lunedì 24 dicembre 2012

Nei sette anni di vita di questo blog ho augurato Buon Natale nei modi più diversi, quasi sempre improntati all'ironia. Comunque sia espressa, è un'abitudine radicata alla quale è difficile sottrarsi. In tutti coloro che abitano nelle parti cattoliche del mondo nasce con le letterine a Babbo Natale nascoste sotto il piatto, dunque quando non si è ancora nell'età della ragione. E dopo vengono tutti i luoghi comuni.
Pare che a Natale si stabilisca una sorta di tregua con il buon senso. Se fino al giorno prima sei incazzato nero perché ti sei dovuto svenare per pagare l'IMU o la rata dell'assicurazione, o perché hai un lavoro che non ha futuro, o aspetti inutilmente la pensione che ti sei meritato,  tutto a un tratto sei costretto a mettere da parte ogni risentimento e a vivere per qualche giorno in un limbo zuccheroso fatto di abeti addobbati, presepi tirati fuori dalla cantina, partite a tombola, pandori, torroni e panettoni, buoni sentimenti e scambi di visite fra parenti.
OK, sarà giusto così. Ogni tanto c'è bisogno di volersi bene. Ma l'ideale sarebbe farlo sempre, e non solo quando non se ne può fare a meno. Magari consumando e sprecando un po' di meno.
Perciò quest'anno voglio essere cattivo. Almeno qui, in questo spazio tutto mio, dove le regole le detto io.
Buon Natale... un par di palle!

martedì 18 dicembre 2012

Pare che la fine del mondo non ci sarà. Lo dice la NASA. Meglio così, mi dispiaceva perdermi le prossime elezioni politiche.
Comunque ho scoperto che esiste un sito italiano dedicato all'evento (o supposto tale): http://www.2012finedelmondo.eu/
Un bel sito pieno di notizie, pro e contro, dal quale si apprendono cose interessanti. Per esempio che in Francia esiste un paesino chiamato Bugarach che pare sia immune da castrofi o distruzioni perché è sede di una base aliena e gli alieni, si sa, mica sono scemi. Si trova dalle parti della famosa Rennes-Le-Chateau (o come diavolo si chiama) e ci abitano poche centinaia di persone, ma da mesi è stato preso d'assalto da gente che volevo comprarsi casa per salvarsi le chiappe. E pare che già a migliaia stiano dirigendosi lì, anche se non hanno una casa, per trovarsi al riparo il 21 dicembre. E in paese stanno facendo affari d'oro.
Intanto c'è chi si è fatto costruire dei rifugi bunker sotto casa perché non si sa mai, sempre meglio essere previdenti. Anche se non si capisce bene che cacchio ci vai a fare in un rifugio se quando esci la Terra non c'è più.
Non mi meraviglierei che la sera del 20 una folla di fedeli si radunasse a Piazza San Pietro per pregare il buon Dio che ci risparmi. O forse, chissà, ci penserà Papa Ratzinger, a rassicurare tutti via Twitter.

domenica 9 dicembre 2012

Il ritorno della mummia.
Così titola il quotidiano francese Liberation. Effettivamente in quest'uomo c'è qualcosa di insano, di innaturale, di malato. E' un personaggio che sarebbe piaciuto a Dick, creatore di cattivi assoluti. Che però hanno almeno il fascino dell'angelo caduto, quella grandezza titanica che ne fa degi eroi, negativi, ma pur sempre eroi. Penso a Palmer Eldritch, l'uomo segnato da tre stimmate che dispensa paradisi artificiali e gioca con le vite degli uomini, oppure a Felix Buckman, tormentato da un rapporto incestuoso ma che ha tanto bisogno d'amore, o ancora a Stanton Brose, che sopravvive grazie a continui trapianti requisendo tutti gli organi artificiali.
No, quest'uomo, quest'uomo piccolo non solo dal punto di vista della statura, è un cattivo da videogioco, un costrutto che sembra assemblato in laboratorio e che comincia a tradire i cattivi effetti del processo entropico. Fra un po' comincerà a ronzare sinistramente e a emettere fumo.
Eppure c'è ancora chi crede in lui, chi ha accettato la sua ignobile scelta di staccare la spina al governo Monti, chi lo vede ancora come il salvatore della patria. Mentre invece è uno che pensa solo a se stesso, ai propri meschini interessi, e il fatto che lo faccia in maniera così palese, così sfacciata, significa che si sente ancora invincibile.
E' ancora un pericolo: per favore, qualcuno stacchi la spina a lui!

venerdì 30 novembre 2012

Ne ho sentite tante di fesserie sulle sigarette e sul fumo, ma questa le supera tutte. In Australia da domani non sarà più permesso vendere pacchetti di sigarette con il marchio del produttore. I pacchetti saranno tutti uguali, tutti color verde schifezza (verde moccio, si potrebbe dire parafrasando James Joyce), senza alcun elemento che consenta di individuare chi lo ha prodotto, che tipo di sigarette ci sono e via dicendo. Scegli a cazzo di cane e non sai quello che prendi. In compenso, tutti avranno ancora quelle stupidissime scritte che dicono che il fumo fa tanto male. Magari con immagini splatter come già si trovano su quelle che vendono a Taiwan. Voi non le avete mai viste, io sì, e vi posso assicurare che non mi fanno né caldo né freddo. Non le guardo, anzi non ci faccio nemmeno caso.
Grazie al piffero, tutti i fumatori lo sanno che il fumo fa male, mica c'abbiamo l'anello al naso. Ma perché io, povero australiano, non devo sapere che cavolo di sigarette andrò a comprare? Non solo di che marca, ma anche se più o meno leggera, con più o meno nicotina, con più o meno catrame, con più o meno schifezze con le quali io, e solo io, decido di farmi male. Come tutti ben sanno, ognuno si affeziona a un certo tipo di sigaretta e la riconosce da quello che c'è scritto sul pacchetto, o dal suo colore. Lo dici al tabaccaio e quello ti accontenta. Fine del gioco. Da domani non più, nel paese dei canguri.
Be', scusate, allora è più semplice e più onesto eliminare del tutto le sigarette. Non si vendono più, punto e basta. Fumatori andate a farvi fottere, lo facciamo per il vostro bene. A quel punto bisognerà rassegnarsi e magari ci guadagneremo tutti, o impareremo a coltivarci il tabacco in giardino. Un po' meno ci guadagneranno le multinazionali del tabacco, ovviamente, ma quelle possono anche schiattare no? Sono brutte e cattive, invece le altre multinazionali sono belle e buone. E molte possono anche avvelenarci producendo porcherie sulla pelle degli sfruttati del terzo mondo. O forse qualcuno non se la sente di toccarle? E già, è gente potente, sempre meglio prendere via traverse e coprirsi di ridicolo con provvedimenti da operetta.
Ma per favore, che la finiscano di prenderci per il sedere. Se proprio si deve fare, la guerra al fumo va fatta per bene, non con questi ridicoli e contorti espedienti. Ma chi sono questi dilettanti che s'inventano certe amenità? Hanno mai fumato? Lo sanno che significa fumare? Conoscono la psicologia dei fumatori? A me sembra di no.
Non gli basta averci relegati al ruolo di appestati?
E mo' mi vado a fumare una bella sigaretta, eccheccazzo!

