giovedì 29 novembre 2007

Inaugurata la bretella di Villa Potenza

Vi parlavo qualche mese fa, non ricordo bene quando, della famosa bretella di Villa Potenza, una strada di scorrimento cha taglia fuori la suddetta frazione decongestionandone il traffico, e che a me fa anche comodo perché mi consente di arrivare a casa prima.

Ebbene, la bretella è stata inaugurata ieri, in pompa magna, presenti il presidente della Provincia, il sindaco di Macerata e altre autorità.

In realtà c'è poco di cui andare fieri, visti i tempi biblici occorsi per la realizzazione di un tratto di strada lungo nemmeno un chilometro, pianeggiante e senza ostacoli. Intoppi burocratici, ricorsi da parte di proprietari ai quali hanno sottratto qualche fazzoletto di terra, ritardi annosi negli appalti.

Insomma, le solite cose che succedono in Italia.

E' solo l'ennesimo esempio di inefficienza, per fortuna in questo caso limitato a un'opera pubblica di relativa importanza. Il problema diventa più consistente quando cominciamo a parlare di ospedali mai finiti, o finiti da anni e mai inaugurati, di strade di grande comunicazione interrotte a metà perché progettate male, di superstrade che vanno avanti a pezzi e bocconi da decenni (ne abbiamo un bell'esempio proprio nella nostra provincia), di metropolitane che avanzano a passo di lumaca.
Che ci vogliamo fare? Mica siamo nella civilissima Taiwan! Siamo in Italia, dove tutti reclamano i propri diritti ma nessuno pensa ai propri doveri. Tanto meno ai doveri istituzionali derivanti dall'essere stati eletti a cariche di responsabilità, non per investitura divina, ma perché qualcuno li ha liberamente e democraticamente scelti per rappresentarci e fare le cose giuste per conto nostro. Insomma che ne ha fatto a tutti gli effetti dei nostri dipendenti, come li chiama Beppe Grillo. Dipendenti che hanno solo privilegi, però, e nemmeno il pudore di andarsene quando sbagliano. Non voglio dire che debbano arrivare al punto di fare harakiri come certi politici giapponesi, ma certo se si levassero da torno ne guadagnerebbe l'immagine complessiva dell'Italia.

Ho un po' divagato: sono partito da una bretella e sono finito a parlare di politica con la P maiuscola. Non me ne vogliate: sogno sempre che le cose cambino. In meglio, non in peggio.

 

mercoledì 21 novembre 2007

Il mio gatto Robin

Fra i miei tanti gatti ce n'è uno che è cieco. Si chiama Robin. E' stato quello che si dice un pietoso caso... felino. Alcuni anni fa bisognava sgombrare il cortile di una casa in cui si era insediata una colonia di gatti. Fra questi c'era lui, poverino, già cieco, e nessuno lo voleva. Così un amico di Francesco, Fabrizio (anche lui animo sensibile) mi telefonò e mi spiegò la faccenda. Bene, gli dissi, portalo pure qui, tanto... gatto più gatto meno.

Così me lo portò e io lo lasciai subito libero di andare dove voleva. All'inizio non usciva mai di casa, era timidissimo e se ne stava sempre per i fatti suoi. Poi, poco a poco, ha preso coraggio, e adesso se ne va tranquillamente in giro per tutto il giardino, con tutti i tempi. E ritrova invariabilmente la via della porta di casa senza problemi.

Ogni tanto mi incanto a guardarlo mentre cammina. Sembra incredibile, ma non sbatte mai da nessuna parte. Avverte gli ostacoli con le vibrisse (vabbè, non parliamo difficile, diciamo con i baffi) e un attimo prima di urtare si scosta. Cammina anche abbastanza veloce, lungo certi itinerari che conosce bene. Certo, ogni rumore lo spaventa, anche quando si tratta di me: si gira a guardarmi con quegli occhi vuoti che mi fanno tanta tenerezza e cerca di captare l'eventuale pericolo. Prova addirittura a scappare, se cerco di prenderlo, almeno all'inizio. Poi, dopo qualche carezza, si calma. In compenso non l'ho mai sentito miagolare. Forse è anche muto, chi lo sa.
Storie di gatti. Ne avrei tante da raccontare. William Burroughs ha scritto un libro sull'argomento (Il gatto in noi) e Burroughs non è uno scrittore qualsiasi. Io non ho la pretesa di essere lui, ma forse prima o poi lo scriverò anch'io un libro sui gatti. Ho già pronto il titolo: Un gatto per tutte le stagioni.

