venerdì 30 dicembre 2011

Per Natale sono andato a Roma. Visita d'obbligo, o quasi.
Arrivo a Termini il pomeriggio del 24, e vado a prendere la Metro. I cestini della spazzatura traboccano e sui marciapiedi c'è di tutto, comprese pile di giornali buttate lì non si sa da chi e per quale motivo. Nessuno ha pulito, quel giorno. Mi sono vergognato di essere italiano, e romano.
La mattina del 25, una splendida giornata con un sole quasi primaverile, me ne vado a San Pietro, come facevo spesso da ragazzo. Arrivo al colonnato e trovo dei tornelli con metal detector per accedere alla piazza. Ti frugano borse e borselli. Entro in San Pietro e mi vado a vedere la Pietà di Michelangelo. E' sempre lì, piccola e irraggiungibile, dietro una enorme vetrata (immagino antiproiettile).
All'esterno i papa-boys urlano e cantano isterici. Qualcuno ha forse dormito lì per essere in prima fila alla benedizione urbi et orbi. Turisti orientali (giapponesi, ma non solo) impazziscono con le loro fotocamere digitali, senza probabilmente nemmeno sapere cosa stanno fotografando. La piazza è piena di poliziotti in borghese e non.
Me ne vado avvilito, domandandomi come si possa vivere in una città del genere, che in certe parti sembra zona di guerra.
Arrivo in Piazza Risorgimento e lo sguardo mi cade su un semaforo. Allibisco, non ci posso credere. C'è il conto alla rovescia per i pedoni che indica quanti secondi mancano al rosso. Come a Taipei! Non c'è il pupazzetto che cammina e poi si mette a correre, ma è già un passo avanti.
Il 26 riprendo la Metro per andare a Termini. L'immondizia è sempre lì, se possibile ancora di più.
Buon 2012 a tutti.

venerdì 23 dicembre 2011

A Natale sono tutti più buoni. Io no.
Sono buono tutto l'anno, dunque non ho motivo di cambiare a Natale. Anzi, mi incazzo perché vedo tante banalità, tante ipocrisie, tanti sprechi. La gente si affanna a comprare di tutto, si riempie il frigorifero perché non si sa mai, metti che dovesse mancare l'uva sulla tavola (l'uva? In pieno inverno?). Non ha soldi per fare grandi acquisti ma al regalo non si può rinunciare, è un obbligo (sennò che figura ci faccio?), e così si precipita in quei tristi mercatini dove però tutto costa poco (e vale anche poco).
Oggi sono andato a fare un po' di spesa (be', anch'io devo mangiare, ogni tanto): guardo nel banco frutta del supermercato (non il solito Eurospin, però, perché lì non sempre trovo tutto quello che cerco, ma al mitico Villa Shop) e che ti vedo? Quei meravigliosi, succulenti mandarini cinesi dei quali mi abbuffo ogni volta che vado a Taiwan. Si mangiano con tutta la buccia e io li adoro. Prezzo, per un cestino da 200 grammi? Quasi cinque euro. Li ho lasciati lì, sia pure con un certo rammarico. Ci sono delle cose che mi rifiuto di acquistare perché trovo il prezzo eccessivo. Ok, magari i mandarinetti vengono dalla Cina e ci sta che siano un po' cari, ma farmi fregare in nome della (pretesa) qualità o del fatto che "è la tradizione", no grazie.
Per fare un altro esempio: in un supermercatino dove ogni tanto prendo al volo cose che mi servono lì per lì vendono da mesi un prosciutto spagnolo che costa la bellezza di 57,40 euro al chilo! Avete capito bene, più delle vecchie centomila lire. Ora io mi dico, ma ci sono tanti prosciutti meravigliosi in Italia, a cominciare dal Parma, che costano la metà e anche di meno. Lo stesso Culatello di Zibello, che piace tanto a Francesco e Rose, non arriva nemmeno lontanamente a quella cifra. E allora perché devo svenarmi per un qualsiasi prosciutto spagnolo? Però la mia amica commessa dice che si vende. Valli a capire, gli italiani, sempre a piangere e poi con le mani bucate.
E allora quest'anno niente auguri di buon Natale a nessuno, e che la Befana porti tanto carbone a tutti.
Vabbe', esclusi quelli a cui voglio bene...

sabato 17 dicembre 2011

E così pare che non sarà possibile leggere i sei anni di post del buon Horselover. La migrazione da Splinder a Blogger ha cancellato tutto. Anzi, no, non cancellato, perché li ho salvati dal primo all'ultimo, ma voi tapini non potrete più leggerli. Magari prima o poi ci farò un libro.
Comunque, con l'occasione, me li sono riletti tutti. E mi sono anche divertito, scoprendovi una varietà di temi affrontati di cui non mi credevo possibile. Non sono alta letteratura, certo, ma costituiscono una lettura sempre piacevole, qualche volta brillante, qualche volta meno, e ci sono molti spunti interessanti che si potrebbero anche approfondire. E, cosa più importante, poi, sono scritti in un buon italiano.
E questo lo dico non per per sbrodolarmi, ma perché il buon italiano sta diventando merce rara. Molti giovani non sanno scrivere perchè non leggono, e quello che scrivono è pesantemente condizionato dalla brutta tendenza all'utilizzo dell'italiese dei messaggi, quello fatto di k, x e altre brutture.
Quando ero più piccolo avevo l'abitudine di scrivere su due quaderni separati i giudizi sui film che vedevo e sui libri che leggevo. Alcuni li conservo ancora, e anche se si trattava di opinioni di un critico in erba, con tutti i limiti dell'età e dell'inesperienza, erano scritti in modo impeccabile.
Ho sempre letto molto, fin da quando ho imparato i primi rudimenti della lettura alle elementari. Appena adolescente facevo a gara con il mio amico Walter a chi leggeva di più: ognuno di noi aveva un quadernetto in cui segnava autore e titolo dei libri letti, e nessuno dei due barava. Arrivammo a oltre 1000 titoli, poi ci accorgemmo che eravamo cresciuti e lasciammo perdere. Ma non ho mai concepito, nemmeno lontanamente, l'idea di non avere un libro da leggere. Una volta lo leggevo anche sull'autobus, quando lo prendevo. Mi è capitato anche di leggerne due o più insieme, ma è una pratica che ho quasi abbandonato perché non ho più il cervello così elastico. In realtà, però, adesso lo sto facendo, ma uno dei due è una rilettura (che naturalmente ho scoperto essere diversissima da come la ricordavo) e occupa le mie quotidiane sedute in bagno (mentre l'altro è sul comodino e lo leggo la sera prima di dormire).
Insomma, leggere è un vero piacere, ed è propedeutico al buon scrivere.
E sia chiaro, parlo di leggere un libro vero, di carta, non un libro virtuale, un e-book. Mi piace toccare la carta, sentirne l'odore, sfogliare manualmemnte le pagine. Sono al contempo un bibliomane, un bibliofilo e un bibliofago. Uno di quelli che i  libri li amano, li conservano e li mangiano, per così dire.
Spero che il buon Dio, o chi per lui, mi mantenga a lungo una buona vista.

sabato 10 dicembre 2011

Mi piace il sabato. L'ho sempre amato, fin da quando ero ragazzino. E' un giorno speciale che ha in sé la promessa della domenica, tutta lì ancora da vivere. Il concetto leopardiano del Sabato del villaggio.
Mi piace anche la domenica, ma fino a un certo punto. Quando la giornata si avvia verso la fine c'è un altro concetto leopardiano che emerge, quello della Sera del dì di festa.
Non riesco a liberarmi di queste due senzazioni che mi invadono, il sabato e la domenica, nemmeno adesso che ho superato (o dovrei aver superato) l'età degli squilibri ormonali dell'adolescenza. Mi rimane sempre l'idea del sabato festoso che pian piano cede il passo a una domenica inizialmente anch'essa festosa, poi via via più malinconica, ben presto minacciata dall'incombente presenza del lunedì.
Da gennaio, poi, tutto questo non avrà davvero più senso, dal momento che per me non ci saranno più sabati e domeniche, o se preferite saranno tutti sabati e domeniche. Beatamente pensionato avrò dunque solo il problema di decidere se considerare ogni giorno un sabato o una domenica. Un po' come il discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Essendo persona tendenzialmente positiva propendo per la prima ipotesi, ma essendo anche persona tendenzialmente controcorrente devo anche mettere in conto un aspetto che potrebbe forse stuzzicarmi: lavorare quando gli altri si riposano, riposarmi quando gli altri lavorano.
Non c'è niente di leopardiano in tutto questo. E' solo lo sproloquio di uno che ha deciso di scrivere un post, qui e adesso, senza avere in realtà niente da dire. E scrivere senza aver niente da dire è cosa che non tutti sanno fare.

