Un altro diario taiwanese no, ce ne sono stati fin troppi, ma qualche osservazione a margine di quest'ultimo viaggio in estremo oriente ci sta bene.
Perchè Taiwan (un po' come tutte le nazioni di quell'area) è così: ci torni dopo alcuni mesi, un anno, e non è più come l'hai lasciata. E' in perenne movimento, mutazione, trasformazione: strade, palazzi e linee della metropolitana crescono a vista d'occhio, le città si modificano fagocitando spazi e rielaborandoli a modo loro, e lo stesso verde urbano, che a una prima occhiata sembrerebbe tanto sacrificato, in realtà aumenta anche quello con l'aumentare di una popolazione molto più attenta all'ambiente.
E così si dà il caso che dal balcone della casa di Francesco, dove me ne stavo confinato a fumare, mi divertissi a guardare sei piani più in basso una donnetta che tutte le mattine arrivava armata di carrrettino, paletta e scopettone, con la sua pettorina e il suo cappello a spicchi giallorossi, e si metteva a pulire meticolosamente il marciapiede e il bordo della strada. Non si salvava una foglia secca, e alla fine la strada era irreprensibile, così come la strada più in là e quella più in qua, dove altrettanti cloni della donnetta facevano altrettanto.
E poi mi sono reso conto che laggiù non conoscono il significato della parola crisi. Si continua a produrre e a spendere tranquillamente, l'economia tira, i soldi girano e il benessere, anche se non così sfacciato, c'è e si vede. C'è fiducia e si tocca con mano.
E poi ti acccorgi che quando parli di Italia ancora gli si illuminano gli occhi, e allora ti domandi se non ci sia qualcosa che non va in un paese che ha ancora un nome nel mondo, ma va piangendo miseria e non ha più la forza di drizzare la testa e si deve sorbire una cura ricostituente a forza di bastonate.
E poi annusi l'aria e senti quell'odore incredibile che emanano le città orientali, dove l'effluvio di ciò che scorre sopra (il cucinato, la gente, la vita) si mescola con l'effluvio di ciò che scorre sotto (fogne e condotti di ogni tipo) creando un vero e proprio humus olfattivo che è una sorta di biglietto da visita, e allora capisci di essere in oriente: un altro mondo, con altre regole. E tu puoi esserne solo spettatore passivo perchè la tua testa di occidentale, il tuo cuore di occidentale, la tua pancia di occidentale ti porteranno sempre in un'altra direzione e lo sforzo di opporsi, di capire veramente quel mondo e quelle regole, di viverlo non da semplice turista, è così logorante da prosciugarti di ogni energia. E quando torni a casa ti senti esausto e ti rimangono solo suoni, odori, emozioni che fatichi a rimettere in ordine.
Sarà anche per l'età, sarà anche per le mie cattive condizioni di salute negli ultimi giorni, ma questa volta l'esperienza taiwanese è stata davvero massacrante. Anche se devo aggiungere che probabilmente questo è il periodo migliore in cui stare laggiù: né caldo né freddo, e un tempo tutto sommato anche soleggiato, non la solita cappa di grigio.
Ne terrò conto in futuro.
Magari la prossima volta farsi qualche chilometro a piedi di meno aiuterebbe, eh :)
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