sabato 24 novembre 2012

Non riesco a convincermi a cambiare le mia abitudini di lettura. Ho sempre letto libri di carta, fin da quando ho imparato l'ABC, e l'idea di leggere libri elettronici mi lascia molto perplesso. Il che è strano, visto che tutto sommato sono un appassionato delle nuove tecnologie. Uso il computer dalla fine degli anni 80, ne ho avuti un'infinità, e ho comprato anche un'infinità di gadget (molti dei quali li conservo ancora in una sorta di personalissimo museo tecnologico di ciò che fu), ma l'e-book proprio non mi attizza, come si dice.
Eppure molti lo usano, e lo trovano anche comodo, in qualche caso economico. Ma per me il libro rimane quello di carta, quello che tieni fra le dita, che ha una sua consistenza, un suo odore, una sua storia. Quello che sta sul comodino. Quello che vai in libreria, lo sfogli, leggi l'ultima di copertina, e poi lo rimetti giù oppure lo acquisti, e con l'occasione guardi anche tanti altri libri. Quello che speri di trovare in una libreria dell'usato, magari malconcio, e quando lo trovi ti senti felice. Quello dove magari hai annotato delle tue osservazioni personali, o hai lasciato un vecchio segnalibro, o una cartolina, e ti riporta indietro nel passato a momenti belli o brutti. Quello che ci hai studiato sopra, quello che hai fatto rilegare, quello che ti hanno regalato per un compleanno e ci trovi ancora la dedica. Quello che ti hanno prestato e non hai mai restituito. Quello che aveva il prezzo in lire e non in euro. Quello che hai voglia di rileggere e ogni volta non è mai uguale a prima. Quello che hai amato, o odiato, ma che comunque ti ha suscitato un'emozione. Quello che insieme ad altri forma una bella macchia di colore sulla tua libreria. Quello che sta sempre lì anche se cambiano le tecnologie, anche se il tuo e-reader è scarico o ti si è rotto.
No grazie, per il momento mi tengo i libri di carta. In futuro si vedrà.

martedì 13 novembre 2012

Dando per scontato che in primavera si andrà a rinnovare il parlamento italiano (ma scontato non è), dando per scontato che vincerà il PD (ma scontato non è), ieri sera abbiamo avuto la possibilità di conoscere meglio i cinque personaggi fra i quali dovrebbe uscire il nuovo premier. Nel confronto su Sky, in un format molto accattivante, ma anche molto imbrigliato, si sono affrontati infatti i cinque candidati per i quali si voterà alla primarie fra due settimane. Il vincente sfiderà... boh, Alfano? Di nuovo Berlusconi? O qualche altro coniglio che uscirà dal cilindro del cavaliere? E poi c'è sempre l'incognita Grillo. Non lo so e per il momento non mi interessa.
Vediamo un po' con chi abbiamo a che fare.
Bersani sembra il più papabile. E' un politico ormai collaudato, e quell'aria da reverendo suona rassicurante anche per chi teme ancora il pericolo rosso. Se l'è cavata abbastanza bene, anche se ha detto e non detto, ma su alcune cose è stato più concreto degli altri.
Tabacci è anche lui un marpione di vecchia data, area ex democristiana. Ha parlato con solida disinvoltura e si è fatto forza con la buona esperienza nella giunta Pisapia a Milano. E' il più al centro di tutti e potrebbe raccogliere i voti dei moderati.
Vendola, sempre sofferente e sempre barocco, è di certo quello che sta più a sinistra, anche se non suscita grandi entusiasmi nell'area ex Rifondazione ed ex Comunisti italiani, né in quella più radicale. Certe sue posizioni estreme gli precludono la possibilità di un successo, ma potrebbe erodere voti a Bersani.
Renzi, sindaco rampante di Firenze, si è trovato perfettamente a suo agio: brillante, spiritoso, a volte graffiante, potrebbe essere l'avversario più pericoloso per Bersani, anche per la sua giovane età e la sua faccia da Pierino. Un nome nuovo in un panorama un po' mummificato, forse una scheggia impazzita, può avere successo.
Ultima e probabilmente senza possibilità la carneade Laura Puppato. A volte un po' in imbarazzo, non è sembrata all'altezza del compito, anche se è stata fresca e spontanea. Possibile che non ci fosse una donna più convincente di lei?
Detto questo, però, non posso non osservare come il confronto sia stato più che altro uno show patinato, un po' all'americana, ma senza grinta. Non ci sono stati fuochi artificiali, né colpi bassi, e c'era un'atmosfera da volemose bene che francamente suonava abbastanza zuccherosa. Un po' perché i tempi erano rigidamente contingentati, un po' perché tutti volevano offrire l'immagine di un partito compatto e affiatato, si è andati avanti senza sussulti, senza colpi di scena, senza pepe, diciamo pure con un una certa noia. Tutt'altra cosa rispetto ai confronti made in Usa dove si menano botte da orbi.
E per concludere, le ciliegine sulla torta. L'ultima domanda del conduttore è stata: fatemi il nome di due personaggi politici che per voi hanno grande importanza. Ecco le risposte.
Tabacci: De Gasperi, Marcora.
Pupppato: Nide Jotti, Tina Anselmi.
Renzi: Mandela e una ignota blogger tunisina.
E fin qui ci possiamo stare.
Vendola: il cardinale Martini.
Bersani: Papa Giovanni.
Ma per favore!

lunedì 29 ottobre 2012

Trentasette anni fa, ora più ora meno, nasceva mio figlio Francesco. Che ha rischiato di chiamarsi Sebastiano, un nome che a mia moglie piaceva molto. A me no, così abbiamo trovato un compromesso con quello del poverello di Assisi.
Appena venuto al mondo era già bellissimo e si guardava intorno, fresco come una rosa, con gli occhioni aperti, come a dire: che ci faccio qui? Come oggi era una bella giornata di fine ottobre, ancora incerta fra l'autunno e l'inverno. Sua madre entrò in ospedale con gli abiti leggeri e ne uscì con quelli pesanti.
Francesco è stato da subito un bambino esemplare. Troppo orgoglioso per rompere le scatole inutilmente, ha pensato bene fin dall'inizio di comportarsi da neonato modello: mangiava, dormiva, cresceva e non dava fastidio a nessuno. Mi ricordo che ce lo portavamo nelle gite domenicali sistemandolo sotto il lunotto posteriore della 126: lui se ne stava lì tranquillo, guardava il mondo e probabilmente già pensava a che fare della sua vita. Allora di sedili per bambini e cinture di sicurezza nemmeno a parlarne. Si viveva pericolosamente.
Successivamente è stato anche uno studente modello. Non ricordo mai una volta di averlo dovuto aiutare a studiare o a fare i compiti, dalle elementari a tutto il liceo. Non dava mai l'impressione di ammazzarsi sui libri: faceva il minimo indispensabile per essere promosso. Io mi sono sempre fatto un culo così e alla maturità mi hanno anche rimandato in matematica e (orrore!) italiano. Ma erano altri tempi. Era ancora la scuola pre-sessantotto.
Insomma, Francesco è uno che si è fatto da solo. Finito il liceo è stato preso dal sacro fuoco dell'Oriente. Prima la Russia, ma fu un amore passeggero, poi la Cina e infine Taiwan, dove ha trovato il suo paradiso, ha messo radici e ha avuto la fortuna di non dover combattere con i mostri del berlusconismo. Ha avuto anche la fortuna disposare una donna deliziosa e insieme hanno messo al mondo un bambino altrettanto delizioso.
Adesso è un uomo maturo e realizzato ed è ancora l'orgoglio di suo padre, dal quale ha preso molto, ma per fortuna non tutto. Ama leggere, ha una visione ironica del mondo e una mente aperta quanto basta per non fossilizzarsi.
Ha un solo difetto, che per quanto abbia fatto non sono mai riuscito a correggere: è agnostico in fatto di calcio. L'ho portato tante volte a vedere la Roma sperando che si accendesse in lui la sana passione dei colori giallorossi, ma senza grandi risultati.
Peggio per lui: non saprà mai quello che si è perso.

