Ho aggiornato il mio parco foto e ho eliminato quelle vecchie. Alcune foto si trovano anche su Facebook, dove bazzico da qualche settimana senza troppo entusiasmo.
Ogni volta che accedo è un po'
come entrare in un salone affollato in cui tutti parlano e non si capisce
niente. Le conversazioni si incrociano e si sovrappongono, i gruppi di persone
si modificano, molti commentano, molti rispondono ai commenti; c'è chi posta
foto, chi filmati, chi musica, e ho il forte sospetto che qualcuno bivacchi
perennemente in rete, non avendo evidentemente niente di meglio da fare. E' un
porto di mare, un luogo di incontro, sì, di scambi e di comunicazione, ma anche
di cazzeggio, spesso con quell'insopportabile linguaggio fatto di ke, x, parole
smozzicate, tutta roba che sta lentamente uccidendo la lingua italiana.
E poi c'è quel minaccioso
riquadro sempre presente in testa alla pagina: a cosa stai pensando? Sapete
quante volte ho avuto la tentazione di rispondere "sono cazzi miei, a te
che te ne frega, brutto stronzo?", ma poi non l'ho fatto perché in fondo
sono una persona educata. Però è una presenza inquietante, quella scritta, una
specie di Big Brother che vuole conoscere i tuoi pensieri per farne chissà che.
Certo, è anche piacevole entrare
e ritrovarsi in compagnia di persone che in qualche modo si sono scelte: amici,
si chiamano, anche se per lo più, nel mio caso sono parenti anche stretti. E così
mia nipote Barbara cerca chi vende una fisarmonica (per farne che?), mio nipote
Marco Valerio scrive cose senza senso, ma lo fa con un fine umorismo, Chiara e
Sharon si lamentano dei dolci tedeschi dopo essersi abboffate di quelli
italiani e Fabrizio Tropeano impazza con i suoi annunci bassamente interessati
(a proposito, Fabrizio, stai meglio con i capelli che senza).
Il futuro è qui? Non saprei, e
spero di no, ma nello stesso tempo spero che Facebook sopravviva e non soccomba
alla sua stessa ipertrofia bulimica. E' comunque uno spazio libero, e come tale
va difeso. Sta a noi farne buon uso.
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