martedì 13 novembre 2007

La morte di Gabriele Sandri

A me questa storia dell'omicidio del giovane tifoso laziale di domenica scorsa non mi convince per niente. Cerchiamo di ricostruire la situazione: ci sono alcuni occupanti di due o tre macchine che si mettono a litigare in una piazzola dell'autogrill, per motivi banali legati al tifo calcistico o forse per altre ragioni. Volano parole grosse, magari qualche cazzotto. Dall'altra parte dell'autostrada, a settanta, ottanta metri di distanza (forse più), c'è un agente della polstrada che, non si sa in quale modo misterioso, capisce che sta succedendo qualcosa. Chiunque avrebbe pensato che da quella distanza è praticamente impossibile intervenire, e invece questo agente che fa? Tira fuori la pistola d'ordinanza e spara un colpo in aria.

E già qui non si siamo. Perché io credo che un colpo d'arma da fuoco sparato da così lontano, con le macchine che nel frattempo sfrecciano sull'autostrada nei due sensi di marcia non si possa nemmeno sentire, e comunque sarebbe del tutto ininfluente a sedare l'eventuale rissa in atto.
Non contento, l'agente si mette a correre (verso dove?) e (secondo la sua versione) mentre corre parte un altro colpo che ferisce mortalmente il povero Gabriele Sandri che stava dormendo in macchina. Secondo un testimone, invece, l'agente si sente improvvisamente l'eroe di un telefilm americano e punta l'arma a braccia spianate per mirare alle gomme di una macchina che nel frattempo sta partendo, perché la rissa non c'è più. Con il drammatico esito che conosciamo. Come se dall'altra parte ci fossero dei terroristi o degli spietati delinquenti che bisogna fermare a tutti i costi.
Ma stiamo scherzando? Non c'è proporzione fra l'evento in sé e la reazione dell'agente. Che per di più si trova in un luogo presumibilmente affollato, e non è (a quanto ci dicono) un pivello né una testa calda.

E allora? Allora non lo so, ma mi sembra tutto così assurdo, così insensato, così stupido! Morire in quel modo a ventotto anni è davvero una incredibile, tragica, sfortunatissima fatalità. E non riuscire a spiegarsela non fa che peggiorare la cosa.

E se ci fosse qualcosa che non ci vogliono dire?

Ah, tutto quello che è successo poi, a Bergamo e a Roma, è solo l'ennesimo esempio della becera stupidità di frange estreme del tifo (probabilmente manipolate) che non si vuole spazzare via una volta per tutte. Forse perché a qualcuno fanno comodo.

lunedì 5 novembre 2007

Ho rivisto Antonella

Squillo di trombe, rullo di tamburi! E' successo!

Che cosa, vi domanderete voi. Ebbene, è successo che ho rivisto Antonella, la mia fidanzata di un tempo, della quale parlavo in un post circa sei mesi fa.

Dopo la bellezza di quasi quarant'anni ci siamo rivisti in quel di Macerata. Non so se vi è mai capitato, ma rivedere una persona cara (e cara è dire poco, in questo caso) dopo così tanto tempo fa sempre un certo effetto. Perché nel frattempo tu sei cambiato, lei è cambiata, il tempo ha pensato bene di infierire su entrambi, e soprattutto ognuno si porta appresso un ricordo fossilizzato negli anni, che certamente non coincide con la realtà dell'uno e dell'altro.

E invece è andato tutto bene, alla grande, direi. Come se non fosse successo niente, come se non ci fosse quel grande buco aperto fra di noi, con i binari della vita che per ognuno hanno portato il treno verso direzioni diverse. Facendo di noi, a tutti gli effetti, due persone diverse. La lunga frequentazione virtuale attraverso centinaia di email ha certamente influito nel ricostruire un minimo di intimità, ma quando si passa dalla realtà virtuale alla realtà... reale è tutta un'altra storia. Ed è stata una bella storia: calda, piacevole, quasi complice nella sua apparente semplicità e naturalezza.
Per qualche ora mi sono ritrovato a fronteggiare un fantasma del passato. E non è diventato un film dell'orrore, casomai una piacevole commedia brillante interpretata da due attori un po' attempati, ma ancora in gamba. E scusate se è poco.