mercoledì 17 ottobre 2012

Mi considero un uomo fortunato. Almeno in campo lavorativo. Ho sempre svolto attività che mi piacevano,  e quasi sempre sono stato pagato per svolgerle. Ho scritto di sport e cinema, soprattutto, ma anche di cronaca.
A vent'anni lavoravo per un giornaletto romano che si chiamava Record. Tutte le domeniche andavo sui campetti di periferia a seguire le partite dei campionati dilettanti e poi preparavo un servizio con tabellini, marcatori e un minimo di cronaca. Una volta mi è anche capitato di seguirne due contemporaneamente: c'erano due campi di calcio uno attiguo all'altro e io guardavo di qua e di là cercando di non fare confusione. Ci sono riuscito, ma con gran fatica. Non mi hanno mai pagato.
Poi ho scritto per un paio d'anni sul Corriere dello sport. C'era allora una piccola ma vivace rubrica che si chiamava Cronache romane e mi mandavano di qua e di là a fare articoletti su fatti e personaggi di minima, o nessuna importanza, ma io mi divertivo e intanto mi facevo le ossa. E mi pagavano pure. Ad articolo, naturalmente.
Per anni ho scritto di cinema e nel 1972 sono stato anche inviato speciale al Festival di Cannes dove conobbi un giovanissimo Giancarlo GIannini che partecipava con il film Mimì Metallurgico ferito nell'onore.
In seguito ho aperto un negozietto di libri usati insieme al mio amico Walter, e poi un secondo per conto mio. Mi è servito per campare finché non ho vinto il concorso al Ministero beni culturali nel 1976. Non avevo la licenza e ho lavorato abusivamente per oltre un anno e mezzo prima che il Comune di Roma se ne accorgesse, ma a quel punto non me ne poteva fregare di meno. Ero già un impiegato statale.
Mi hanno mandato a Pavia (Biblioteca Universitaria), poi a Macerata  (Archivio di Stato) e infine, sempre a Macerata, alla neonata Biblioteca Statale, dove ho concluso gloriosamente la mia carriera.
Ho trovato anche il tempo di pubblicare, insieme al mio amico Sandro, tre numeri di una bellissima rivista di fantascienza (1976) che purtroppo ha chiuso i battenti prematuramente per via di un editore un po' sciagurato.
E ho scritto un libro sulla storia di una chiesina maceratese del Trecento.
E un altro su un manoscritto ottocentesco.
E da quasi quarant'anni traduco romanzi e racconti, con immutata soddisfazione.
Tutte esperienze bellissime, sempre in mezzo ai libri, alle carte, o comunque in ambiti stimolanti e creativi. Le rifarei tutte perché hanno reso interessante la mia vita. E il bello è che molte posso farle ancora.

sabato 6 ottobre 2012

Colto da repentina smania consumistica mi sono comprato un bel notebook (Samsung). Ci navigo e ci scarico, mentre sul vecchio PC ci lavoro. Certo, un conto è scrivere su una tastiera vera, un altro è scrivere su quella di un portatile. Nel primo caso vado velocissimo, nel secondo come una lumaca, per il momento, ma spero di migliorare.
Ho anche cambiato provider, adesso uso un router WiFi della Tre che ha un segnale ottimo, e ho dismesso Vodafone.
Lo riconosco, sono innamorato delle nuove tecnologie. Non tanto di quelle dei cellulari (viaggio ancora con un semplice Dual Sim di vecchia generazione), ma per quanto riguarda computer e annessi rimango incantato da quello che sanno fare. Lo consideriamo normale, ma certe volte a me sembra una diavoleria e quelle menti geniali che ci hanno lavorato mi appaiono come degli stregoni che fanno incantesimi.
Attraverso la rete io scarico, navigo, condidido, comunico, leggo, compro, m'informo, ma mica lo so bene quello che succede. O meglio, lo so in teoria, ma in pratica mi sfugge tutto, a cominciare dall'architettura di base che prevede le informazioni ridotte a bit, pezzetti infinitesimali, alternanze di zeri e di uno, e via dicendo. Nonostante me la cavi abbastanza come smanettone, sono a tutti gli effetti un utente passivo.
Credo si tratti della più grande (e più veloce) rivoluzione nella storia del genere umano, e inferiore come importanza (forse) solo alla rivoluzione industriale. Trent'anni fa (poco più di una generazione) eravamo dei poveri cristi che scrivevamo a mano o a macchina, facevamo i conti con la calcolatrice, leggevamo il giornale o guardavamo la televisione per sapere quello che succedeva nel mondo, usavamo il telefono fisso e quello a gettone e facevamo la spesa pagando in contanti o con assegni. In trent'anni il mondo è cambiato, e siamo cambiati noi.
Se in meglio o in peggio non lo so. Di certo la vita è più comoda sotto molti punti di vista, ma forse abbiamo perso qualcosa. Mi raccontava la gentile titolare del Tre Store una storia esemplare in tal senso. Un ragazzo entra in negozio per acquistare un telefonino. Lei lo vede triste e abbacchiato e gli chiede cos'abbia. Lui risponde che si è lasciato con la ragazza. Mi dispiace, dice lei, era da tempo che stavate insieme? No, risponde lui, da pochi mesi. Per farla breve è venuto fuori che i due si erano conosciuti in una chat e si erano innamorati, ma non si erano mai visti. Un amore solo virtuale.
Mi sto ancora domandando se questa cosa mi fa ridere o piangere.

venerdì 21 settembre 2012

Sono preoccupato, lo confesso.
Ogni volta che vedo in televisione quegli invasati che nei paesi islamici scendono in piazza, bruciano bandiere, urlano e strepitano come se li avesse morsi una tarantola, in quel momento mi preoccupo. Perché quelli credono in qualcosa, o li indottrinano a credere in qualcosa, il che è anche peggio.
Noi popoli civili invece non crediamo più in niente. Oh, certo, crediamo nel dio denaro, nel consumismo, nell'omologazione dei desideri e delle speranze. Ci possiamo esaltare, e nemmeno dappertutto, per la liquefazione del sangue di San Gennaro, per la vittoria del tapino di turno a qualche concorso di nuovi talenti o per l'uscita di un telefonino di nuova generazione, ma non è la stessa cosa.
Una volta, in nome della fede, si bruciavano sul rogo gli eretici e le streghe. Lo facevamo noi, proprio noi civilissimi cattolici occidentali. Ne abbiano sterminati a milioni, in tutto il mondo, di poveracci che pensavano in un altro modo, o forse non pensavano per niente e se ne stavano tranquilli per i fatti loro, con un altro dio o totem da adorare.
Dov'è la differenza? In entrambi i casi si protesta, si fa casino o addirittura si uccide in nome di un'idea. Però noi adesso siamo convinti di essere quelli che stanno dalla parte della ragione perché abbiamo i soldi, le case, le macchine, il cibo e la democrazia, e abbiamo paura che tutto questo ci venga tolto da chi ha un po' meno, o non ha niente.
Intendiamoci, io aborrisco la violenza, soprattutto quella in nome di un'ideologia, più che mai in nome di una religione, e sono anche un fautore della libera espressione del pensiero, ma la nostra mancanza di etica mi disturba profondamente, e se i morti di fame, gli sfruttati, gli affamati del mondo si ribellano, be', li capisco e li compiango. Anche se lo fanno in nome di Maometto.
Forse quelli che hanno ucciso l'ambasciatore a Bengasi non sono dei morti di fame, e magari qualcuno li ha manovrati, ma quando impareremo che il mondo non è fatto a immagine e somiglianza dell'occidente? E che Dio non ha l'esclusiva in fatto di religione?