sabato 3 dicembre 2011

Blog nuovo, vita nuova

In attesa di emigrare all'estero in cerca di lidi più vivibili di questa disastrata Italia, mi limito a emigrare da un sito all'altro con il mio blog. Splinder chiude il 31 gennaio, ma per chi mi cercherà ancora lì ci sarà un redirect a questo sito.
Tanto per cominciare alla grande inauguro i miei interventi con una notizia clamorosa. Dal primo gennaio andrò in pensione. Sembrava che potessi restare un altro anno, e invece no. Mentre tutti blaterano di allungare l'età pensionabile, a me che chiedevo di rimanere un bel calcio in culo e tanti saluti.
Vabbe', chissenefrega. Tanto un po' di cose da fare ce le ho e un po' me le inventerò. Ne ho già parlato in un mio precedente post e non mi ripeterò. E comunque ero già preparato mentalmente a questo evento. Finisce una fase della mia vita, ne comincia un'altra. Come sarà dipenderà soprattutto da me, da quel che riuscirò a tirar fuori dalla mia nuova esistenza di pensionato. Intanto ieri ho compiuto 65 anni, e anche quella è una bella tappa. Biglietti a metà prezzo al cinema, sconti sulle ferrovie, vuoi mettere? Insomma, ancora tanto da godere, magari con qualche acciacco, ma sempre con la testa lucida. La cosa che mi spaventa di più è perdere il ben dell'intelletto, rincretinirmi, ridurmi a una larva. Per il resto non ho paura di nulla.
Mo' mi devo organizzare per passare tutto il mio bagaglio di lavoro e di esperienze (ed è tanto, credetemi) ai vari colleghi. Sto creando la mia successione, ma con la mente sono già altrove, a quel primo gennaio 2012 in cui cambierà il mio status sociale.
Pensionato. Fa tanto vecchietto che gioca a bocce ai giardini, o a briscola in qualche squallido circolo per anziani, o magari ospite di una casa di riposo chiamata "Villa dei fiori".
Invece per me significa reinventarmi, decidere che cosa farò da grande. Spero solo che nel 2012 non finisca il mondo come dicono i Maya. Sarebbe proprio una bella fregatura!

mercoledì 23 novembre 2011

Mi sento come l'omino di Altan

Vi ricordate l'omino di Altan minacciato di sodomizzazione da un tizio con l'ombrello? Ecco, io mi sento come lui. A rischio di violenza. Legalizzata.

Non ho stappato una bottiglia di spumante quando Berlusconi si è dimesso. No, non era così che doveva andare, dovevano essere gli italiani a cacciarlo via a calci in culo, alle urne. Invece se l'è cavata alla grande, da quel furbacchione che è, spacciandosi per un eroe che rinuncia disinteressatamente all'esercizio del suo diritto di governare. Così ottiene due risultati: molla la patata bollente a qualcun altro e intanto può riorganizzarsi in vista delle elezioni del 2013. Perché non c'è dubbio che, chiunque si facesse carico di guidare l'Italia in questo momento, aveva solo da rimetterci: mala tempora currunt, e continuano a dirci che se vogliamo salvarci è necessario fare dei sacrifici. E così meglio un Monti qualsiasi, che farà macelleria finanziaria senza doverne rendere conto a nessun elettore, anzi fra quindici mesi se ne andrà come salvatore della patria lasciando gli italiani in ginocchio in nome di un'idea di Europa sempre più astratta, sempre più lontana dalla gente, sempre più nelle mani di poteri forti che in un modo o nell'altro trovano comunque il modo di diventare più forti.

Bersani si è ben guardato anche lui dal proporsi, con il suo indecifrabile e frammentato PD, e ringrazia il cielo di avere un po' di tempo per mettere qualche toppa. Tutti stanno alla finestra, anche Casini, anche Di Pietro, anche Vendola, perché sanno che da una situazione del genere hanno solo da guadagnare, tanto a loro che gliene frega, hanno comunque i loro privilegi di parlamentari e possono permettersi di sopportare qualche (piccolo) sacrificio economico. Devo dire, con qualche rammarico, che l'unico coerente è stato Bossi, sia pure per motivi non certo disinteressati. Ma almeno gli si deve riconoscere di avere assunto una posizione chiara e forte. E' triste dirlo, ma secondo me la Lega è l'unico partito veramente comunista che esista oggi nel panorama politico italiano. Granitico, organizzato, vicino alla gente. Parla un linguaggio rozzo, ma semplice, comprensibile a tutti, ha un progetto preciso e lo persegue con chiunque sia disposto a condividerlo, al di là delle masturbazioni ideologiche.

E così aspettiamoci lacrime e sangue, alla stregua di una Grecia qualsiasi. Aspettiamoci quindici mesi di sofferenza senza nemmeno potersela prendere con Berlusconi o con qualcun altro dei suoi accoliti. Porgi il culo e taci! Ecco come siamo ridotti.

Certo, Monti non è Berlusconi. E' un signore, non fa battute, non commette gaffe, non ha il suo harem. Con quell'aria da nobiluomo di una volta, con il suo eloquio suadente, con il suo carisma di uomo al di sopra delle parti sembra il nonno a cui non si può non volere bene. Severo, ma imparziale. Quello che farà sarà giusto per definizione, perché non gli si possono attribuire secondi fini, non ha conflitti di interesse, non ha bisogno di ricorrere a legittimi impedimenti per salvarsi da qualche processo. Farà quello che deve perché così è scritto che sia. Amen.

Ah, a proposito di legittimo impedimento, questo interregno capita a fagiolo per Berlusconi. Scatenerà il suo esercito di avvocati strapagati per attaccarsi a ogni minimo cavillo giuridico (sfruttando anche leggi che si è fatto approvare ad hoc) e per ottenere rinvii, sospensioni, prescrizioni e quant'altro. Così nella primavera del 2013 ce lo ritroveremo più bello e più giovane a guidare l'orda dei vandali che spazzerà via per sempre ogni parvenza di libertà democratica in un'Italia prostrata, ma orgogliosamente ancora in Europa.

lunedì 14 novembre 2011

Questo blog non morirà

Da circa un mese e mezzo non scrivo più niente. Nessuno si strappa i capelli per questo. Magari a me un poco dispiace, perché in questi sei anni mi sono divertito a dare sfogo alle mie pulsioni autoriali, ma adesso sento che è diventata un'operazione accademica, priva di reali motivazioni. E a me non piace fare le cose per semplice necessità, non accetto l'idea che il blog debba andare avanti perché è brutto staccare la spina.

E c'è un limite anche al narcisismo.

Però, però... In fondo sono anche contrario alle decisioni definitive. Conservo tutto, spesso anche le cose più inutili, perché penso sempre che un giorno possano servirmi o mi venga voglia di riaverle. E allora perché buttare via sei anni di pensieri, dubbi, riflessioni, provocazioni? Scrivere è sempre un atto creativo, anche quando si compila la lista della spesa. E allora io ho creato qualcosa, in questi sei anni, che non è giusto buttare via, che ha ancora diritto alla vita, a una seconda possibilità.
E allora questo blog non morirà, cambierà semplicemente periodicità. Scriverò quando ne avrò voglia e se ne avrò voglia, magari solo per me. Mi potrà essere di conforto nelle lunghe serate invernali, o nei lunghi giorni della pensione, fra un libro e l'altro, fra un telefilm e l'altro, fra una musica e l'altra, fra una traduzione e l'altra. Potrà essere il giornalino di Gian Burrasca o il diario di un pensionato inquieto, ma sarà sempre lì a ricordarmi che finché c'è parola c'è speranza.

Per citare uno degli autori cari alla mia infanzia, Emilio Salgari, "scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli". Siccome anch'io detesto i bagagli quando viaggio, ecco che mi tengo stretta questa forma di viaggio virtuale. Per quali destinazioni ancora non lo so, ma sono curioso di scoprirle.

giovedì 29 settembre 2011

Il mitico 29 settembre

Eccoci di nuovo al mitico 29 settembre. Stagione irripetibile, quella, almeno dal punto di vista musicale. Oggi compie gli anni il nostro presidente del consiglio (rigorosamente minuscolo, perché ha davvero spianato al suolo la dignità dell'istituzione) e la mia amica Maria Teresa, di cui non rivelo gli anni ma che da sempre ne dimostra molti meno di quelli che ha. Un po' come succede a tutte le donne, che sembrano non invecchiare mai. O magari siamo noi ometti che per galanteria le aduliamo.

Buffa, questa storia dell'età. Tutti si affannano a nasconderla, a sembrare più giovani, a ingannare se stessi e gli altri. Sono stati inventati i prodotti più improbabili per ringiovanire (almeno all'apparenza): creme, miscugli, lozioni, pillole, sciroppi, pomate, cosmetici, bibitoni e porcherie varie che promettono miracoli, ma che in realtà ingrassano chi li produce. Il mito dell'eterna giovinezza non muore mai.

Ma perché non accettare semplicemente l'età che si ha?  A ben pensarci questa ossessione ha anche le sue controindicazioni. Pensate per un attimo alle donne che si tingono i capelli. In genere cominciano appena si accorgono che stanno imbiancando, e poi vanno avanti per anni, per decenni, mostrando un'immagine fasulla di se stesse, e alla quale pian piano si abituano anche loro. Ma non potranno continuare in eterno. Non potranno, diciamo a settanta, ottant'anni, presentarsi con i capelli nerissimi, o biondissimi. E quel momento sarà impietoso, per loro, perché si ritroveranno all'improvviso a dover sostenere l'impatto di una realtà che hanno sempre negato. Si vedranno canute e invecchiate, e per loro sarà uno shock.

Ma tant'è, ognuno fa quello che gli pare. Io accetto tranquillamente i miei quasi sessantacinque anni vissuti decorosamente, e non mi vergogno a mostrarmi come sono. Tra l'altro fra poco più di un anno dovrei andare in pensione e spero di non fare come Fantozzi che alla fine paga lui la ditta pur di tornare a lavorare.

Essere, non sembrare, questo è il segreto.

martedì 6 settembre 2011

Un po' di tempo con Lolo

Settembre è arrivato e non me ne sono nemmeno accorto. Come tutti gli anni aspetto con ansia l'estate, che poi arriva e vola via, lasciandomi la sensazione che il tempo cammini a differenti velocità. Corre quando si sta bene, non passa mai quando si sta male. La scoperta dell'acqua calda.

