Oggi parlo di film. Come forse
avrete già capito amo la fantascienza, l'horror, lo splatter, il trash,
l'azione. Tutta roba che non fa pensare, insomma, da gustarsi con la classica
coca cola e il piattone di pop-corn. Stacco il cervello e mi rilasso.
Cominciamo con un film che ha
fatto molto discutere e ha suscitato reazioni molto forti: Martyrs, di
Pascal Laugier. C'è gente che al cinema si è sentita male, ha vomitato,
imprecato, protestato. In effetti ci sono scene di bassa macelleria che possono
turbare, ma quello che in definitiva colpisce di più è il concetto di
sofferenza elevato al rango di strumento mistico di conoscenza. C'è sangue, ci
sono torture, mutilazioni, c'è sopraffazione fisica e psicologica, ma il tutto
in qualche modo nobilitato da un assunto filosofico di fondo che riesce a
riscattarne la violenza. Una violenza peraltro fredda, chirurgica, da sala
operatoria, senza compiacimento. Un film per stomaci forti, ma sul quale
meditare.
The Mist, di Frank
Darabont, ripropone quella che sembra l'ennesima situazione claustrofobica di
un gruppo di persone all'interno di uno spazio chiuso, al di fuori del quale
premono per entrare mostruose creature di non ben precisata provenienza. Alla
lunga, però, ci si accorge che c'è qualcosa di più: il tentativo di analizzare
le reazioni di questo gruppo di fronte alla pressione e alla minaccia
dell'ignoto. La bestia che è dentro di noi è sempre pronta a prendere il
sopravvento, cancellando l'apparenza di umanità e sgretolando ogni forma di
razionalità. Con un finale da shock.
Molti trekkers (per i non
addetti: gli appassionati di Star Trek) forse avranno storto il naso di fronte
al film di J. J. Abrams (Star Trek. Il futuro ha inizio) che narra le
vicende di un Kirk e di uno Spock poco più che ragazzi e si pone come la
premessa (del tutto personale) della saga. Abrams (il genio che sta dietro
telefilm come Lost e Fringe e film come Cloverfield)
non è, per sua stessa ammissione, un fan di Star Trek e questo gli ha
consentito di lavorare con tutto il distacco necessario. Non abbiamo più di
fronte degli eroi immacolati e pieni di alti ideali, ma degli uomini in carne e
ossa con tutti i loro limiti (specialmente Kirk): una sorta di
de-sacralizzazione che, unita a un approccio visionario, ribalta completamente
l'immagine consolidata in dieci film, cinque serie e circa 600 episodi.
Mi ha poco convinto, invece, il
quarto episodio della saga di Terminator (Terminator Salvation, di
Joseph McGinty Nichol), e non solo perché il buon Schwarzenegger qui è assente.
Cupo e desolato, il film non rispetta se non in minima parte il consueto
canovaccio già sperimentato con successo nei primi tre episodi: Sarah
Connor-John Connor contro il terminator cattivo di turno. In questo caso la
vicenda si svolge in quel futuro che si cercava di evitare, dove le macchine
hanno preso il sopravvento e gli uomini lottano disperatamente per
sopravvivere, e la storia, un po' raffazzonata, si dipana zoppicando, sempre in
bilico fra azione e riflessione, e a volte nemmeno i buoni effetti speciali
riescono a ravvivarla. Il brutto è che sono previsti altri due seguiti...
Chiudo con delizioso film coreano
(2009. Memorie perdute di Si-myung Lee) in cui si narra di un presente
alternativo in cui la Corea è diventata una provincia del Giappone che ha vinto
la seconda guerra mondiale alleandosi con gli Stati Uniti. Ma la storia è stata
falsificata, e la chiave di tutto è in un evento del 1909 e in un congegno che
consente di viaggiare nel tempo per cambiarlo. Anche con un finale un po'
confuso, è un film che avvince e stupisce.
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