domenica 5 giugno 2011

Ogni volta che vado a Roma non vedo l'ora di scappare

Ogni volta che vado a Roma non vedo l'ora di scappare. Mi coglie una specie di disagio esistenziale. Mi infastidisce il rumore, il traffico, la sporcizia, la confusione. Mi manca l'aria, non mi sento tranquillo.

Eppure sono nato lì, ci ho vissuto per trent'anni, e l'ho anche amata, Roma. Quella Roma di una volta che adesso non c'è più. Cancellata da decenni di crescita incontrollata, di cattiva amministrazione, di menefreghismo. Devastata da strade, viadotti, tangenziali, sottopassaggi, corsie preferenziali. Travolta da un turismo usa e getta, da visitatori frettolosi che non sanno nemmeno ciò che si trovano davanti, preoccupati soltanto di riempire la memoria delle loro fotocamere digitali. Sfruttata da un'orda di parassiti, di invasori irrispettosi, di barbari attirati dal miraggio della metropoli. Fagocitata dal fiume di macchine che la corrode lentamente, parcheggiate dovunque, sotto gli occhi distratti di tutti. Rassegnata a ingrassare smodatamente sotto il peso della sua stessa bulimica smania di grandezza, ma in realtà destinata a consumarsi nel tempo, a trasformarsi in un grande formicaio come tante altre città del mondo. Che non hanno nemmeno la sua storia.
Eppure una volta era bello viverci. Era bello camminare per le sue strade, per i suoi lungotevere, salire e discendere i suoi tanti colli. Era bello soffermarsi davanti al suo immenso patrimonio archeologico, entrare in una chiesa qualsiasi e trovarci, inevitabilmente, qualche capolavoro. Era una città in cui si provava piacere a vivere, e della quale si era orgogliosi di far parte.
Ho abitato fin da piccolo in Viale Vaticano, e spesso uscivo di casa l'ultima domenica del mese, percorrevo cento metri ed entravo nei Musei Vaticani, che in quel giorno erano gratuiti. Me ne restavo lì per ore, quasi da solo, ad ammirare la Cappella Sistina e tutti gli altri tesori che vi si trovano, e ne uscivo ogni volta estasiato, come in trance. Oggi sarebbe impossibile. C'è sempre una fila lunghissima di turisti, di quei turisti di cui parlavo prima, intruppati per ore sotto il sole o sotto la pioggia e poi costretti a percorrere a passo di marcia un itinerario già scritto, senza il tempo di soffermarsi, di riempirsi gli occhi di tante bellezze, di alzare gli occhi verso il Giudizio universale e scolpirselo nella memoria più di quanto possa fare una fredda fotografia.

Andavo spesso anche a San Pietro, e mi fermavo a lungo davanti alla Pietà di Michelangelo. Potevo toccarla. Oggi è nascosta dietro un cubo di plexiglass, o forse di vetro antiproiettile: lontana, irraggiungibile.
Roma ha cominciato a guastarsi all'inizio degli anni sessanta, con l'arrivo del boom, del mito del benessere diffuso. Da allora è diventata un'altra città, una città in cui pian piano ho cominciato a non riconoscermi più, fino a scapparne e a rifugiarmi in provincia.

Amo ancora Roma (o forse amo il ricordo che ho di lei), e mi sento ancora civis romanus, ma non potrei più viverci. Mi intristisce troppo vederla ridotta così, involgarita, imbruttita, saccheggiata, privata della sua dignità, del suo passato e forse anche del suo futuro. Lontano, nel mezzo del nulla, mi illudo che un giorno possa tornare a essere ciò che era, ma non mi faccio troppe illusioni. E' tutto il mondo che cambia, e non in meglio, purtroppo.

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