Lolo sta crescendo e io colgo solo frammenti della sua crescita. Bambino tosto, di carattere, sembra vivere un momento in cui troppe informazioni lo aggrediscono e lui fatica a elaborarle. Lingua compresa. Comunque, dopo un po' di giorni che stavamo insieme già il suo italiano era migliorato, anche se la sua tendenza è sempre quella di pensare in cinese, com'è logico che sia, vivendo prevalentemente in un luogo a lingua cinese. L'italiano verrà dopo. In questo momento sta attraversando la fase dei perché, a molti dei quali non è facile dare una risposta, come sapranno bene tutti coloro che hanno avuto figli. L'importante tuttavia è seguirlo, e in questo Francesco è bravissimo, così come Rose.

Che dire? E' partito da quattro giorni e già ne sento la mancanza, anche se ha messo a dura prova le mie poche energie di nonno. Corrergli appresso è stata una fatica improba, ma parlarci è stata un'esperienza affascinante, quasi una scoperta. Diciamo che questo è l'unico vantaggio di avere un nipote lontano: quando lo vedo devo sempre riprendere i fili di un rapporto interrotto, e non potendo contare sulla frequentazione continuata è come se ogni volta fosse tutto nuovo. Bello e stimolante.
Non so quando lo rivedrò: ci sono programmi confusi per l'anno prossimo. Magari su Skype ogni tanto. Non è il massimo, ma devo accontentarmi. Perché una cosa è certa: Lolo è un nipote da seguire.

martedì 9 agosto 2011

Riparto per Taiwan

Mentre il mondo va a rotoli, mentre anche la civilissima Inghilterra si ritrova a fare i conti con la rabbia del popolo, mentre anche i solidissimi Stati Uniti vengono bacchettati dalle agenzie di rating (ma chi le ha inventate, e soprattutto chi c'è dietro?), mentre la profezia maya della fine del mondo per il 2012 diventa via via meno fantasiosa (non una fine del mondo alla Emmerich, ovviamente, ma un cambiamento dell'ordine mondiale) e mentre noi ci dobbiamo limitare a prendercela con la pochezza dei nostri governanti, io me ne frego e oggi pomeriggio parto per Roma.

Domani mattina andrò a prendere all'aeroporto di Fiumicino Francesco e l'adorato nipote, che si tratterranno qui in Italia per circa tre settimane (Rose no, quest'anno rimane a Taipei a lavorare). Sono particolarmente curioso di rivedere Lolo, che a quest'età cresce a vista d'occhio, costringendomi ogni volta a riciclarmi come nonno per tenere il passo della sua evoluzione, soprattutto linguistica.

Certo, i due brevi periodi in cui ci vediamo ogni anno (quando io vado là e quando lui viene qui) sono insufficienti a stabilire con lui un rapporto solido, che non necessiti di essere sempre riveduto. Ogni volta è come se dovessimo ricominciare da capo a ricostruire una relazione parentale, e quando magari si cominciano a vedere i primi frutti è già di nuovo ora di separarsi. Non ci posso fare niente, e devo accontentarmi di quello che passa il convento, ma probabilmente mi perdo molto del bello che ci può essere fra nonno e nipote.

OK, bando alle malinconie. Cercherò di godermi questo periodo nel modo più ricco possibile. Ho imparato da tempo a vivere alla giornata,

Ci risentiamo a settembre.

giovedì 28 luglio 2011

Che cosa farò in pensione

Che palle!

E' una settimana che piove sempre. E che fa anche freddo. Chi ha mai dormito con la copertina di cotone in pieno luglio? Tutti giorni sottratti all'estate, che così volerà via ancora più veloce. Arriverò a settembre e non mi sarò nemmeno accorto che l'estate è finita. Poi cadrò in depressione, e intanto la vita se ne va.

Oggi scrivo nel mio blog quasi per disperazione. In realtà non ho mai avuto intenzione di mollarlo del tutto, solo di rallentare, diciamo così, in attesa di decidere che strada prendere dopo. Decisione ancor più urgente dopo aver saputo, solo qualche settimana fa, che andrò in pensione nel gennaio del 2013. Se sarò sopravvissuto al fatidico 2012...

Avevo inoltrato richiesta per rimanere in servizio un altro paio d'anni. In questo caso la burocrazia statale, solitamente lenta come una lumaca, ha dimostrato una sollecitudine quanto meno sospetta. Mi ha addirittura telefonato di persona un funzionario da Roma (che tra l'altro aveva la voce di Tremonti, chissà che non fosse proprio lui) dicendomi, caro Nati, non possiamo accettare la sua richiesta. Niente di personale, non accettiamo la richiesta di nessuno, anzi stiamo addirittura revocando richieste già approvate. Sa com'è, qui bisogna fare una bella cura dimagrante, bisogna sfoltire, l'apparato statale è troppo numeroso, perciò se la vada a prendere nel culo. Sennò come fanno i nostri politici a continuare a tenersi i loro lauti stipendi e le loro laute pensioni? Mica penserà davvero che i sacrifici devono farli loro, no? Be', non mi ha proprio detto così, ma il senso era più o meno questo.

OK, tanto mentalmente mi ero già preparato. L'età ce l'ho, l'anzianità di servizio pure, e dunque che mi cambia restare un altro po' di tempo a lavorare? Niente. Così adesso dovrò cominciare a pensare seriamente a quello che farò da grande.

Vediamo un po'... Continuare a tradurre libri, leggere, scrivere, guardare la TV, andare al cinema gratis (se è vero che sopra i 65 anni non si paga), vedermi la montagna di telefilm che ho scaricato in previsione della vecchiaia, viaggiare un po' più di quanto faccio adesso (cioè quasi per niente, non ci vorrà molto), fare un po' più di movimento, dedicare più tempo alla casa, al giardino e all'orto. Be', come prospettiva è abbastanza ricca. Niente di esaltante, ma per passare il tempo va bene.
Ci sono anche altre ipotesi che prenderò in considerazione: tornare a Roma (anzi, non proprio a Roma, ma magari a Bracciano), trasferirmi a Taiwan, vendere baracca e burattini e andarmene a vivere in un posto caldo (la Sardegna, magari, che adoro o, perché no, la California), oppure in un faro su un'isola deserta.

Magari non farò niente di tutto questo, ma è bello sapere che in teoria sono libero di fare quello che mi pare.

Vi terrò aggiornati.

mercoledì 6 luglio 2011

Quando arrivo a 10.000 visite chiudo il blog

Ho deciso.

Quando arrivo a 10.000 visite chiudo il blog. Credo sia ormai giunto il momento di cambiare. Non è più tempo di blog, o forse lo è ancora ma non in questa forma. Ho soddisfatto ogni mia tendenza esibizionistica, ho dato sfogo al mio narcisismo, ho scritto cose interessanti, altre meno, ma adesso il brivido del diario condiviso sta lasciando il posto a una sorta di rassegnata indolenza. Forse mi sono inaridito, forse sono a corto di idee, forse ho semplicemente cose più interessanti da fare.
L'alternativa non è Facebook. Posso metterci il naso ogni tanto, servirmene quando ho qualcosa da comunicare, o semplicemente in qualche momento in cui ho voglia di staccare il cervello, ma ancora non riesco a provare un feeling particolare per questo mostro dai milioni di teste, ma senza un cuore. Anzi, un po' mi spaventa, e continuo a guardarlo con sospetto come si fa con una persona che non conosci e alla quale non sai se concedere o meno la tua fiducia. Ho 41 amici, e mi bastano e mi avanzano. Per me l'amicizia è una cosa seria, anche se stiamo parlando di amicizia con la a minuscola. Quella di FB, appunto. Ho ricevuto richieste da personaggi semisconosciuti emersi dalle nebbie del passato, e nemmeno di un passato che amo ricordare. Ho sempre risposto di no. E di qualcuno al quale ho sciaguratamente detto sì mi ritrovo quotidianamente a leggere insulsi interventi sulla colazione del mattino o fantasiose citazioni erudite degne dei Baci Perugina.
Diceva qualcuno: se non hai niente da dire è meglio che stai zitto. In genere è un principio che applico nella vita, e FB è tutto il contrario. Tanti bytes sprecati. Però piace, e tant'è.
Quale sia l'alternativa non lo so. Ci devo pensare.

sabato 25 giugno 2011

Sempre meno libertà

Be', c'è qualcuno che la pensa come me.

"Ma come non renderci conto che noi cittadini comuni stiamo divenendo sempre più SERVI? L'individuo è sempre più preda di oligarchie politiche, burocratiche, sindacali, poliziesche e giudiziarie che celano le loro identità dietro un espediente linguistico: si fanno chiamare STATO."

E ancora:

"Negli ultimi decenni, al Molock statale se ne è sovrapposto un altro ad esso sovraordinato e, se possibile, ancor più invasivo e dispotico: quella legione di politici e alti burocrati, a cui un nostro infantile istinto gregario ha affidato il compito di disciplinare minuziosamente la nostra vita. Un mostro che si fa chiamare Unione Europea."

E per concludere:

"È così che pian piano stiamo perdendo la libertà di scegliere alimenti, abbigliamento, emozioni, piaceri, rischi… e come scimmie ammaestrate obbediamo ai comandi dei nostri Guardiani platonici, i quali ci prescrivono la loro euro-eu-dietetica, euro-eu-genetica, euro-eu-estetica, euro-eu-etica, euro-eu-erotica… Ci sarà richiesto l'esame di abilitazione per vivere, ci imporranno corsi di specializzazione per alimentarci, per fare l'amore…"

Non l'ha scritto un grande filosofo, un grande pensatore, ma un perfetto sconosciuto, almeno al di fuori degli angusti limiti della città di Macerata. Si chiama Aldo Canovari, ed è il responsabile di una piccola, ma agguerrita, casa editrice locale: Liberilibri (http://www.liberilibri.it/), che da anni pubblica testi sul libero pensiero, o se preferite sul pensiero libertario. Vi consiglio di dare un'occhiata al suo catalogo.

