sabato 26 settembre 2009

Oggi parlo di film

Oggi parlo di film. Come forse avrete già capito amo la fantascienza, l'horror, lo splatter, il trash, l'azione. Tutta roba che non fa pensare, insomma, da gustarsi con la classica coca cola e il piattone di pop-corn. Stacco il cervello e mi rilasso.

Cominciamo con un film che ha fatto molto discutere e ha suscitato reazioni molto forti: Martyrs, di Pascal Laugier. C'è gente che al cinema si è sentita male, ha vomitato, imprecato, protestato. In effetti ci sono scene di bassa macelleria che possono turbare, ma quello che in definitiva colpisce di più è il concetto di sofferenza elevato al rango di strumento mistico di conoscenza. C'è sangue, ci sono torture, mutilazioni, c'è sopraffazione fisica e psicologica, ma il tutto in qualche modo nobilitato da un assunto filosofico di fondo che riesce a riscattarne la violenza. Una violenza peraltro fredda, chirurgica, da sala operatoria, senza compiacimento. Un film per stomaci forti, ma sul quale meditare.

The Mist, di Frank Darabont, ripropone quella che sembra l'ennesima situazione claustrofobica di un gruppo di persone all'interno di uno spazio chiuso, al di fuori del quale premono per entrare mostruose creature di non ben precisata provenienza. Alla lunga, però, ci si accorge che c'è qualcosa di più: il tentativo di analizzare le reazioni di questo gruppo di fronte alla pressione e alla minaccia dell'ignoto. La bestia che è dentro di noi è sempre pronta a prendere il sopravvento, cancellando l'apparenza di umanità e sgretolando ogni forma di razionalità. Con un finale da shock.

Molti trekkers (per i non addetti: gli appassionati di Star Trek) forse avranno storto il naso di fronte al film di J. J. Abrams (Star Trek. Il futuro ha inizio) che narra le vicende di un Kirk e di uno Spock poco più che ragazzi e si pone come la premessa (del tutto personale) della saga. Abrams (il genio che sta dietro telefilm come Lost e Fringe e film come Cloverfield) non è, per sua stessa ammissione, un fan di Star Trek e questo gli ha consentito di lavorare con tutto il distacco necessario. Non abbiamo più di fronte degli eroi immacolati e pieni di alti ideali, ma degli uomini in carne e ossa con tutti i loro limiti (specialmente Kirk): una sorta di de-sacralizzazione che, unita a un approccio visionario, ribalta completamente l'immagine consolidata in dieci film, cinque serie e circa 600 episodi.

Mi ha poco convinto, invece, il quarto episodio della saga di Terminator (Terminator Salvation, di Joseph McGinty Nichol), e non solo perché il buon Schwarzenegger qui è assente. Cupo e desolato, il film non rispetta se non in minima parte il consueto canovaccio già sperimentato con successo nei primi tre episodi: Sarah Connor-John Connor contro il terminator cattivo di turno. In questo caso la vicenda si svolge in quel futuro che si cercava di evitare, dove le macchine hanno preso il sopravvento e gli uomini lottano disperatamente per sopravvivere, e la storia, un po' raffazzonata, si dipana zoppicando, sempre in bilico fra azione e riflessione, e a volte nemmeno i buoni effetti speciali riescono a ravvivarla. Il brutto è che sono previsti altri due seguiti...

Chiudo con delizioso film coreano (2009. Memorie perdute di Si-myung Lee) in cui si narra di un presente alternativo in cui la Corea è diventata una provincia del Giappone che ha vinto la seconda guerra mondiale alleandosi con gli Stati Uniti. Ma la storia è stata falsificata, e la chiave di tutto è in un evento del 1909 e in un congegno che consente di viaggiare nel tempo per cambiarlo. Anche con un finale un po' confuso, è un film che avvince e stupisce.


giovedì 17 settembre 2009

Altri sei morti italiani in Afghanistan

Altri sei morti italiani in Afghanistan.

Al di là della pietà umana per loro e per le loro famiglie, non posso fare a meno di osservare che si tratta di militari professionisti spediti in un luogo di guerra dietro loro esplicita richiesta, e dunque profumatamente pagati per svolgere questo incarico. Che comporta dei pericoli. Un po' come un pilota di Formula Uno: sa benissimo che il suo è un mestiere a rischio e dunque se gli succede qualcosa deve prendersela solo con se stesso.

Questi piccoli rambo, probabilmente ragazzi che non avevano altre opportunità nella vita, hanno perso la vita in una guerra che non gli apparteneva, e certamente erano convinti di fare la cosa giusta. Però una guerra è sempre una guerra, specialmente questa, che si combatte a colpi di autobombe e di attentati, e il rischio di lasciarci le penne è sempre dietro l'angolo.
Si potrebbe poi discutere sull'opportunità dell'intervento militare italiano in Afghanistan. Personalmente sono convinto che una democrazia non si esporti, né si imponga con la forza delle armi: deve nascere spontaneamente dal basso, dai cittadini, sulla spinta stessa di legittime esigenze di libertà e di giustizia. Ma dal momento che in quella parte del mondo la libertà e la giustizia sono concetti del tutto personali, il più delle volte condizionati da interessi nemmeno troppo nascosti o dal fanatismo religioso, allora devo aggiungere che sì, può anche essere giusto aiutare chi non ce la fa da solo a trovare la strada. In questo senso mi trovo d'accordo con le tante missioni umanitarie e di sostegno a ogni processo di crescita democratica. Compreso quello italiano in Afghanistan.
Purché sia chiaro a tutti che non è una passeggiata, e che può anche succedere che qualcuno perda la vita. Non è un eroe, ma semplicemente uno dei tanti caduti sul lavoro.

venerdì 11 settembre 2009

Otto anni fa, le Torri Gemelle

Otto anni fa ci siamo scoperti all'improvviso vulnerabili.