mercoledì 12 settembre 2012

Perbacco, quasi un mese di assenza.
Be', ho avuto da fare.
Ho tradotto una valanga di racconti di Richard Matheson (sapete, quello di Duel, I Am Legend). Lui è soprattutto un grande nella narrativa breve. Ci sono alcuni suoi racconti che hanno fatto la storia della fantascienza (uno per tutti, Born of Man and Woman), dell'horror, del thriller e, ho scoperto adesso, anche del western.
Riesce a creare atmosfere allucinate con niente e in un crescendo di tensione conduce il lettore a finali quasi sempre a sorpresa.
Non a caso è stato uno dei più importanti sceneggiatori di episodi della serie televisiva The Twilight Zone (Ai confini della realtà), delle stagioni a cavallo tra fine anni 50 e inizi anni 60. Non so voi, ma io ci sono cresciuto, con quelle storie.
Ve la ricordate quella dell'uomo che scopre di essere l'unico sopravvissuto sulla Terra, entra in una grande biblioteca e dice, finalmente tanti libri da leggere, poi cade e gli si rompono gli occhiali e non ce ne sono altri?
O quella dell'uomo che vede uno strano mostriciattolo che sta rosicchiando l'ala dell'aereo su cui sta volando?
Oppure quella dello scrittore i cui personaggi prendono vita e alla fine si scopre che anche sua moglie è stata creata da lui?
O ancora quella degli astronauti che sbarcano su un pianeta in cui scoprono il relitto della loro astronave e i loro stessi cadaveri?
Be', sono tutte storie di Matheson. Che alla bella età di 88 anni scrive ancora e scrive sempre bene.
Insomma mi sono divertito come un matto. Ne ho tradotti una settantina, e altri ne arriveranno.
Ricordatevi il suo nome, se avete voglia di leggere storie che vi prendono alla gola. Non so quando uscirà (probabilmente nel tardo autunno, e saranno almeno due volumi, se non tre) ma ci dovrebbe essere tutta, proprio tutta la sua narrativa breve. Ne vale la pena.

venerdì 17 agosto 2012

Una volta l'estate era una cosa normale. Faceva caldo e nessuno se ne stupiva. Era nell'ordine naturale delle cose. Ricordo estati torride a Gaeta, mangiato dalle zanzare e cotto dal sole. Ma avevo vent'anni, o giù di lì, e tutto mi passava sopra.
Non c'erano allarmismi sulle condizioni meteo, anzi uno nemmeno lo sapeva che tempo avrebbe fatto il giorno dopo. L'informazione meteorologica in TV è nata con il mitico colonnello Bernacca negli anni sessanta, mi pare. Era un uomo molto pacato che spiegava le cose in modo semplice e non spaventava nessuno. Oggi a sentire i metereologi c'è da prendere i tranquillanti.
E siccome la natura così com'è non sembra abbastanza minacciosa, ecco che danno un nome ai tornado, ai tifoni e anche agli anticicloni. Ma mentre ai primi due attribuiscono nomi di donne,  per gli ultimi hanno pensato bene di andarsi a scegliere dei nomi fra i più sinistri della mitologia antica. Prima Caronte, poi Nerone, adesso tocca a Caligola, poi arriverà... cavolo, non me lo ricordo più, ma sempre un bastardo dal nome cattivo. Un modo per personalizzare le nostre paure, come se non ne avessimo già abbastanza.
E così invece di spaventarci per l'andamento della nostra italietta, per i nostri risparmi, il nostro lavoro, le nostre pensioni, ci ritroviamo ad attendere con terrore l'indomani, domandandoci dove andremo a rifugiarci per scampare alla canicola.
Se ne parla troppo, se ne fa spettacolo, ci si riempiono i palinsesti. Così siamo costretti a sentire banalità, a vedere dei poveri tapini che si rinfrescano alle fontanelle o che succhiano gelati, invece di starsene a casa, magari con un bel ventilatore o con l'aria condizionata.
E poi questi il vero caldo non lo conoscono. Che vadano in Tailandia, in Cambogia, a Taiwan, allora sì che potranno parlare con cognizione di causa. Lì il caldo è veramente insopportabile, perché all'alta temperatura si aggiunge l'alto tasso di umidità.
Insomma, che palle! Non ne posso più di sentire questi araldi di sventura. Forse la cosa migliore sarebbe trasferirsi ai tropici, dove la temperatura è costante tutto l'anno, fa sempre un bel calduccio e non ci sono neroni o caligola a minacciare la tua tranquillità. Stai in mutande tutto l'anno e te ne freghi dei meteorologi.
Oltreché dell'Italia tutta. Vi pare poco?

venerdì 3 agosto 2012

E' sceso il silenzio.
Per un mese sono stato travolto da rumore, confusione, movimento, per un mese sono emerso dal mio abituale isolamento, ho violentato la mia pigrizia e ho vissuto, fra tensione ed eccitazione, la vita inconsueta del nonno.
Ho un nipote impegnativo. Come ho già detto altre volte, vedo in Lolo grandi potenzialità, ma per il momento è più che altro un fiume in piena a cui non si riescono a mettere argini. Stargli appresso è molto spesso un piacere ineguagliabile, qualche volta una fatica improba e mi ha prosciugato tutte le (poche) energie che mi rimangono. Per cui adesso mi riposo, ma sento la sua mancanza e sono anche disposto a perdonargli tutte le sue marachelle.
La settimana in Sardegna è stata splendida, perché splendida è ancora l'isola, ancorché piuttosto cara. Praticamente abbiamo vissuto sempre di corsa, perché Rose non concepisce vacanze stanziali, e così fra Nuoro, Orgosolo, Sassari, Alghero, Palau, Santa Teresa e Olbia ne abbiamo girata quasi mezza. Con qualche inconveniente, come quando all'arrivo del traghetto non trovavo più le chiavi della macchina e ho temuto seriamente di dover chiamare il carro attrezzi. Per fortuna dopo mezz'ora sono venute fuori. Oppure come quando ho bucato una gomma, ma fortunatamente in prossimità di un supemercato e così ho risolto il problema abbastanza agevolmente. O come quando abbiamo letto male l'orario ferrovario e siamo tornati a Olbia con tre ore di ritardo sul previsto, proprio la sera in cui ci aspettava una grande abbuffata a base di porcetto presso un agriturismo.
Poi Francesco e Rose hanno pensato bene di farsi un bel giro nell'assolata pianura padana (proprio quando imperversava quell'ondata di caldo africano). Naturalmente io mi sono rifiutato di seguirli e me ne sono venuto a casa. Infine una ventina di giorni con Francesco e Lolo (mentre Rose se ne tornava a Taiwan perché non aveva più giorni di ferie). Giorni tranquilli con qualche escursione in luoghi vicini e grandi scofanate di pomodori e mozzarella.
Poi, come dicevo, il silenzio. E mentre io me ne sto qui a godermi il meritato riposo con qualche nostalgia, Fracesco non è ancora arrivato a Taiwan, perché sfortuna ha voluto che un grosso tifone giungesse sull'isola proprio in concomitanza con il suo arrivo. Tutti i voli da e per Taiwan sono stati sospesi e mi risulta che lui si sia rifugiato in un albergo di Bangkok in attesa di ripartire. Per quanto ne so è ancora lì.
Cose che succedono.
Mentre qui non succede niente. Torno alla mia vita tranquilla, mi godo quest'ultimo mese d'estate e poi mi preparerò per l'inverno. Sperando che il mondo non finisca a dicembre. Ho ancora qualcosa da fare.