In effetti sono sempre stato un liberale, anzi per dirla all'inglese (che suona anche più chic), un "liberal", che da noi quella parola si è inflazionata e ha finito col perdere buona parte del suo significato originario, così come la parola "libertà", da tempo calpestata da un personaggio di cui non faccio il nome che ha pensato bene di inserirla nel nome del partito da lui creato.
Guardate com'è ridotta l'Italia, e guardate com'è cresciuta l'Europa. Io non mi riconosco in nessuna delle due, la prima per via dell'avvilente pochezza dell'attuale classe politica, la seconda perché è stata creata in laboratorio, nostro malgrado, e non assomiglia per niente all'idea di "patria comune" che ognuno di noi forse aveva in mente. Tutti, prima o poi, passeranno dentro il tritacarne di Bruxelles e piangeranno lacrime amare. Siamo proprio sicuri che non si stava meglio prima?
Aridatece la lira!

giovedì 16 giugno 2011

Ce l'abbiamo fatta

Ce l'abbiamo fatta.

A mente fredda, dopo la sbornia dei numeri nella giornata di domenica (con quel 41% delle 22 che era già un anticipo di vittoria), mi viene da pensare che non si sia trattato solo di un riflesso emotivo dopo il disastro di Fukushima, con il nucleare che trascina gli altri quesiti. Certo, quel tragico evento ha inciso, così come incise Chernobyl nell'altro referendum che cancellò le centrali nucleari italiane nel 1987, ma probabilmente da solo non sarebbe stato sufficiente per raggiungere il quorum.
No, questa volta si può dire che è stata la prima, grande affermazione della rete. Imbavagliato da una censura strisciante, da una informazione incompleta (quando non assente, quando non mendace), dall'apparente impossibilità di far valere la sua voce di fronte alla prepotenza e all'arroganza di questa politica (nessuno o quasi escluso), il popolo della rete si è mobilitato come non mai. Quel continuo passaparola, quel tam tam incessante, quell'esplodere della fantasia, potevano essere possibili solo in forma virtuale. Ma che concretezza, però, che formidabile strumento di comunicazione e di informazione. Libero, per di più, per sua stessa natura insofferente di qualsiasi limitazione, e impossibile a essere limitato. Nessuno, nemmeno Paperon de’ Berlusconi può comprare la rete. E d'ora in avanti questi signori, questi impudenti, sprezzanti, volgari accaparratori di poltrone e di prebende dovranno fare i conti con questo nuovo avversario.
Me li immagino che gongolavano, sicuri che il quorum non sarebbe stato raggiunto, pronti a dire all'elettore bastonato che per l'ennesima volta aveva fatto perdere tempo e soldi a tutta l'Italia. Pronti, magari, a cancellare questo sciagurato istituto del referendum, che tanto le leggi ci pensano loro a farle, come meglio gli aggrada.

E poi la bastonata sui denti, la rabbia mascherata, forse la paura. Intravedo spiragli che solo un mese fa mi sarei solo sognato.


domenica 5 giugno 2011

Ogni volta che vado a Roma non vedo l'ora di scappare

Ogni volta che vado a Roma non vedo l'ora di scappare. Mi coglie una specie di disagio esistenziale. Mi infastidisce il rumore, il traffico, la sporcizia, la confusione. Mi manca l'aria, non mi sento tranquillo.

Eppure sono nato lì, ci ho vissuto per trent'anni, e l'ho anche amata, Roma. Quella Roma di una volta che adesso non c'è più. Cancellata da decenni di crescita incontrollata, di cattiva amministrazione, di menefreghismo. Devastata da strade, viadotti, tangenziali, sottopassaggi, corsie preferenziali. Travolta da un turismo usa e getta, da visitatori frettolosi che non sanno nemmeno ciò che si trovano davanti, preoccupati soltanto di riempire la memoria delle loro fotocamere digitali. Sfruttata da un'orda di parassiti, di invasori irrispettosi, di barbari attirati dal miraggio della metropoli. Fagocitata dal fiume di macchine che la corrode lentamente, parcheggiate dovunque, sotto gli occhi distratti di tutti. Rassegnata a ingrassare smodatamente sotto il peso della sua stessa bulimica smania di grandezza, ma in realtà destinata a consumarsi nel tempo, a trasformarsi in un grande formicaio come tante altre città del mondo. Che non hanno nemmeno la sua storia.
Eppure una volta era bello viverci. Era bello camminare per le sue strade, per i suoi lungotevere, salire e discendere i suoi tanti colli. Era bello soffermarsi davanti al suo immenso patrimonio archeologico, entrare in una chiesa qualsiasi e trovarci, inevitabilmente, qualche capolavoro. Era una città in cui si provava piacere a vivere, e della quale si era orgogliosi di far parte.
Ho abitato fin da piccolo in Viale Vaticano, e spesso uscivo di casa l'ultima domenica del mese, percorrevo cento metri ed entravo nei Musei Vaticani, che in quel giorno erano gratuiti. Me ne restavo lì per ore, quasi da solo, ad ammirare la Cappella Sistina e tutti gli altri tesori che vi si trovano, e ne uscivo ogni volta estasiato, come in trance. Oggi sarebbe impossibile. C'è sempre una fila lunghissima di turisti, di quei turisti di cui parlavo prima, intruppati per ore sotto il sole o sotto la pioggia e poi costretti a percorrere a passo di marcia un itinerario già scritto, senza il tempo di soffermarsi, di riempirsi gli occhi di tante bellezze, di alzare gli occhi verso il Giudizio universale e scolpirselo nella memoria più di quanto possa fare una fredda fotografia.

Andavo spesso anche a San Pietro, e mi fermavo a lungo davanti alla Pietà di Michelangelo. Potevo toccarla. Oggi è nascosta dietro un cubo di plexiglass, o forse di vetro antiproiettile: lontana, irraggiungibile.
Roma ha cominciato a guastarsi all'inizio degli anni sessanta, con l'arrivo del boom, del mito del benessere diffuso. Da allora è diventata un'altra città, una città in cui pian piano ho cominciato a non riconoscermi più, fino a scapparne e a rifugiarmi in provincia.

Amo ancora Roma (o forse amo il ricordo che ho di lei), e mi sento ancora civis romanus, ma non potrei più viverci. Mi intristisce troppo vederla ridotta così, involgarita, imbruttita, saccheggiata, privata della sua dignità, del suo passato e forse anche del suo futuro. Lontano, nel mezzo del nulla, mi illudo che un giorno possa tornare a essere ciò che era, ma non mi faccio troppe illusioni. E' tutto il mondo che cambia, e non in meglio, purtroppo.

mercoledì 25 maggio 2011

La città & la città di China Miéville

Ho già parlato qualche volta di fantascienza, mi pare. Il mio genere letterario preferito praticamente da quando ho imparato a leggere. Perché non ha confini, non c'è limite a quello che può inventare. E quando è di qualità, può diventare addirittura profetica.

Sono perciò avvezzo alle stranezze, alle acrobazie narrative, alle ipotesi più ardite. Leggetevi qualcosa di Dick e mi capirete.

Ma il romanzo che sto traducendo le batte tutte. A raccontarlo c'è da credere che sia impossibile escogitare una storia come questa, per di più che funziona. Io ci provo.

Immaginate due città-stato che esistono nello stesso spazio fisico, lo condividono, a volte si sovrappongono, a volte si intersecano. Sono due entità separate, ciascuna con la sua tradizione, la sua storia, la sua lingua, la sua valuta, i suoi palazzi, le sue strade, i suoi cittadini, ma sono collocate in un limbo che oltre a contenerle entrambe sembra non avere una localizzazione definita nel mondo. Si trovano da qualche parte nell'Europa dell'est, probabilmente figlie della catastrofe postsovietica. Forse una volta erano unite, non si sa bene, perché la loro storia, all'indietro di un certo limite cronologico, diventa sfumata e inafferrabile. Un cittadino dell'una può vedere e toccare un cittadino dell'altra, una strada dell'una può essere la stessa strada dell'altra, ma con un nome diverso, tuttavia è proibito ogni contatto fra le due realtà. Tutti, fin da piccoli, sono abituati a non-vedere i loro vicini, a ignorare ciò che c'è dall'altra parte. Chi non lo fa commette un reato gravissimo che si chiama "violazione" e può star sicuro che verrà scoperto e sanzionato con pene non ben precisate, ma molto pesanti. Forse l'esilio perenne, forse la cancellazione della memoria. Dunque la città altra è un tabù con cui bisogna convivere fin dalla nascita. Vicina e irraggiungibile.
A un certo punto (per la verità proprio all'inizio) viene trovata una ragazza americana uccisa in una delle due città. Le indagini, condotte da un ostinato ispettore, portano successivamente all'altra, e addirittura a una favoleggiata terza città che quasi nessuno sembra conoscere, ma che pare esistere negli interstizi fra le due. E probabilmente a un complotto di proporzioni inimmaginabili.
Mi fermo qui. Basta per far girare la testa. In fantascienza è facile escogitare idee geniali e poi rimanerne intrappolati per mancanza di qualità nel narrare. In questo caso il rischio era proprio questo, ma per fortuna l'autore è un signor narratore, e così finiamo col trovarci fra le mani un bellissimo romanzo di fantascienza, un bellissimo romanzo poliziesco, un bellissimo thriller urbano e una bellissima parabola sul'incomunicabilità nel mondo d'oggi. Il tutto con una prosa assai ricercata, a volte al limite della sperimentazione. E che tra l'altro mi sta facendo impazzire.
Vivamente consigliato.