L'attacco alle torri gemelle di New York è stato un attacco alla nostra presunzione di superiorità, e il loro crollo è stato il crollo delle nostre secolari certezze. Tutto a un tratto abbiamo toccato con mano l'esistenza di un intero mondo di disperati che non hanno nulla da perdere e che sono animati solo da pulsioni elementari e da ideali, perversi quanto si vuole, ma pur sempre ideali. Proprio quelli che noi stiamo perdendo, tramortiti dall'opulenza e dall'effimero. E così ci siamo accorti che intorno a noi c'è una sterminata manovalanza umana disposta a tutto, che nelle mani di gente senza scrupoli si trasforma in una minaccia permanente ai nostri privilegi e al nostro benessere. La guerra santa degli straccioni rischia di essere l'evento che caratterizzerà il primo secolo del terzo millennio, durante il quale verranno al pettine diversi nodi dei quali non ci siamo preoccupati a sufficienza, se non negli ultimi anni, in primis l'esaurimento delle fonti energetiche tradizionali, dell'acqua, del cibo. E non c'è niente che possa fermare un esercito di affamati e di assetati che preme alle nostre frontiere, né leggi né armi. E' come un fiume in piena che rischia di travolgere tutto.

Che cosa abbiamo da opporre alla forza bruta della fame, della povertà e del fanatismo religioso?

giovedì 3 settembre 2009

Un mondo paranoico

Viviamo in un mondo che sta diventando paranoico. E non mi riferisco alle isterie del nostro premier, che pure meriterebbero un discorso a parte. Ma, poverino, ce l'hanno tutti con lui, perciò stavolta lo lascio in pace.

No, mi riferisco alla moda (ma vogliamo chiamarla mania?) del salutismo a tutti i costi. Nata sull'onda lunga del mai troppo deprecato movimento New Age, sta dilagando come un'onda in piena: dal fitness (ma vogliamo chiamarlo benessere?), con gente che fa jogging in mezzo al traffico, palestre e centri di abbronzatura che nascono come funghi, all'alimentazione (l'altro giorno ero in un supermercato e ho contato uno scaffale con cinque ripiani - per un totale di circa quindici metri lineari - tutti dedicati agli yogurt e prodotti similari, mentre il buon vecchio latte è relegato in un angolino con un paio di metri di scaffali se va bene), dall'igiene personale (Amuchina portatile per lavarsi le mani in continuazione, il Napisan che una volta serviva a pulire i pannolini dei neonati e oggi igienizza anche gli alimenti, perché naturalmente non basta sciacquare frutta e verdura sotto l'acqua corrente, ci mancherebbe) a tutta una serie di pratiche alimentari che vanno dal semplice vegetarianesimo (che a me già fa rabbrividire, ma vabbe', lo rispetto perché dietro c'è un'ideologia condivisibile) per arrivare ai modi più estremi per farsi del male (tipo il veganesimo, la macrobiotica, il digiuno terapeutico e via dicendo). Tanto vale nutrirsi con una bella  flebo nel braccio.
E così se vai in giro a dire che ti sei mangiato una magnifica bistecca alla fiorentina o un bel piatto di bucatini all'amatriciana, poco manca che ti prendano per matto. Se poi ci aggiungi che hai innaffiato il tutto con un bel quartino di vino, apriti cielo! Io, personalmente, ci aggiungo spesso anche un bicchierino di limoncello, ma non ditelo in giro altrimenti qualcuno potrebbe lapidarmi.
E poi: la birra analcolica, il latte ad alta digeribilità, la Coca-Cola senza zucchero o senza caffeina, integratori alimentari, regolatori dell'intestino, la pasta di riso, l'olio di riso, le bistecche di soia, il latte di soia, il formaggio di soia, la riscoperta di strani prodotti della terra che erano giustamente caduti nel dimenticatoio, e il diluvio di prodotti integrali, venduti a prezzi offensivi anche nelle farmacie. Già, perché l'industria del salutismo ci si ingrassa alla grande.

A proposito di farmacie: adesso proliferano anche le cosiddette parafarmacie, perché le persone hanno sempre bisogno di mandar giù qualche medicinale, anche quando stanno benissimo e il loro organismo (o magari il semplice buon senso) potrebbe fornirgli tutto quello che occorre. Un po' come la coperta di Linus: se non ce l'hanno si sentono perduti.

E poi lo zucchero! Qualcuno usa ancora lo zucchero? Io non vedo più nessuno che metta lo zucchero nel caffè. Magari un dietor, o lo zucchero di canna o qualche altra porcheria. Oppure rigorosamente amaro.

Insomma, pian piano stanno scomparendo tutti i sani, semplici piaceri della vita. Il palato è diventato un optional che non si sa bene a che serva. Si vuole campare più a lungo, ma in modo quasi ascetico, punitivo, e così la vita perde sapore, e allora che gusto c'è?