sabato 25 giugno 2011

Sempre meno libertà

Be', c'è qualcuno che la pensa come me.

"Ma come non renderci conto che noi cittadini comuni stiamo divenendo sempre più SERVI? L'individuo è sempre più preda di oligarchie politiche, burocratiche, sindacali, poliziesche e giudiziarie che celano le loro identità dietro un espediente linguistico: si fanno chiamare STATO."

E ancora:

"Negli ultimi decenni, al Molock statale se ne è sovrapposto un altro ad esso sovraordinato e, se possibile, ancor più invasivo e dispotico: quella legione di politici e alti burocrati, a cui un nostro infantile istinto gregario ha affidato il compito di disciplinare minuziosamente la nostra vita. Un mostro che si fa chiamare Unione Europea."

E per concludere:

"È così che pian piano stiamo perdendo la libertà di scegliere alimenti, abbigliamento, emozioni, piaceri, rischi… e come scimmie ammaestrate obbediamo ai comandi dei nostri Guardiani platonici, i quali ci prescrivono la loro euro-eu-dietetica, euro-eu-genetica, euro-eu-estetica, euro-eu-etica, euro-eu-erotica… Ci sarà richiesto l'esame di abilitazione per vivere, ci imporranno corsi di specializzazione per alimentarci, per fare l'amore…"

Non l'ha scritto un grande filosofo, un grande pensatore, ma un perfetto sconosciuto, almeno al di fuori degli angusti limiti della città di Macerata. Si chiama Aldo Canovari, ed è il responsabile di una piccola, ma agguerrita, casa editrice locale: Liberilibri (http://www.liberilibri.it/), che da anni pubblica testi sul libero pensiero, o se preferite sul pensiero libertario. Vi consiglio di dare un'occhiata al suo catalogo.

In effetti sono sempre stato un liberale, anzi per dirla all'inglese (che suona anche più chic), un "liberal", che da noi quella parola si è inflazionata e ha finito col perdere buona parte del suo significato originario, così come la parola "libertà", da tempo calpestata da un personaggio di cui non faccio il nome che ha pensato bene di inserirla nel nome del partito da lui creato.
Guardate com'è ridotta l'Italia, e guardate com'è cresciuta l'Europa. Io non mi riconosco in nessuna delle due, la prima per via dell'avvilente pochezza dell'attuale classe politica, la seconda perché è stata creata in laboratorio, nostro malgrado, e non assomiglia per niente all'idea di "patria comune" che ognuno di noi forse aveva in mente. Tutti, prima o poi, passeranno dentro il tritacarne di Bruxelles e piangeranno lacrime amare. Siamo proprio sicuri che non si stava meglio prima?
Aridatece la lira!

giovedì 16 giugno 2011

Ce l'abbiamo fatta

Ce l'abbiamo fatta.

A mente fredda, dopo la sbornia dei numeri nella giornata di domenica (con quel 41% delle 22 che era già un anticipo di vittoria), mi viene da pensare che non si sia trattato solo di un riflesso emotivo dopo il disastro di Fukushima, con il nucleare che trascina gli altri quesiti. Certo, quel tragico evento ha inciso, così come incise Chernobyl nell'altro referendum che cancellò le centrali nucleari italiane nel 1987, ma probabilmente da solo non sarebbe stato sufficiente per raggiungere il quorum.
No, questa volta si può dire che è stata la prima, grande affermazione della rete. Imbavagliato da una censura strisciante, da una informazione incompleta (quando non assente, quando non mendace), dall'apparente impossibilità di far valere la sua voce di fronte alla prepotenza e all'arroganza di questa politica (nessuno o quasi escluso), il popolo della rete si è mobilitato come non mai. Quel continuo passaparola, quel tam tam incessante, quell'esplodere della fantasia, potevano essere possibili solo in forma virtuale. Ma che concretezza, però, che formidabile strumento di comunicazione e di informazione. Libero, per di più, per sua stessa natura insofferente di qualsiasi limitazione, e impossibile a essere limitato. Nessuno, nemmeno Paperon de’ Berlusconi può comprare la rete. E d'ora in avanti questi signori, questi impudenti, sprezzanti, volgari accaparratori di poltrone e di prebende dovranno fare i conti con questo nuovo avversario.
Me li immagino che gongolavano, sicuri che il quorum non sarebbe stato raggiunto, pronti a dire all'elettore bastonato che per l'ennesima volta aveva fatto perdere tempo e soldi a tutta l'Italia. Pronti, magari, a cancellare questo sciagurato istituto del referendum, che tanto le leggi ci pensano loro a farle, come meglio gli aggrada.