Ah, dimenticavo: La città & la città, di China Miéville. In uscita a ottobre per Fanucci.

martedì 17 maggio 2011

Come godo!

Ragazzi come godo! Speravo timidamente in una piccola inversione di tendenza, ma qui siamo di fronte a un cataclisma. Silvio si è beccato una bella tramvata sui denti, e questa è già una grande soddisfazione, ma soprattutto c'è da essere ottimisti per il futuro, forse anche per i referendum. Naturalmente è bene aspettare prima di stappare lo spumante, perché esiste sempre il rischio che Silvio s'inventi chissà quali machiavelli per recuperare il terreno (e sì che i mezzi non gli mancano, quello è capace di andare in giro per Milano con le tasche piene di banconote da cento euro e offrirle ai passanti in cambio di un appoggio al ballottaggio per Letizia che adesso la letizia l'avrà certamente messa da parte), però il segnale è forte e tutti dovranno tenerne conto. Anche il PD, che non può farsi bello di un'affermazione ottenuta in alcuni casi grazie a personaggi che col PD hanno poco a che fare, ma che hanno trascinato il carretto nella direzione giusta. E che dire poi dell'affermazione dei grillini? Anche di questo si dovrà tenere conto, evitando di liquidarli come semplici arruffapopolo che hanno colto un disagio generalizzato. Forse gli italiani hanno cominciato a svegliarsi. Adesso bisogna andare avanti.

Anche a Macerata il mio quasi vicino Antonio Pettinari (lontano parente del mio confinante Gianni) sta andando alla grande. Non che lo abbia votato, l'UDC non è esattamente il mio orientamento politico preferito, ma se proprio doveva andare così, meglio lui che almeno abita a un tiro di schioppo da me e se verrà eletto presidente della provincia magari farà qualcosa per la frazione di Santa Maria in Selva in cui spesso imperversa a bordo del suo grosso trattore. Migliorare la strada, perché no, oppure fare arrivare la benedetta banda larga o il benedetto metano fino a casa mia.
Questo sì che si chiama saper vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Il candidato del PDL, Franco Capponi, è probabilmente una brava persona (al comune di Treia lo rimpiangono ancora) ma, come ho già detto, in questa occasione bisognava turarsi il naso e votare "contro". Dunque anche contro le brave persone, se stanno dalla parte sbagliata. E così il 29 maggio mi toccherà votare proprio un candidato di quell'UDC di cui sopra parlavo. Misteri della politica di provincia.
Ma intanto continuo a godere smodatamente...

martedì 10 maggio 2011

Blog VS Facebook

Perché continuo a scrivere un blog invece di lasciarmi travolgere dal mare in tempesta di Facebook? Osserva acutamente la mia amica Emanuela, che non è una stupida: "Il blog è un'elaborazione, FB è la boutade estemporanea, quello che ti passa per la testa. Il blog è un editoriale o una lettera aperta, ha bisogno di uno spunto e di un'elaborazione. Il commento su FB è la battuta del vicino di banco su qualcosa che sta succedendo in quel momento e sulla quale puoi cambiare idea dopo dieci minuti. Il blog resta là, i commenti su FB spariscono il giorno dopo, per quello sono più spontanei."

Ha ragione. Aggiungo che il blog è di destra, perché espressione di un individualismo esasperato, di un superomismo, se vogliamo, bisognoso di parlarsi addosso, mentre FB è di sinistra perché è la condivisione di un'esperienza, un momento di socialità, di partecipazione. Il blog è mio, FB è di tutti e di nessuno. Il blog non ha regole, FB ne ha eccome. Il blog non costituisce vera comunicazione, è solo una forma di masturbazione mentale. Lo è anche FB, in qualche modo, ma almeno condivisa. Ci si fa le seghe insieme, e volete mettere...

Blog o non blog, è questo il problema. Dopo quasi sei anni è giunto il momento di affrontarlo.

martedì 3 maggio 2011

Non crediamo a tutto ciò che sentiamo

Voltaire non ha mai scritto né detto «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». Un mito che cade. Quante volte ci siamo fatti belli con questa frase, spacciandoci per fini conoscitori della filosofia dell'illuminismo? Tante. In realtà la vita è piena di frasi fatte, di cose che diamo per assodate quando non lo sono. Un po' come quando, qualche post fa, avevo citato quelle belle parole che ritenevo veramente "trovate nell'antica chiesa di San Paolo a Baltimora", e invece erano di tutt'altro periodo, e avevano anche un autore.

La morale è che non bisogna accettare niente a scatola chiusa, soprattutto oggi che siamo sommersi da informazioni che se da una parte creano confusione, dall'altra ci offrono però la possibilità, sapendo cercare, di chiarire tanti dubbi.

Guardate la foto di Bin Laden ucciso, per esempio. Solo dieci, facciamo vent'anni fa, tutti l'avrebbero presa per buona, e nessuno avrebbe smascherato il falso, se non a prezzo di grande fatica, e comunque senza la visibilità mediatica di oggi. Invece è stata subito sputtanata, tra l'altro aggiungendo dubbi a una notizia che già di dubbi ne offre non pochi. E' davvero morto, Bin Laden? Quando è morto? Dove è morto? Come è stato ucciso? Che fine ha fatto il suo corpo? Come si fa a dar credito agli americani che assicurano di avere il suo DNA? Dove l'hanno preso? E soprattutto, dopo quasi dieci anni finalmente catturi il nemico giurato dell'America e il suo corpo lo getti in mare? Ma per favore...

Tornando a Voltaire, se volete saperne di più andatevi a leggere quello che c'è scritto in: http://lafrusta1.homestead.com/fili_voltaire.html
In sostanza, la leggenda nasce da un testo della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, che nel 1906 riportò la frase mettendola erroneamente fra virgolette, e facendo sembrare così che fosse stata pronunciata da Voltaire. Invece era sua.

E per chiudere in bellezza, Galileo Galilei non ha mai detto "Eppur si muove". Sopravvivrò a questa delusione?

mercoledì 27 aprile 2011

Il triste spettacolo della politica

Sono rimasto un po' indietro. Preso dai miei problemi di salute ho vissuto in una sorta di limbo in cui Berlusconi non esiste, l'Italia è ancora una roba seria, la Costituzione pure, la guerra si combatte solo al cinema, Fini è una marca di tortellini, Napolitano un arcaismo linguistico e via dicendo.

Invece non è così. Lo spettacolo è quello di sempre, se possibile peggiorato.

Trovo francamente raccapriccianti cose come il legittimo impedimento o la prescrizione breve. In un paese civile non dovrebbero esistere, nemmeno a livello di ipotesi giuridica. Ma mi sconvolge ancora di più la spudorata franchezza con cui il nostro premier ha ammesso che hanno affossato il referendum sul nucleare per "permettere all'opinione pubblica di tranquillizzarsi" (parole sue). Come se, fra un paio d'anni, il disastro giapponese potesse ridimensionarsi e trasformarsi in un piccolo incidente di percorso senza conseguenze, solo una manciata di morti e un po' di nuclearizzati, ma nemmeno troppi.

In realtà si tratta di una presa in giro bella e buona: in questo modo si tenta di dare un bel colpo alla partecipazione degli italiani che, sulla scia dell'emozione di Fukushima, probabilmente avrebbero affollato le cabine del referendum, raggiungendo il quorum e trascinando con sé anche altri quesiti altrettanto importanti, come quello sull'acqua. A questo punto Berlusconi deve solo augurarsi che il 12 giugno piova, così con l'aiuto del padreterno avrà raggiunto pienamente il suo scopo.

Bersani e Di Pietro gridano all'imbroglio, e di imbroglio effettivamente dobbiamo parlare. La loro voce è però ben piccola cosa, ridotti come sono al rango di pierini che fanno marachelle, ma che alla fine sono bravi guaglioni e pure loro devono far vedere che ci sono.

A questo punto l'unica cosa da fare è dimostrare in concreto che non ci stiamo più a essere presi in giro, truffati e gabbati. E l'unica occasione per farlo sono le due occasioni di espressione diretta della democrazia diretta che ci rimangono da qui all'estate: l'appuntamento con le elezioni amministrative del 16 maggio e, appunto, i referendum del 12 giugno. Facciamo capire a chiare lettere che non vogliamo più questa gentaglia, questi prestigiatori della menzogna, questi calpestatori della democrazia. Partecipiamo numerosi e votiamo tutti *contro* Berlusconi e i suoi accoliti. Anche se gli altri ci fanno schifo, anche se votare contro qualcosa non è come votare per qualcosa. Diamo un segno, magari piccolo, che qualcosa sta cambiando. Un'inversione di tendenza, uno spiraglio di luce. Una speranza.


martedì 19 aprile 2011

Dopo il secondo ricovero

Rieccomi qua.

Rientrato a casa dopo meno di una settimana di ospedale.  Sto bene, sono un po' fiacco, ma è più che normale. Devo stare a riposo, nel senso che non posso fare sforzi, sollevare pesi, guidare la macchina per lunghe distanze eccetera, ma per il resto posso fare quasi tutto. Infatti sono già tornato al lavoro. Che ci volete fare? Qualcun altro ne avrebbe approfittato per farsi una settimanella di vacanza in più, ma io sono fesso e certe cose non le faccio.

L'esperienza di Ancona è stata analoga a quella dell'anno scorso a Bracciano. Non solo perché la tipologia dell'intervento era molto simile, ma perché simili sono stati il prima e il durante, simile la permanenza nel letto d'ospedale, simili le storie e i personaggi che mi sono capitati in sorte. Diverso, invece, il vitto, decisamente migliore.

