Tre anni fa Maria Luisa, mia moglie, lasciava questo mondo. Senza troppi rimpianti, immagino, visto che non le ha dato grandi soddisfazioni. Lo ha fatto con pudore, senza clamori. Forse per l'ennesima volta ha avuto paura di dare fastidio e ha tolto il disturbo a modo suo.
Rimpianti ne ha lasciati a me, però, non solo per il modo repentino in cui se
n'è andata, ma soprattutto perché mi ha lasciato con la sensazione di non aver
fatto per lei tutto quello che avrei potuto. Magari non è vero, ma non lo saprò
mai con certezza.
Donna
difficile, Maria Luisa, affetta da quel tipo di malessere che non riesci
nemmeno a definire. Infanzia difficile, adolescenza difficile, matrimonio
difficile. Senza gli strumenti per affrontare le difficoltà. O meglio, senza
gli strumenti per metabolizzarle. La consumavano come un tarlo in un mobile
antico.
Grandi
qualità perennemente inespresse. Era maestra nell'arte di svendersi, o magari
era solo timida. Aveva un ideale d'amore che forse esiste solo nei sogni, ma
quando esiste è amore con l'A maiuscola. E a proposito di sogni, c'era una
bellissima frase che ripeteva spesso, non so nemmeno di chi: ogni donna è del
primo che sa sognarla.
Forse
non ho saputo sognarla, chissà, l'ho solo amata.
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