martedì 26 giugno 2012

A volte ritornano. Nel mio caso, spesso.
Stavolta, grazie a Facebook, è riemerso dalle ombre del passato il mio amico Paul Harrison. Chi è Paul Harrison? Be', chi era, sarebbe meglio chiedersi, visto che stiamo parlando di quasi 42 anni fa. Era la fine di agosto, o forse l'inizio di settembre, del 1970 e io me ne stavo tornando in Italia dalla terra di Albione a bordo della mia 500. Ero stato lì per circa un mese e mezzo a preparare la mia tesi di laurea su Thomas Lovell Beddoes (chi era costui? Un poeta romantico misconosciuto che ha scritto cose stupende) e mi trovavo al porto di Dover in attesa di imbarcarmi sul traghetto per il Belgio. A un certo punto mi si avvicina un ragazzo, Paul appunto, che mi chiede di salire in macchina, altrimenti non può imbarcarsi. Gli dico di sì. Ci mettiamo a chiacchierare e mi spiega che sta andando a una parata di palloni aerostatici, proprio in Belgio.
Per farla breve attraversiamo la Manica, sbarchiamo nel continente e procediamo verso sud. Giunti al punto in cui lui doveva scendere mi dice: "Ho cambiato idea. Vengo con te fino in Italia." Ne sono ben felice, così non devo fare tutto quel lungo viaggio da solo.
Era fatto così, Paul. Un entusiasta, un ragazzo pieno di risorse e di iniziative. Se aveva voglia di fare una cosa, prendeva e partiva. Non conosceva una parola di italiano, solo un po' di francese, che qualche volta confondeva con la nostra lingua. Siamo stati tre giorni insieme attraverso il Belgio, la Germania, la Svizzera e un pezzetto di Italia. Abbiamo condiviso un'esperienza bellissima, dormito e mangiato dove capitava, rubato mele, chiacchierato tanto. Giunti a Como è sceso, diretto non ricordo dove.
Non è finita qui. Me lo sono ritrovato a Roma nel 1975, dove è stato ospite mio e di Maria Luisa (eravamo sposati da poco e abitavano in un casa grande quanto una scatola di fiammiferi). E poi me lo sono ritrovato a Pavia qualche anno dopo, con Francesco piccolissimo e lui giunto a bordo di un furgone Volkswagen (mi pare). Mi raccontò che aveva in programma una crociera nel Mediterraneo a bordo di una qualche imbarcazione.
Dopo non l'ho sentito più. Recentemente l'ho cercato più volte, ma di Paul Harrison è piena la rete e non sapevo quale fosse quello giusto. E' finita che mi ha trovato lui. E a occhio di sembra lo stesso di tanti anni fa, ancora sportivo, in movimento, vitale e molto british.
Hi Paul, it's great to hear again from you!

domenica 17 giugno 2012

Dopo tanti anni, quasi venti, tornerò in Sardegna con Francesco, Rose e Lolo.
Era un sogno che accarezzavo e temevo di non riuscire più a realizzare. Mi è rimasta nel cuore, quest'isola bella e profumata. Ti accorgi di essere arrivato quando il traghetto si avvicina a Olbia: ne senti subito l'odore, anzi un misto di odori, macchia mediterranea, mirto, ginepro, liquerizia e non so che altro.
Poi scendi e l'odore si fa più forte, e quando arrivi verso il mare anche gli occhi hanno il loro momento di gloria. Colori stupendi, forti e decisi, spiagge incredibili, e un'edilizia tutto sommato abbastanza rispettosa dell'ambiente (almeno era così vent'anni fa). E non c'è solo il mare: l'interno è aspro e fascinoso, a volte desertico a volte lussureggiante. La gente schetta e gentile.
La Sardegna è un luogo in cui è ancora possibile (era ancora possibile?) fare delle scoperte: calette nascoste e deserte, miniere abbandonate, dune sabbiose che ricordano un deserto africano, chiesette romaniche nel mezzo del nulla, paesetti appartati dove ancora circolano figure femminili ammantate di nero.
Meglio evitare, comunque, gli itinerari più sfruttati. La Costa Smeralda, un'occhiata e via, per esempio. E pensare che proprio lì il famoso Aga Khan acquistò per quattro soldi da contadini ignari o dimentichi di avere fra le mani un angolo di paradiso un tratto di costa di una bellezza da levare gli occhi, prima che ci costruissero in modo intensivo e prima che ci arrivasse Berlusconi.
Dopodiché, prima o poi toccherà alla Sicilia.

venerdì 8 giugno 2012

La morte è una strana bestia.
Ti colpisce quasi sempre quando meno te l'aspetti, ti porta via le persone care seguendo criteri di scelta non sempre chiari e nei modi più imprevedibili, ma ha almeno un effetto positivo: riunisce le persone.
Mercoledì è venuta a mancare mia madre. Per carità, un'età avanzata e una vita lunga sostanzialmente felice (a parte gli orrori della guerra che ha vissuto da ragazza e la perdita di un figlio ancora in culla): fino a quattordici anni fa, quando morì mio padre. Uno shock che non ha mai superato. Si è trascinata per questi quattordici anni facendo del male a se stessa e a chi le stava intorno con l'unica speranza di riunirsi quanto prima al marito. Adesso ci è riuscita e spero che sia finalmente serena.
Non ne parlerò né bene né male. Anzi, non ne parlerò per niente. E' un mio ricordo, la porterò con me perché è stata una buona madre e una buona moglie.
No, vorrei invece tornare a quanto dicevo prima. In questa triste occasione sono rispuntati fuori dal nulla parenti lontanissimi, amici dimenticati, conoscenti di cui si erano perse la tracce, anche semplici figure passate quasi casualmente nella sua (e nella mia) vita.
E con molti di costoro capita di guardarsi in faccia senza riconoscersi (perché la vita ci ha cambiato) e si riscoprono affetti sopiti o magari cancellati dalla lontananza e ci si dice, inevitabilmente, che sarebbe bello vedersi anche in altre occasioni meno tristi. Poi tutto torna come prima. La vita torna ad allontanarci, fino al prossimo evento luttuoso...
Possibile che la vita non riesca a riavvicinare le persone come fa la morte?

giovedì 17 maggio 2012

Che si fa quando si sta in pensione? Be', si può fare di tutto, in teoria. C'è chi viaggia e chi si mette a fare il nonno a tempo pieno, chi rinasce e chi lentamente deperisce e muore, chi rompe i coglioni al prossimo e chi si ritira in solitudine.
Io scrivo. Faccio cioè quello che ho sempre sognato di fare. Oltre a leggere, guardare le mie serie televisive preferite, leggere.
Un po' come successe a mio padre, anima creativa costretta per decenni a fare un lavoro che non gli piaceva e poi, all'atto del pensionamento, sbocciato a una nuova vita nella quale ha potuto coltivare tanti interssi necessariamente messi da parte.
Attualmente sto scrivendo una storia d'amore. Vera. Non un romanzo, ma la trascrizione di un epistolario di circa cent'anni fa che conservo da quasi quarant'anni dopo averlo salvato dal macero.
E' la vicenda di due giovani di Montecchio (un paese in provincia di Terni) raccontata attraverso le lettere che si scrissero dal 1910 al 1920 circa, prima di convolare finalmente a giuste nozze. Inserita nel delicato periodo precedente, poi contemporaneao e infine successivo alla Grande Guerra, questa lunga vicenda diventa uno spaccato della vita grande e piccola di quegli anni difficili: perennemente separati (lei a Montecchio lui a Roma a fare il carabiniere), divisi da una differenza di rango sociale, osteggiati dal padre di lei, i due si costruiscono pazientemente un sogno che poi riescono a realizzare sia pure in mezzo a tante difficoltà.
Siamo lontani anni luce dalla vita frenetica di oggi: allora i ritmi erano ancora quelli della carrozza a cavalli e di treni di una lentezza esasperante, era un lusso telefonarsi, la luce elettrica non era ancora arrivata dappertutto e la radio era l'unico strumento che entrava a portare informazioni nelle case della gente.
Queste centinaia di lettere scritte in un italiano ancora ottocentesco che sembra uscito dalla penna di De Amicis costituiscono un piccolo patrimonio di autentica umanità. Una storia semplice in un mondo semplice, ormai del tutto scomparso.
Se tutto va bene la pubblicazione è prevista per l'autunno.
E dopo chissà, magari scriverò il romanzo che ho sempre sognato di scrivere.

