Ogni volta che vado a Roma non vedo l'ora di scappare. Mi coglie una specie di disagio esistenziale. Mi infastidisce il rumore, il traffico, la sporcizia, la confusione. Mi manca l'aria, non mi sento tranquillo.
Eppure sono nato lì, ci ho vissuto per trent'anni, e l'ho anche amata, Roma.
Quella Roma di una volta che adesso non c'è più. Cancellata da decenni di
crescita incontrollata, di cattiva amministrazione, di menefreghismo. Devastata
da strade, viadotti, tangenziali, sottopassaggi, corsie preferenziali. Travolta
da un turismo usa e getta, da visitatori frettolosi che non sanno nemmeno ciò
che si trovano davanti, preoccupati soltanto di riempire la memoria delle loro
fotocamere digitali. Sfruttata da un'orda di parassiti, di invasori
irrispettosi, di barbari attirati dal miraggio della metropoli. Fagocitata dal
fiume di macchine che la corrode lentamente, parcheggiate dovunque, sotto gli
occhi distratti di tutti. Rassegnata a ingrassare smodatamente sotto il peso
della sua stessa bulimica smania di grandezza, ma in realtà destinata a
consumarsi nel tempo, a trasformarsi in un grande formicaio come tante altre
città del mondo. Che non hanno nemmeno la sua storia.
Eppure una volta era bello viverci. Era bello camminare per le sue strade, per
i suoi lungotevere, salire e discendere i suoi tanti colli. Era bello
soffermarsi davanti al suo immenso patrimonio archeologico, entrare in una
chiesa qualsiasi e trovarci, inevitabilmente, qualche capolavoro. Era una città
in cui si provava piacere a vivere, e della quale si era orgogliosi di far
parte.
Ho abitato fin da piccolo in Viale Vaticano, e spesso uscivo di casa l'ultima
domenica del mese, percorrevo cento metri ed entravo nei Musei Vaticani, che in
quel giorno erano gratuiti. Me ne restavo lì per ore, quasi da solo, ad
ammirare
Andavo
spesso anche a San Pietro, e mi fermavo a lungo davanti alla Pietà di
Michelangelo. Potevo toccarla. Oggi è nascosta dietro un cubo di plexiglass, o
forse di vetro antiproiettile: lontana, irraggiungibile.
Roma ha cominciato a guastarsi all'inizio degli anni sessanta, con l'arrivo del
boom, del mito del benessere diffuso. Da allora è diventata un'altra città, una
città in cui pian piano ho cominciato a non riconoscermi più, fino a scapparne
e a rifugiarmi in provincia.
Amo
ancora Roma (o forse amo il ricordo che ho di lei), e mi sento ancora civis
romanus, ma non potrei più viverci. Mi intristisce troppo vederla ridotta così,
involgarita, imbruttita, saccheggiata, privata della sua dignità, del suo
passato e forse anche del suo futuro. Lontano, nel mezzo del nulla, mi illudo
che un giorno possa tornare a essere ciò che era, ma non mi faccio troppe
illusioni. E' tutto il mondo che cambia, e non in meglio, purtroppo.
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