E diverso, tutto sommato anche il mio approccio. Quest'anno sapevo ciò che mi aspettava, almeno nelle sue linee generali. Nessun panico, dunque, quando sono entrato in sala operatoria. Anzi, ho affrontato la situazione da sveglio, dalla vita in su, e visto che c'ero ho sbirciato sul  monitor quello che succedeva dentro il mio corpo, dove il resettore riduceva in trucioli la prostata come un tronco in una segheria. Ho anche scoperto di avere un po' superato quella atavica paura degli aghi, al punto che adesso mi faccio da solo le iniezioni sulla pancia (siringhe con gli aghi piccoli, però, quelli da insulina).

Certo l'età media dei pazienti superava abbondantemente i sessant'anni, e nessuno era lì per farsi una vacanza. Ma si tratta pur sempre di un ospedale geriatrico, dunque che ci si può aspettare?

Il personale è stato decisamente all'altezza, comprese le infermiere, che all'inizio mi sembravano un po' scostanti, ma che poi si sono rivelate anche loro carine ed efficienti. Ricordo con piacere Anna Pia (una delle tante pugliesi in servizio ad Ancona), la non più giovanissima Ada, Milena (colombiana) e fra i maschi, Luigi e Francesco, ambedue di San Marco in Lamis, che a sentirli parlare sembrava di sentire il Lino Banfi di una volta.

Naturalmente ho trovato anche lì il modo di fumare: c'era una scala antincendio a pochi metri dalla mia camera e il bel tempo ha fatto il resto. Però ne ho approfittato non per smettere, che al momento sarebbe impossibile, ma per ridurre drasticamente il fumo. Praticamente ho dimezzato. Ditemi bravo.

Ho anche, per quei pochi che non lo sapessero, postato regolarmente una sorta di diario su Facebook. E in questo caso devo riconoscere l'utilità di questo strumento per comunicare con più persone, saltando a pie' pari la posta elettronica e il telefonino. Facilissimo, economico, rapido, e in fondo anche divertente.

Adesso mi godo un altro periodo relativamente tranquillo. Le mie disavventure non finiscono certamente qui, ma ho imparato a vivere alla giornata godendo di ciò che ho qui e adesso, o al massimo domani. Il futuro viene dopo.


lunedì 28 marzo 2011

Una pausa di riflessione

Mi prendo una pausa di riflessione.

No, nessuna riflessione, solo un altro piccolo intervento chirurgico, più o meno come quello dell'anno scorso. Sono in lista d'attesa per aprile e dunque da un momento all'altro mi chiameranno (in Ancona, stavolta) e mi daranno una ripulita dove si deve, tipo le pulizie di Pasqua. Lo sapevo che questo mio problema aveva una tendenza a recidivare, e dunque non me ne stupisco più di tanto. Né sono preoccupato perché, come vado sempre ripetendo, si tende ad avere paura delle cose che non si conoscono. Adesso so più o meno quello che mi aspetta e lo affronto con filosofica rassegnazione. Non posso più pretendere, alla mia età, che il mio corpo sia ancora quella macchina perfetta che in buona parte è stata fino a ieri. Mi basta che funzioni anche a regime minimo, e che la testa sia sempre all'altezza. Non chiedo altro.

Curiosamente mi ricovero presso un ospedale geriatrico. Mi fa un po' brutto, e l'ho anche fatto notare al mio medico, il quale mi ha rassicurato dicendomi che ci si trovano ammalati di tutte le età. Gli credo, e in seguito ve ne renderò conto. Mi basterebbe ritrovare quello stuolo di graziose infermiere che c'erano all'ospedale di Bracciano. Ti aiutano a sopravvivere meglio in quello che, a tutti gli effetti, rimane un luogo di sofferenza.

Intanto è arrivata l'ora legale, e già questo contribuisce a sollevarmi non poco il morale. In realtà da un paio di giorni soffro di un feroce raffreddore con tosse e catarro che mi sta distruggendo, e ieri mi sono ritrovato a dover superare una domenica senza calcio in cui non avevo voglia di leggere o comunque di impegnare la testa e non mi reggevo in piedi dalla fiacca. Vi assicuro che è stata dura.

A risentirci fra un po', dunque, spero più pimpante di prima.


sabato 19 marzo 2011

Una mail dall'est Europa

Modestamente il mio fascino sulle donne, soprattutto su quelle dell'est europeo, non conosce cedimenti. Ho ricevuto un'altra mail, questa da volta da una ragazza di Kiev ("sufficientemente grande e bella città"): Tata, 27 anni. Purtroppo non ha allegato la foto, né si descrive fisicamente. Non cerca avventure, ma un uomo "che mi poteva amare per la mia pace interiore, per il mio personaggio, per i miei valori della vita. Voglio avere un rapporto serio e forte! Come una persona normale!" Non si sa mai, dovessi farmi un'idea sbagliata su di lei.

Roba seria insomma, e per dimostrarlo si pone una domanda cruciale: "Beh, forse si sono interessati alla domanda "perche sei tu?". Già, perché sono io? Boh, non me lo spiega. Mi dice solo genericamente che una sua amica ha conosciuto due anni fa un uomo italiano e si è trasferita a vivere con lui a Roma, dove "hanno un grazioso appartamento e sono molto amichevoli in diretta!".

Chissà se lo sono anche in differita. Comunque adesso Tata è stata invitata in Italia dall'amica e così potremmo incontrarci. Per la precisione: "vi e un'altra opzione che si arrivera a me! E poi faremo il volo in It Together". Quest'ultima è da incorniciare!

Poi però si pone dei dubbi. "Ma e il momento spettacolo? Non dobbiamo guardare prima?". Eh già, magari un'occhiata non guasta, fosse mai che è un brutta come la fame. Subito dopo ribadisce però, a scanso di equivoci, che "Ancora una volta, sto cercando un buono, buono, onesto. che ha bisogno di una relazione seria".  E poi: "Se sei cosi avanti alla vostra risposta. Se non sei pronto non sprecare il no non e il mio tempo". Insomma, decisa la ragazza, che chiude in modo altrettanto perentorio: "Come ho detto, non ti distrarre."

No, Tata, tranquilla, non mi distraggo. Sono concentratissimo. Anzi, sono molto interessato e fortemente tentato di risponderti. Appuntamento a Fiumicino? Poi una cenetta in un ristorantino intimo, così possiamo parlare e conoscerci meglio. Non si sa mai, potrebbe nascere qualcosa.

C'è anche un indirizzo email: irinkait@yahoo.com. Ah, queste ragazze ucraine ne sanno una più del diavolo.


sabato 12 marzo 2011

Terremoto in Giappone

La scala Richter, messa a punto da Charles Richter nel 1935, misura la magnitudo, cioè la quantità di energia sprigionata da un terremoto nel punto in cui si sviluppa (ipocentro) elaborando l'informazione ottenuta attraverso i sismografi. In parole povere ci dice quanto è forte un terremoto.

Il valore massimo è 10, ma non si è mai registrato nella storia, almeno in quella documentata, un sisma di tale intensità.

Il terremoto che ha colpito il Giappone ha raggiunto un valore di 8,9. L'equivalente di 32 milioni di tonnellate di TNT. Tanto per intenderci, il terremoto dell'Aquila del 2009 aveva una magnitudo di 5,8. Quello di Haiti dell'anno scorso ha raggiunto un valore di 7,0 (222.000 vittime) e quello dell'Oceano Indiano del 2004, invece, ha registrato una magnitudo di 9,0 (300.000 vittime). Appena più forte, dunque, ma con esiti assai più catastrofici.

Salta perciò subito all'occhio una cosa: in Giappone costruiscono rispettando i criteri antisismici. Al momento in cui scrivo si parla di un migliaio di morti, certamente destinati a crescere, ma non nell'ordine delle centinaia di migliaia e forse nemmeno delle decine di migliaia. E poi il danno maggiore lo ha provocato lo tsunami, contro il quale non esiste alcuna difesa preventiva. In realtà quasi nessun edificio è crollato per colpa del terremoto.

Ma c'è un'altra cosa che colpisce, ed è la grande dignità e coraggio con cui il popolo giapponese sta affrontando questo enorme disastro: niente isterismi, niente piagnistei. Ci si rimbocca le maniche e si va avanti. E nessuno coglierà l'occasione per guadagnarci sopra o per farsi bello con iniziative di dubbio gusto. Questo è poco ma sicuro.

Rimangono comunque le immagini sconvolgenti di un cataclisma di proporzioni epocali: le case che ballano, la marea di fango che travolge i villaggi, i vortici che travolgono imbarcazioni e automobili.

La natura che si esprime al massimo della sua potenza. Ne parlavo nel mio ultimo post, ma non mi aspettavo un'apocalisse del genere. E il 2012 è alle porte.


sabato 5 marzo 2011

Pioggia forte nelle Marche

Detesto l'inverno, con tutte le mie forze. Non mi piace il freddo (anche se lo sopporto bene, grazie a una costante opera di mitridatizzazione), non mi piace l'umidità, non mi piace il buio, non mi piace la pioggia, non mi piacciono gli alberi brulli, l'erba gialla, il fango. Mi piace la neve solo quando è appena caduta e non ho necessità di muovermi in macchina.

Qualche giorno fa le Marche centromeridionali sono state messe in ginocchio dalla pioggia. Ha piovuto sempre, per due giorni consecutivi, ingrossando i fiumi e i torrenti, allagando i campi, rendendo disagevole percorrere molte strade. Io per fortuna sono lontano da corsi d'acqua che possano mettere a rischio la mia incolumità, ma mi trovo purtroppo con la casa al di sotto della strada rurale. E quando l'acqua non è riuscita più a defluire seguendo il suo corso normale, ha pensato bene di tracimare giù per il vialetto d'ingresso. Sono arrivato a casa la sera e appena sceso dalla macchina mi sono impantanato. Una scarpa è rimasta intrappolata, e ho raggiunto la porta con un piede scalzo. L'indomani, alla luce del giorno, ho visto la situazione in tutta la sua drammaticità. C'erano quattro o cinque dita di fango lungo tutto il vialetto e l'ampia zona mattonata a fianco della casa. Mi sono armato di pala e carriola e ho cominciato a pulire, ma dopo un'oretta ho ceduto le armi e ho chiamato qualcuno che ha fatto il lavoro al posto mio, prima e meglio.