venerdì 27 aprile 2012

Un altro diario taiwanese no, ce ne sono stati fin troppi, ma qualche osservazione a margine di quest'ultimo viaggio in estremo oriente ci sta bene.
Perchè Taiwan (un po' come tutte le nazioni di quell'area) è così: ci torni dopo alcuni mesi, un anno, e non è più come l'hai lasciata. E' in perenne movimento, mutazione, trasformazione: strade, palazzi e linee della metropolitana crescono a vista d'occhio, le città si modificano fagocitando spazi e rielaborandoli a modo loro, e lo stesso verde urbano, che a una prima occhiata sembrerebbe tanto sacrificato, in realtà aumenta anche quello con l'aumentare di una popolazione molto più attenta all'ambiente.
E così si dà il caso che dal balcone della casa di Francesco, dove me ne stavo confinato a fumare, mi divertissi a guardare sei piani più in basso una donnetta che tutte le mattine arrivava armata di carrrettino, paletta e scopettone, con la sua pettorina e il suo cappello a spicchi giallorossi, e si metteva a pulire meticolosamente il marciapiede e il bordo della strada. Non si salvava una foglia secca, e alla fine la strada era irreprensibile, così come la strada più in là e quella più in qua, dove altrettanti cloni della donnetta facevano altrettanto.
E poi mi sono reso conto che laggiù non conoscono il significato della parola crisi. Si continua a produrre e a spendere tranquillamente, l'economia tira, i soldi girano e il benessere, anche se non così sfacciato, c'è e si vede. C'è fiducia e si tocca con mano.
E poi ti acccorgi che quando parli di Italia ancora gli si illuminano gli occhi, e allora ti domandi se non ci sia qualcosa che non va in un paese che ha ancora un nome nel mondo, ma va piangendo miseria e non ha più la forza di drizzare la testa e si deve sorbire una cura ricostituente a forza di bastonate.
E poi annusi l'aria e senti quell'odore incredibile che emanano le città orientali, dove l'effluvio di ciò che scorre sopra (il cucinato, la gente, la vita) si mescola con l'effluvio di ciò che scorre sotto (fogne e condotti di ogni tipo) creando un vero e proprio humus olfattivo che è una sorta di biglietto da visita, e allora capisci di essere in oriente: un altro mondo, con altre regole. E tu puoi esserne solo spettatore passivo perchè la tua testa di occidentale, il tuo cuore di occidentale, la tua pancia di occidentale ti porteranno sempre in un'altra direzione e lo sforzo di opporsi, di capire veramente quel mondo e quelle regole, di viverlo non da semplice turista, è così logorante da prosciugarti di ogni energia. E quando torni a casa ti senti esausto e ti rimangono solo suoni, odori, emozioni che fatichi a rimettere in ordine.
Sarà anche per l'età, sarà anche per le mie cattive condizioni di salute negli ultimi giorni, ma questa volta l'esperienza taiwanese è stata davvero massacrante. Anche se devo aggiungere che probabilmente questo è il periodo migliore in cui stare laggiù: né caldo né freddo, e un tempo tutto sommato anche soleggiato, non la solita cappa di grigio.
Ne terrò conto in futuro.

sabato 24 marzo 2012

Stanotte torna l'ora legale, e già questo basta a mettermi di buonumore.
Ma più che altro sono contento perché fra pochi giorni parto per Taiwan. Mi aspettano tre settimane di soggiorno nella nuova casa di Francesco, in un periodo dell'anno che sarà per me una novità assoluta. Ho vissutoTaiwan d'estate, lasciando litri di sudore, e l'ho vissuta d'inverno, con qualche brivido in quelle case senza riscaldamento e l'ebbrezza del Capodanno cinese.
Trascorrerò la Pasqua in quel paese dimenticato da Dio (per sua fortuna, di Taiwan intendo) e avrò agio di andarmene in giro per la tentacolare Taipei, da pensionato che non ha più obblighi di orari, ma solo la voglia di spassarsela per quanto possibile. Rivedrò il piccolo Lolo, con il quale cercherò per l'ennesima volta di stabilire un soddisfacente contatto nonno-nipote leggendogli le storie di Barbapapà.
Insomma un bel po' di cose che mi fanno dimenticare il lungo viaggio in aereo (Roma-Hong Kong 12 ore, Hong Kong-Roma 14 ore!) in attesa che inventino il teletrasporto.
Tornerò alla fine di aprile. sperando di vedere finalmente cresciuti i carciofi, le fave e i piselli che comunque sono sopravvissuti a quella sorta di era glaciale che abbiamo vissuto all'inizio di febbraio.
Non prometto l'ennesimo diario taiwanese, ce ne sono stati fin troppi, ma non si sa mai: l'isola bella potrebbe ispirarmi ancora, nel qual caso non mancherò di farvene partecipi.
Intanto stanotte non dimenticate di mettere le lancette un'ora avanti, e non venitemi a dire che si dormirà un'ora di meno. E' un'emerita fesseria, essendo domenica si dormirà finché se ne ha voglia, e già da lunedì tutto tornerà come prima.
E spero che quanto tornerò avranno cominciato ad accreditarmi la pensione.

mercoledì 14 marzo 2012

A proposito di imbecilli, di cui ahimé la rete abbonda: http://www.gherush92.com/news_it.asp?tipo=A&id=2985
Già il titolo mi fa saltare sulla sedia: VIA LA DIVINA COMMEDIA DALLE SCUOLE.
Ohibò, non che ai tempi del liceo l'avessi amata particolarmente. Mi era piaciuto solo l'Inferno, quello sì tosto e pieno di sacro fuoco. Il Purgatorio una lagna infinita, e il Paradiso... due palle!
Ma insomma chi può negare che si tratti di un'opera colossale, di un caposaldo della letteratura italiana, ma che dico, della letteratura mondiale? Consideriamo l'epoca in cui fu scritta, fine medioevo, quando si cominciava a uscire dai cosiddetti secoli bui (che poi tanto bui non furono). C'era stato il Dolce stil novo, certo, anche quello una gran palla, però bene o male erano gli esordi della lingua italiana, una sorta di Big Bang culturale. Una rivoluzione, a suo modo. E la Divina Commedia non può che essere vista e considerata in quel contesto storico, nell'ottica di quella visione cristianocentrica della chiesa e della società. Quando non esisteva ancora il politically correct, e il giusto e il bello stavano solo da una parte.
Be', questo signore la pensa diversamente. Nel capolavoro dantesco vede "
un’anticipazione delle leggi razziali di epoca fascista" e per lui "E’ uno scandalo che i ragazzi, in particolare ebrei e mussulmani, siano costretti a studiare opere razziste come la Divina Commedia, che nell’ invocata arte nasconde ogni nefandezza". Conclusione: "Certamente la Divina Commedia ha ispirato i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, le leggi razziali e la soluzione finale". E alla fine l'esortazione: "Chiediamo, pertanto, al Ministro della Pubblica Istruzione, ai Rabbini e ai Presidi delle scuole ebraiche, islamiche ed altre di espungere la Divina Commedia dai programmi scolastici ministeriali o almeno di inserire i necessari commenti e chiarimenti.".
Alla faccia del caciocavallo! Dante razzista! Dante antisemita, antimusulmano, antitutto! Chi l'avrebbe mai detto? E come si può far leggere a scuola simili orrori ideologici ai poveri studenti non cattolici? Non sia mai, dovessero crescere con qualche turbamento della psiche!
Come se poi quel che la Divina Commedia rappresenta, e cioè il cammino verso la salvezza divina, fosse poi tutto questo gran chè! Un cammino fatto di sofferenze, proibizioni, atrocità, mortificazioni e privazioni per raggiungere un noiosissimo obiettivo spirituale fatto di cori angelici e di amore spirituale. Non c'è spazio per l'amore terreno, per il sesso, per un sano approccio alla vita in quei pochi anni in cui ci è dato vivere fatti di carne e di sangue.
Però francamente tutto questo mi preoccupa. Se dovesse prendere piede una mentalità così estremista, così becera, si aprirebbe una triste prospettiva di censure dagli esiti imprevedibili nel campo della letteratura e dell'arte, e della libera espressione del pensiero.
E non posso non pensare ancora una volta a quello splendido racconto di Connie Willis dal titolo "Rumore" (di cui ho già parlato in un mio post del 2010) in cui la stessa operazione di pulizia ideologica viene applicata all'intera opera di Shakespeare. Per non scontentare nessuno si cancella praticamente tutto e alla fine non rimane che un mucchio di parole senza senso né valore.
Dio ci scampi sempre dai fanatici.