E poi la bastonata sui denti, la rabbia mascherata, forse la paura. Intravedo spiragli che solo un mese fa mi sarei solo sognato.


domenica 5 giugno 2011

Ogni volta che vado a Roma non vedo l'ora di scappare

Ogni volta che vado a Roma non vedo l'ora di scappare. Mi coglie una specie di disagio esistenziale. Mi infastidisce il rumore, il traffico, la sporcizia, la confusione. Mi manca l'aria, non mi sento tranquillo.

Eppure sono nato lì, ci ho vissuto per trent'anni, e l'ho anche amata, Roma. Quella Roma di una volta che adesso non c'è più. Cancellata da decenni di crescita incontrollata, di cattiva amministrazione, di menefreghismo. Devastata da strade, viadotti, tangenziali, sottopassaggi, corsie preferenziali. Travolta da un turismo usa e getta, da visitatori frettolosi che non sanno nemmeno ciò che si trovano davanti, preoccupati soltanto di riempire la memoria delle loro fotocamere digitali. Sfruttata da un'orda di parassiti, di invasori irrispettosi, di barbari attirati dal miraggio della metropoli. Fagocitata dal fiume di macchine che la corrode lentamente, parcheggiate dovunque, sotto gli occhi distratti di tutti. Rassegnata a ingrassare smodatamente sotto il peso della sua stessa bulimica smania di grandezza, ma in realtà destinata a consumarsi nel tempo, a trasformarsi in un grande formicaio come tante altre città del mondo. Che non hanno nemmeno la sua storia.
Eppure una volta era bello viverci. Era bello camminare per le sue strade, per i suoi lungotevere, salire e discendere i suoi tanti colli. Era bello soffermarsi davanti al suo immenso patrimonio archeologico, entrare in una chiesa qualsiasi e trovarci, inevitabilmente, qualche capolavoro. Era una città in cui si provava piacere a vivere, e della quale si era orgogliosi di far parte.
Ho abitato fin da piccolo in Viale Vaticano, e spesso uscivo di casa l'ultima domenica del mese, percorrevo cento metri ed entravo nei Musei Vaticani, che in quel giorno erano gratuiti. Me ne restavo lì per ore, quasi da solo, ad ammirare la Cappella Sistina e tutti gli altri tesori che vi si trovano, e ne uscivo ogni volta estasiato, come in trance. Oggi sarebbe impossibile. C'è sempre una fila lunghissima di turisti, di quei turisti di cui parlavo prima, intruppati per ore sotto il sole o sotto la pioggia e poi costretti a percorrere a passo di marcia un itinerario già scritto, senza il tempo di soffermarsi, di riempirsi gli occhi di tante bellezze, di alzare gli occhi verso il Giudizio universale e scolpirselo nella memoria più di quanto possa fare una fredda fotografia.

Andavo spesso anche a San Pietro, e mi fermavo a lungo davanti alla Pietà di Michelangelo. Potevo toccarla. Oggi è nascosta dietro un cubo di plexiglass, o forse di vetro antiproiettile: lontana, irraggiungibile.
Roma ha cominciato a guastarsi all'inizio degli anni sessanta, con l'arrivo del boom, del mito del benessere diffuso. Da allora è diventata un'altra città, una città in cui pian piano ho cominciato a non riconoscermi più, fino a scapparne e a rifugiarmi in provincia.

Amo ancora Roma (o forse amo il ricordo che ho di lei), e mi sento ancora civis romanus, ma non potrei più viverci. Mi intristisce troppo vederla ridotta così, involgarita, imbruttita, saccheggiata, privata della sua dignità, del suo passato e forse anche del suo futuro. Lontano, nel mezzo del nulla, mi illudo che un giorno possa tornare a essere ciò che era, ma non mi faccio troppe illusioni. E' tutto il mondo che cambia, e non in meglio, purtroppo.