Devo dire che avevo già vissuto situazioni di pioggia forte, ma come questa mai. Il che mi stimola due riflessioni.

Primo, la sensazione che eventi atmosferici estremi stiano diventando sempre più ricorrenti un po' in tutto il mondo. Terremoti, inondazioni, uragani e tutta l'allegra compagnia dei disastri naturali sembrano in via di progressivo peggioramento, sia come frequenza che come intensità. Che sia un segno di qualche cosa? La natura che si ribella? L'uomo che paga la sua protervia? Il presentimento di imminenti cambiamenti epocali? Fate voi.

Secondo, che siamo veramente piccoli di fronte alle forze scatenate della natura. E questo non lo scopro adesso, ma ogni volta sembra cogliermi di sorpresa, quasi ci fosse una sorta di meccanismo di rimozione che scatta per farmi dimenticare quanto siamo tutti indifesi, ed esposti a ogni genere di pericoli in un mondo che abbiamo fatto di tutto per modificare a nostra immagine e somiglianza, quando invece avremmo dovuto portargli più rispetto. Perché non è il mondo a essere al nostro servizio, ma esattamente il contrario. E lui, ogni tanto, pensa bene di ricordarci come stanno le cose.

A parte questo, fanculo l'inverno.


sabato 26 febbraio 2011

L'Africa e il vecchio continente

Prendete un atlante e cercate la carta geografica dell'Africa settentrionale: nell'ordine, da ovest, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto. Tutte nazioni sconvolte, fra gennaio e febbraio, da rivolte interne contro il potere. E la cosa non sembra fermarsi qui. Al di sopra dell'Africa c'è l'Europa, e in mezzo il Mediterraneo, un mare piccolo, inadeguato. In alcuni punti i due continenti quasi si toccano e probabilmente una volta erano uniti. Adesso l'Europa sembra quasi voler tenere alla larga l'Africa, con Spagna, Italia e Grecia che protendono pateticamente le braccia come a dire: altolà, non passa lo straniero.

Quanto resisterà il vecchio continente? Perché andatevi a guardare che cosa c'è sotto i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo: tutta la smisurata galassia delle nazioni più sfigate che da sempre sopportano una vita grama, governi corrotti, sfruttamento, fame e miseria. Nell'indifferenza più totale del ben pasciuto e miope occidente. Quanto ci vorrà prima che il tappo della disperazione africana esploda, in una reazione a catena che sarà solo un pallido riflesso di quella a cui abbiamo assistito negli ultimi due mesi? Prima che Mali, Niger, Chad, Etiopia, Somalia e compagnia bella comincino a ribellarsi e poi a premere verso nord in cerca di una vita migliore? Il muro granitico di stati dittatoriali eretto lungo il Mediterraneo a protezione dell'Europa (che li ha appoggiati fingendo di indignarsi quando andavano un po' oltre le righe) si è sgretolato e non potrà reggere la spinta di popolazioni affamate e disperate, che non hanno nulla da perdere. Lo scenario è apocalittico ed evoca situazioni già vissute quando l'impero romano andò in pezzi sotto l'incalzare delle invasioni barbariche. Fine di un'epoca, inizio di un'altra.

Sono gli africani i nuovi barbari, e già bussano alle porte dell'impero europeo, debole, mai realmente unito, da sempre combattuto fra un malinteso senso di solidarietà verso i più deboli e un'atavica tendenza all'isolamento culturale, privo di autentici ideali e soprattutto di genuini stimoli della carne, e perciò inevitabilmente destinato a soccombere. Non saranno i cavalli dei cosacchi ad abbeverarsi in Piazza San Pietro, ma uomini dalla carnagione scura temprati da secoli di abbrutimento, forse accesi dal fuoco dell'invidia, di certo da quello della fame. A loro dovremo rendere conto del nostro egoismo, della nostra ignavia, e non potremo aspettarci clemenza.

Sembra la trama di un romanzo di fantascienza, ma attenzione: spesso la fantascienza ha anticipato situazioni poi puntualmente verificatesi. E ricordiamoci anche il concetto vichiano dei corsi e ricorsi storici: la storia tende a ripetersi. Ho la forte sensazione che si stia chiudendo un'epoca, e che quella che seguirà non sarà per niente rose e fiori.


sabato 19 febbraio 2011

Il 17 marzo

La storia ci insegna che il 17 marzo 1861 il Regno di Sardegna, annessi buona parte degli stati preunitari, assunse il nome di Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II ne venne proclamato re. Già il fatto che Vittorio Emanuele abbia mantenuto il numero 2 e non abbia scelto, come sarebbe stato logico per un'entità nazionale appena creata, il numero 1, la dice lunga sull'intenzione dei Savoia di considerare il nuovo stato come un semplice ingrandimento del Regno di Sardegna, diverso solo nel nome ma non nella sostanza. Tutto rimase come prima, a parte le dimensioni geografiche, anzi si avviò un processo di piemontesizzazione che è durato nel tempo, anche quando la capitale fu spostata prima a Firenze e poi a Roma. Ne vediamo ancora le tracce negli orribili edifici ministeriali romani e nella struttura burocratica, pesante e sonnacchiosa, tuttora esistente.

Bisognerebbe poi aggiungere che mancavano ancora diversi pezzi per considerare l'Italia davvero unita: il Veneto, il Trentino, il Friuli, la Venezia Giulia e il Lazio, solo per citare i più importanti.

Tuttavia non si può negare che quel 17 marzo fu un giorno significativo e di certo un momento unificante, almeno rispetto alla situazione frammentata che esisteva prima, con stati e staterelli, regni, principati e granducati che si dividevano la penisola.

E dunque posso anche convenire che, se proprio si deve scegliere una data da eleggere a festività ufficiale per la nascita dello stato italiano, questa possa essere il 17 marzo.

Da ieri è ufficiale. Non so ancora se sarà una festa definitiva, ma il 17 marzo di quest'anno non si lavora. La macchina della retorica risorgimentale avrà così modo di esprimersi (migliaia, tra l'altro, le iniziative per celebrare l'avvenimento, molte delle quali inutili e costose) a fronte di un'Italia che invece si sta minacciosamente sfasciando: un po' per le spallate dei leghisti i quali probabilmente rimpiangono il Regno lombardo-veneto (e come dargli torto?), un po' per l'azione di governo che sta progressivamente minando i cardini dell'Italia democratica (giustizia, istruzione, cultura, la stessa libertà d'espressione), proponendo un modello da terzo mondo e riportandoci indietro proprio di 150 anni, a quel mondo preunitario fatto di sopraffazioni, privilegi e ingiustizie.

Tra l'altro, invece di rimboccarsi le maniche, come stanno facendo un po' in tutto il pianeta, si aggiunge un'altra giornata di non lavoro alle tante che già esistono nel nostro paese. Per una volta tanto (forse l'unica) mi trovo d'accordo con quella caricatura di ministro (Calderoli) il quale ha affermato che bisognerebbe festeggiare lavorando.

Già. A nessuno è mai passato per la testa che in Italia si lavora poco?


sabato 12 febbraio 2011

Qualche osservazione sul soggiorno taiwanese

Non posso esimermi da qualche rapida osservazione sul mio ultimo soggiorno taiwanese. Perché ogni volta che vado lì trovo sempre qualcosa di nuovo, o magari qualcosa che vedo con occhi diversi. E' una scoperta continua, alimentata anche dalla mia voglia di conoscere e, devo aggiungere, dalla disponibilità di Francesco a offrirsi come valido cicerone.

Tanto per cambiare ci sono diversi tratti nuovissimi della metro. Sembra crescere a vista d'occhio, come una grande ragnatela che percorre tutta la città, e naturalmente ogni anno è necessario aggiornare la piantina che distribuiscono gratuitamente e capillarmente. Ho contato già un centinaio di stazioni, con treni sempre più belli. Vorrei tanto vedere la Salerno-Reggio Calabria in mano ai taiwanesi.

E a proposito di metro, ho viaggiato per la prima volta lungo la linea marrone, quella che porta verso est, fino allo zoo di Taipei. E' la più vecchia, con trenini un po' obsoleti e non collegati fra loro, che cammina tutta in sopraelevata e che, nell'ultimo tratto, è davvero spettacolare, muovendosi praticamente in mezzo al verde. In prossimità della stazione terminale c'è una bellissima funivia (loro la chiamano gondola) che porta a circa trecento metri di quota, su una delle alture che costeggiano la città. Non sarà la funivia del Monte Bianco, ma è suggestiva e, nelle (rarissime) giornate limpide offre un bel panorama di Taipei.

Sono anche andato a visitare la residenza estiva di Chiang Kai Shek, una sorta di immensa villa piena di piante e fiori di ogni genere: in pratica un orto botanico. I taiwanesi l'affollano a ogni ora del giorno, specialmente nelle belle giornate di sole, anche se di Chiang hanno ormai un ricordo piuttosto sbiadito, visto che se ne sta cancellando la memoria in tutta l'isola. Personaggio un po' ingombrante, forse, e testimone di un momento storico che si ritiene superato e assimilato. Cinque anni fa, quando andai a Taiwan per la prima volta, esisteva un gigantesco mausoleo dedicato a lui, l'aeroporto internazionale portava il suo nome e c'erano migliaia di sue statue sparse per tutta l'isola. Era ancora vivo e presente. Oggi non c'è più niente, Chiang è stato dimenticato, cancellato, anche se nei negozi di souvenir si trovano ancora gadget con la sua faccia.