venerdì 2 marzo 2012

Esattamente trent'anni fa, il 2 marzo 1982, moriva per una serie di infatti, nemmeno cinquantaquattrenne, Philip K. Dick. E' stato uno dei più geniali creatori di storie del dopoguerra, e forse dell'intero Novecento. Ancor oggi si continuano a scoprire di lui aspetti nuovi e inquietanti, e Hollywood, in crisi com'è di idee, continua a saccheggiarlo senza vergogna. La critica, anche quella più alta, si sta accorgendo del valore di uno scrittore negletto in vita, confinato nel ghetto della fantascienza, e gli studi e gli articoli su di lui non si contano più. Pensatore e a suo modo anche filosofo, oltre che grande affabulatore, Philip K. Dick, ha visto in anticipo cose che a tutti sfuggivano e le ha trasformate in folgoranti metafore nello spazio del racconto e del romanzo, e in lucide analisi nei suoi scritti critici.
Un esempio? Leggete quanto scrisse nel lontano 1978 in un saggio dal titolo Come costruire un universo che non cada a pezzi dopo due giorni.
<Scrivendo romanzi e racconti che si ponevano la domanda "Che cos'è la realtà?", ho sempre sperato che un giorno avrei trovato una risposta. È la speranza anche della maggior parte dei miei lettori. Il problema è concreto, non è solo una sfida intellettuale. Perché oggi viviamo in una società nella quale i media, i governi, le grandi corporation, i gruppi religiosi e politici producono continuamente realtà fasulle, ed esiste l'hardware adatto a instillare questi pseudomondi nella mente di lettori, spettatori, e ascoltatori.
Lo strumento principale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se siete in grado di controllare il significato delle parole, sarete in grado di controllare le persone che devono utilizzarle. George Orwell l'ha evidenziato nel suo romanzo 1984. Un altro modo di controllare le menti delle persone però è quello di controllare le loro percezioni. Se riuscite a fargli vedere il mondo nel modo in cui lo vedete voi, allora la penseranno come voi.
Così, nei miei testi, continuo a chiedere: "Cos'è reale?'' Perché siamo costantemente bombardati da pseudorealtà prodotte da gente estremamente sofisticata, che adopera meccanismi altrettanto sofisticati. Non diffido tanto dei loro moventi, quanto del loro potere. Ne hanno moltissimo. Ed è un potere straordinario, quello di creare interi universi, universi della mente. Avrei dovuto immaginarlo. Io faccio la stessa cosa. È il mio lavoro creare universi in cui ambientare un romanzo dopo l'altro. E devo costruirli in modo che non cadano a pezzi dopo due giorni. O almeno questa è la speranza dei miei editori. Voglio svelarvi un segreto però: a me piace costruire universi che cadano a pezzi. Mi piace vederne lo scollamento, mi piace vedere come i personaggi nei romanzi affrontano il problema. Ho una segreta passione per il caos. Dovrebbe essercene di più.>

martedì 21 febbraio 2012

Finalmente l'emergenza è finita. Ci sono ancora delle chiazze di bianco qua e là, ma la grande nevicata del 2012 è passata alla storia. Ho vissuto giorni chiuso praticamente in casa, uscendo solo quel minimo per dar da mangiare agli animali e scavandomi a forza di palate un sentiero in mezzo alla neve, che poi veniva puntualmente ricoperto. Un sabato sera c'è anche stata una bufera di neve, il blizzard come lo chiamavano, e francamente mi sono sentito un po' come se mi trovassi nel grande nord, domandandomi come facciano quei poveretti che ci abitano a sopravvivere. Non tanto per il freddo, quanto proprio per la difficoltà di muoversi, di procurarsi il necessario, di far fronte anche alle più semplici incombenze quotidiane.
Per fortuna mi ero premunito per tempo: scorte alimentari, il bombolone di GPL pieno, abbondanza di legna e una buona provvista di sigarette, madopo sei giorni non ne potevo più: provavo il forte disagio di essere bloccato, tagliato fuori dal mondo. Tutto intorno a me sembrava addormentato, in animazione sospesa, era come se non ci fosse più nulla di vivo, e quel manto bianco era diventato un ostacolo insormontabile che faceva di me un recluso, e non già solo l'eremita che in qualche modo ho scelto di essere. Il giorno in cui sono uscito per la prima volta con la macchina (gomme termiche, ovviamente) mi è sembrato di rinascere mentre percorrevo a passo di lumaca strade ghiacciate fiancheggiate da cumuli enormi di neve.E ancora una volta, come anche in altre occasioni, ho capito la tremenda forza della natura: si tratti di neve, acqua, terremoto o altro, è sempre pronta a ricordarci che la padrona è lei, e noi semplici sudditi anche un po' presuntuosi.
Come dice una delle mie canzoni preferite (Mother Earth, del gruppo olandese Within Temptation) Madre Terra va avanti per la sua strada senza curarsi di noi: "She rules, until the end of time she gives and she takes... She rules, until the end of time she goes her way".

mercoledì 8 febbraio 2012

Ah, dimenticavo, noi siamo il paese in cui qualcuno ha avuto l'impudenza di accusare, addirittura di trascinare in giudizio, i sismologi per non aver previsto il terremoto dell'Aquila! E' proprio vero, la madre dei cretini è sempre incinta.

martedì 7 febbraio 2012

Ci sto dentro fino al collo da quattro giorni, dunque posso parlare. E in tanti altri posti stanno peggio di me. Questa è una perturbazione epocale. Mai vista tanta neve in vita mia. E non accenna a sciogliersi, perché la temperatura è sempre prossima allo zero. In queste condizioni è obiettivamente difficile intervenire, soprattuto dove non si è attrezzati per queste evenienze. A Roma, per esempio dove non si è persa l'occasione di dare addosso a un sindaco che sarà sì un imbecille, ma che secondo me in questo caso non può essere considerato responsabile dei tanti disagi, quanto meno non di tutti.
Perché non prendersela con gli imbecilli che escono tranquillamente con la macchina pur sapendo che è in arrivo la neve, perché "tanto a Roma quanto mai può nevicare?" Io mi sono attrezzato, ho fatto scorta di viveri, di sigarette, ho fatto il pieno di GPL e di legna ne avevo già in abbondanza, e mi sono preparato a un lungo periodo di immobilità. Sono anche in pensione e non sono stato costretto ad andare al lavoro, ma tanto non ci sarei andato lo stesso, mi sarei preso qualche giorno di ferie o mi sarei arrangiato con i mezzi pubblici. Quegli imbecilli invece sono rimasti per strada, lasciando la macchina magari messa chissà come, e poi si lamentano che il comune non è intervenuto per tempo. Un po' come quelli, altri imbecilli, che si mettono in movimento nel corso di weekend estivi da bollino rosso, rimangono imbottigliati nelle autostrade e poi protestano perché nessuno gli porta l'acqua minerale.
Ma ragazzi, il cervello lo portiamo solo per spartire le recchie, come dicono da queste parti? Secondo me essere un buon cittadino significa anche non mettersi nelle condizoni di creare noi stessi problemi agli altri per trascuratezza o incoscienza. E non pretendere che qualcuno venga sempre in nostro soccorso e gridare allo scandalo se non arriva subito.
Poi, diciamo la verità, in qualche caso si poteva fare di più. Qui da me, per esempio, a parte la strada in cui abito che è una strada vicinale e non pretendo che mi passi lo spazzaneve tutti i giorni, ma la strada statale è in condizioni indecorose. Ci sono passato stamattina ed era ancora una lastra di neve, che questa notte diventerà una lastra di ghiaccio. Niente sale, niente brecciolino, un percorso per spericolati. Idem a Villa Potenza, popolosa frazione di Macerata. Nessuno ha pulito i marciapiedi e bisogna camminare sulla sede stradale.
Però quando piove, piove. Quando nevica, nevica. Quando fa caldo, fa caldo. Che pretendiamo? Una volta le condizioni meteorologiche venivano accettate come un fatto naturale, nessuno faceva titoloni sui giornali, né se ne parlava per giorni alla TV, a meno di catastrofi. Era colpa della natura e basta, oggi è sempre colpa di qualcuno (ma mai di se stessi).
Io la pala ce l'avevo e mi sono spalato un bel po' di neve. Se tutti si rimboccassero le maniche invece di protestare sempre forse l'Italia andrebbe un po' meglio.

