare sempre sui soldi di papà, finalmente nel 1976 ho vinto un concorso statale per le biblioteche, e sono ancora qui, in una biblioteca, tutto sommato contento di aver sempre fatto lavori che mi piacevano.

Una vita come tante. Nulla di particolare. Ma a me sta bene. Non rimpiango quasi nulla del passato, e mi aspetto sempre qualcosa dal futuro. Un atteggiamento positivo che mi ha sempre aiutato. Come mi diceva oggi mia zia Adriana al telefono (80 anni suonati): alla nostra età, quando c'è la salute, che altro si può chiedere?

Ha ragione. Per un sagittario come me, poi, l'ottimismo è d'obbligo.