Il tempo passa velocemente, a Taiwan, in tutti i sensi. Anche per me come semplice ospite. Ogni volta quelle tre settimane di soggiorno sembrano volare, e ho come l'impressione di non riuscire ad accogliere e metabolizzare tutte le sensazioni che mi colpiscono. Troppa materia per un uomo solo. Quando la realtà della mia vita quotidiana di eremita torna a prendere il sopravvento quella parentesi mi appare come un sogno, una costruzione della mente, bella e lontana nello spazio e nel tempo.

E' la materia di cui sono fatti i sogni, per citare Shakespeare. Poi mi sveglio e aspetto il momento in cui tornerò di nuovo a sognare.


martedì 8 febbraio 2011

Diario cambogiano

Niente diario taiwanese, come promesso.

Diario cambogiano, invece, visto che quattro dei diciassette giorni li ho passati proprio in Cambogia, uno dei tanti stati sfigati del sudest asiatico che però ha la fortuna di possedere uno dei siti archeologici più grandi e più belli del mondo: Angkor.

Edificato fra il IX e il XV secolo a cura di diversi re khmer (l'originario popolo cambogiano), si tratta di una vera e propria città con decine di templi e costruzioni di varia tipologia, anche monumentali, laghi, canali, ponti e strade, tutti in pietra arenaria e lavica. L'insieme è grandioso, spettacolare, un vero e proprio trionfo di architettura spesso abbellita da bassorilievi, sculture e decorazioni, e viene da domandarsi quanta fatica, quanto impegno economico e soprattutto quante vite umane sia costato un progetto del genere, che peraltro non aveva alle spalle un popolo di altissime capacità ingegneristiche come i romani. Il tutto in mezzo alla giungla.

E proprio la giungla si è lentamente reimpossessata del territorio, a partire dal quindicesimo secolo, quando il popolo khmer si è spostato più a sud, pressato dalla sempre maggiore aggressività dei vicini tailandesi. Per quattro secoli si è praticamente persa memoria di questa città, che è stata ricoperta dalla vegetazione. Solo a metà dell'Ottocento venne riscoperta quasi per caso da un archeologo francese e da allora è iniziato un lento recupero, con il sussidio di quasi tutte le nazioni del mondo (Angkor è patrimonio dell'umanità). Oggi il sito è frequentato da una media di oltre due milioni di turisti all'anno, ed è praticamente tutto visitabile, ma ci sono ancora milioni (probabilmente) di pietre crollate da risistemare come in un gigantesco puzzle che forse non potrà mai venir completato del tutto.

Luogo simbolo è un labirintico tempio chiamato Tah Prom, che è stato (in parte volutamente, in parte per obbiettive difficoltà di intervento) lasciato ancora parzialmente nelle grinfie della giungla: alberi giganteschi sono cresciuti addossati, o addirittura sopra i muri e i palazzi, e non si capisce se li proteggano o li minaccino. E' uno straordinario connubio fra opera dell'uomo e natura che è difficile descrivere a parole: bisogna vederlo, toccarlo con mano.

Per una descrizione meno sommaria vi rimando a qualche buona guida o, eventualmente, a una visita.

Naturalmente della Cambogia mi hanno colpito anche altre cose. Il nuovo, imponente flusso turistico ha portato soldi e lavoro a un paese che prima era fra i più poveri e disgraziati dell'Asia. Letteralmente massacrato da una feroce guerra civile che negli anni 60 e 70 ha dimezzato la popolazione con il famigerato regime comunista di Pol Pot e dei khmer rossi (non mi dilungo, ma Hitler al confronto era quasi una mammoletta), si è poi lentamente ripreso, ma ancora ci sono ampie sacche di povertà e si vedono. In prossimità dei templi si viene aggrediti da torme di bambini che vendono di tutto (libri, cartoline, magliette, frutta, piccoli oggetti di artigianato). Bambini straordinari, tra l'altro, che parlano una quantità di lingue in modo abbastanza fluido e che sono sì, insistenti, ma che alla fine anche se non compri niente ti salutano con un sorriso. Nella vicina città (Siem Reap, un borgo insignificante cresciuto negli anni a dimensioni spropositate, pieno di alberghi elegantissimi e brulicante di vita soprattutto notturna) non ci sono autobus, non ci sono taxi, ma ci sono i tuk-tuk, calessini a quattro posti tirati da motociclette (una sorta di versione moderna del riksciò) che ti portano dappertutto per somme modeste. Le strade sono asfaltate solo in parte, i mercati sono dimessi, non esattamente modelli di pulizia, ma animati, e dappertutto si ha la sensazione che i cambogiani siano un popolo di giovani: e in realtà lo sono, visto che il regime di terrore di Pol Pot ne ha fatti fuori a milioni. La loro moneta (il riel) non vale niente e il dollaro la fa da padrone (tanto per cambiare). In questi giorni (il loro inverno) si raggiungono tranquillamente i trenta gradi (la nostra estate). Non oso pensare che cosa sia la loro estate.

Fisicamente i cambogiani ricordano i vietnamiti: sono in effetti una via di mezzo fra gli indiani e gli asiatici veri e propri. Scuri di pelle, con lineamenti molto belli e modi assai gentili. E le donne sono fantastiche.

Per concludere, questa volta ho mangiato di tutto, anche a Taiwan: senza farmi troppe domande mettevo in bocca quello che mi ritrovavo davanti. Se mi piaceva bene, sennò lo lasciavo lì. Dopo cinque anni ho finalmente imparato l'approccio giusto. E molte cose le ho anche apprezzate. Non ho assaggiato il ragno fritto cambogiano, ma solo perché non ne ho avuto la possibilità. Chissà, se me lo avessero offerto forse avrei assaggiato anche quello.


sabato 15 gennaio 2011

Un'altra partenza per Taiwan

Avrei giurato che venisse avviata la beatificazione di Silvio, non quella di Giovanni Paolo II. Evidentemente, però, qualche marachella di troppo gli ha un po' messo i bastoni fra le ruote. Sarà per un'altra volta.

Qualcuno mi accusa di esaltare troppo il nostro premier. Evidentemente non ha colto l'ironia, o forse sono io che non mi sono fatto capire. Comunque un personaggio come lui non è di quelli che lasciano indifferenti, nel bene e nel male. Il modo in cui mente senza pudore, dipingendosi come un agnellino pasquale nelle grinfie di giudici cattivi, è in qualche modo disarmante. Adesso va dicendo che non vede l'ora di andare in tribunale per difendersi, ma intanto aveva provato a farsi fare la sua bella legge perché ciò non accadesse. A questo punto se la prende in quel posto, come si suol dire, e sono proprio curioso di vedere come andrà a finire.

Ma basta con Silvio. Per una ventina di giorni potrò (quasi) dimenticarmi di lui. La settimana prossima, infatti, parto per Taiwan, vado a trovare il nipotino e mi godrò il bel freddo che da quelle parti non c'è modo di evitare perché le case non hanno il riscaldamento. Non serve, dicono loro, per quel breve periodo invernale in cui la temperatura scende un po' troppo. Ma per Lolo si fa questo e altro.

Non credo che al mio ritorno vi ammorberò con l'ennesimo diario taiwanese. Dopo quattro soggiorni credo di aver esaurito gli argomenti. Se qualcosa di nuovo dovesse toccare le corde del mio cuore o della mia immaginazione, però, non mancherò di rendervene edotti.

E magari aggiornerò le mie fotografie, che sarebbe ora.

venerdì 7 gennaio 2011

Il replicante di se stesso

Non ne posso più. Non ne posso più di vederlo a tutte le ore, su tutti i TG. Non ne posso più della sua invadenza, della sua sicumera, della sua sovraesposizione mediatica. Quando vedo quel volto tutto tirato, quei capelli che sembrano disegnati sulla testa, quell'espressione sempre uguale appiccicata sulla faccia provo un moto di nausea. Sembra finto, sembra il replicante di se stesso, un androide di quelli inquietanti che ci ha raccontato Philip Dick, di quelli che devono essere ritirati dai blade runner quando il loro ciclo vitale è giunto al termine.

Ma il suo ciclo vitale sembra senza fine: è sempre lì a fagocitare tutto e tutti. Mentre noi invecchiamo lui ringiovanisce, quando lo diamo per morto risorge dalle sue ceneri. Big Brother, a paragone con lui, è un dilettante privo di fantasia. E' onnipresente, forse ha il dono dell'ubiquità, forse può viaggiare nel tempo. Riesce a fare cose che noi mortali non immaginiamo nemmeno, più di noi, meglio di noi, prima di noi, non ha mai dubbi, non è mai stanco, non dorme mai, si nutre d'aria o magari è un vampiro che succhia l'energia a chi gli sta vicino, o un Dorian Gray dei tempi moderni. Certe volte mi viene da pensare che ne esista più di uno, almeno due copie di lui, identiche, che si alternano sul palcoscenico: una agisce mentre l'altra si ricarica.

Sa tutto, anche quello che deve ancora avvenire. Infatti la sua storia è già scritta. Non avrà nemmeno l'inconveniente di dover morire, prima di ascendere al cielo. Ci andrà direttamente, senza scalo, e siederà alla destra del Padre (non di certo alla sua sinistra). Poi scalzerà anche lui e ne prenderà il posto, e qualcuno riscriverà il libro dei libri (forse lui stesso).

E' un incubo, qualcuno mi svegli. Ma il brutto è che non sto dormendo...