sabato 28 gennaio 2012

Sta per uscire il penultimo romanzo che ho tradotto per Fanucci. Anzi no, questa volta non si tratta di un romanzo, ma di una storia vera, anche se a leggerla si stenta a crederlo.
Tutti voi sapete che sono un grande appassionato di Philip K. Dick, grande autore di fantascienza e non solo, e da diversi anni saccheggiato dai produttori di Hollywood che ne hanno ricavato film di diverso valore e successo: da un capolavoro come Blade Runner, a film decorosi come Total Recall e Minority Report, a piccole chicche come A Scanner Darkly di Richard Linklater (se non lo avete visto vi consiglio di procurarvelo, ne rimarrete stupiti), per finire con una quantità di blockbusters che dell'originale dickiano hanno solo l'idea e poco altro.
Insomma, Dick è diventato quello che si dice un autore di culto. A tal punto che nel 2005 due giovani scienziati americani, David Hanson e Andrew Olney, hanno progettato e costruito una replica in tutto e per tutto uguale a lui: un androide, in poche parole, cioè un robot antropomorfo capace di parlare e di sostenere conversazioni. E questo androide si è esibito in diverse città americane riscuotendo sempre grande successo. In realtà hanno costruito solo la testa, aggiungendovi poi un corpo, una specie di manichino, per completare l'impressione di trovarsi di fronte a un essere umano. Seduto su un divano, l'androide Dick era in grado di guardarti in faccia, rispondere alle tue domande e addirittura fartene lui stesso. Quella testa era un gioiello di elettronica e il bello era che non c'era nessuno dietro a farla funzionare: agiva da sola grazie a un sofisticatissimo software di riconoscimento del linguaggio e a una quantità di altri programmi di altissima ingegneria informatica.
Be', proprio quella testa andò perduta nel gennaio del 2006 nel corso di un volo da Dallas a Las Vegas e non fu mai ritrovata. David F. Dufty, scienziato anche lui, che ha partecipato sia pure marginalmente al progetto, ci racconta tutta la storia. Una storia che sembra davvero un romanzo, un romanzo che avrebbe potuto scrivere solo Philip K. Dick.
Per chi fosse interessato: Lost in Transit: la strana storia dell'androide Philip K. Dick, di David F. Dufty, di prossima pubblicazione da Fanucci.

domenica 15 gennaio 2012

Stranamente, anche se sono in pensione, continuo ad adeguarmi al vecchio sistema giorni feriali/giorni festivi. Anche se per me non ci sarebbe nessuna differenza. Che m'importa se è domenica o lunedì? Faccio comunque quello che mi pare, no? Se ne ho voglia lavoro, sennò... be', faccio altro.
E invece no. Oggi è domenica e così non lavoro (leggi: non traduco), mi mangerò le mie solite lasagne dell'Eurospin e la mia solita bistecca e mi verrà un po' di malinconia via via che la giornata volge al termine (quella storia del Sabato del villaggio e della Sera del dì di festa cui accennavo in altro post).
Strana cosa, la mente umana. Strano come i condizionamenti persistano anche quando vengono a mancare i presupposti degli stessi. Be', direte voi, senno' non sarebbero condizionamenti. Giusto. Basti pensare alla storia di chi sente dolore a un braccio o ha voglia di grattarselo anche quando gli è stato amputato. Si chiama sindrome dell'arto assente, o qualcosa del genere.
Ma credo che nel mio caso non ci vorrà molto per liberarmi dalle antiche abitudini. In realtà già adesso mi capita ogni tanto di non ricordarmi che giorno è. Certo, potrebbe essere un anticipo di demenza senile, ma sono più portato a credere che sia invece la prova che per me a questo punto un giorno vale l'altro. E quando vado a trovare i miei ex-colleghi in biblioteca e li vedo affannarsi fra impegni e orari da rispettare, be', sarà brutto, ma mi sento libero. Come un puledro fuori da una stalla che corre felice sui prati
E il meglio deve ancora venire.

giovedì 5 gennaio 2012

Stamattina sono andato dalla mia dottoressa per farmi prescrivere i soliti farmaci, queli che prendo da dieci anni e che prenderò fino alla fine dei miei giorni. Tre, per la precisione.
Cartello sulla porta: sono in ferie dal 27 dicembre fino all'8 gennaio, rivolgersi alla mia sostituta, all'altro ambulatorio. OK, te la spassi, Sabina, fai bene. Vado nel pomeriggio all'altro ambulatorio. Cartello sulla porta: giorno prefestivo, CHIUSO.
Prefestivo un par di palle! Non è un giorno lavorativo come gli altri, un volgarissimo giovedì? Che me ne frega se domani è l'Epifania? Ti costa troppo lavorare oggi, brutta stronza di una sostituta? Già apri solo quattro mezze giornate a settimana, non sia mai che dovessi stancarti. O forse devi preparati per scendere domani dal camino e consegnare i regali ai tuoi nipotini?
Lo vado ripetendo da tempo, in Italia quella che manca è la voglia di lavorare. Siamo abituati male, tra feste, prefeste, postfeste, ponti, vacanze e orari ristretti.
Qualcuno del nuovo governo propone di liberalizzare gli orari dei negozi. Apriti cielo! Aiuto, i piccoli commercianti chiuderanno a vantaggio della grande distribuzione. Chi l'ha detto? Certo, il negozietto sotto casa non può competere a livello di prezzi, ma può sopperire con la gentilezza, la disponibilità, l'assistenza ove occorra, e con un'apertura più logica e vicina ai cittadini. Perché tutti devono aprire e chiudere alla stessa ora? Chi va in giro a fare compere alle otto o alle nove del mattino? Aprite alle dieci e chiudete un po' più tardi la sera, o meglio ancora, organizzatevi per stare aperti di più, perché no, anche di notte, ove ne valga la pena. E poi io nei negozietti ci vado volentieri, la grande distribuzione, gli ipermercati, i centri commerciali mi mettono a disagio, e non trovo nemmeno che offrano tutta questa gran convenienza. Tante offerte civetta e poi siamo lì, più o meno i prezzi si equivalgono. Meglio l'Eurospin, allora, pur con tutti i suoi limiti.
Vabbe', tanto l'Italia è questa e non c'è Monti che possa cambiarla.
In compenso la mia vita da pensionato non è poi così male. Niente orari, niente impegni: solo quelli che mi scelgo da me. Il mondo mi gira intorno impazzito e io me ne sto tranquillo in campagna a badare ai miei gatti e a respirare aria buona, contento di quello che ho: il necessario e un po' di superfluo. La formula della felicità.