sabato 19 febbraio 2011

Il 17 marzo

La storia ci insegna che il 17 marzo 1861 il Regno di Sardegna, annessi buona parte degli stati preunitari, assunse il nome di Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II ne venne proclamato re. Già il fatto che Vittorio Emanuele abbia mantenuto il numero 2 e non abbia scelto, come sarebbe stato logico per un'entità nazionale appena creata, il numero 1, la dice lunga sull'intenzione dei Savoia di considerare il nuovo stato come un semplice ingrandimento del Regno di Sardegna, diverso solo nel nome ma non nella sostanza. Tutto rimase come prima, a parte le dimensioni geografiche, anzi si avviò un processo di piemontesizzazione che è durato nel tempo, anche quando la capitale fu spostata prima a Firenze e poi a Roma. Ne vediamo ancora le tracce negli orribili edifici ministeriali romani e nella struttura burocratica, pesante e sonnacchiosa, tuttora esistente.

Bisognerebbe poi aggiungere che mancavano ancora diversi pezzi per considerare l'Italia davvero unita: il Veneto, il Trentino, il Friuli, la Venezia Giulia e il Lazio, solo per citare i più importanti.

Tuttavia non si può negare che quel 17 marzo fu un giorno significativo e di certo un momento unificante, almeno rispetto alla situazione frammentata che esisteva prima, con stati e staterelli, regni, principati e granducati che si dividevano la penisola.

E dunque posso anche convenire che, se proprio si deve scegliere una data da eleggere a festività ufficiale per la nascita dello stato italiano, questa possa essere il 17 marzo.

Da ieri è ufficiale. Non so ancora se sarà una festa definitiva, ma il 17 marzo di quest'anno non si lavora. La macchina della retorica risorgimentale avrà così modo di esprimersi (migliaia, tra l'altro, le iniziative per celebrare l'avvenimento, molte delle quali inutili e costose) a fronte di un'Italia che invece si sta minacciosamente sfasciando: un po' per le spallate dei leghisti i quali probabilmente rimpiangono il Regno lombardo-veneto (e come dargli torto?), un po' per l'azione di governo che sta progressivamente minando i cardini dell'Italia democratica (giustizia, istruzione, cultura, la stessa libertà d'espressione), proponendo un modello da terzo mondo e riportandoci indietro proprio di 150 anni, a quel mondo preunitario fatto di sopraffazioni, privilegi e ingiustizie.

Tra l'altro, invece di rimboccarsi le maniche, come stanno facendo un po' in tutto il pianeta, si aggiunge un'altra giornata di non lavoro alle tante che già esistono nel nostro paese. Per una volta tanto (forse l'unica) mi trovo d'accordo con quella caricatura di ministro (Calderoli) il quale ha affermato che bisognerebbe festeggiare lavorando.

Già. A nessuno è mai passato per la testa che in Italia si lavora poco?


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