Francamente mi riesce difficile capire il motivo dell'avversione che le alte sfere della chiesa cattolica romana hanno dimostrato nei confronti del Codice Da Vinci, il bestseller di Dan Brown, fin dal momento della sua pubblicazione. E' stato un continuo di interventi critici, di condanne, di anatemi dal sapore medievale (o, se preferite, islamico), dai piccoli parroci di paese allo stesso Pastore tedesco (così titolò al momento dell'elezione di Benedetto XVI il quotidiano di Rifondazione, che quanto a titoli ne sa una più del diavolo). Manca solo la condanna a morte e siamo a livello dei Versetti satanici di Salman Rushdie.
In
fondo stiamo parlando solo di un romanzo, di un'opera di pura e semplice
fiction. Non è un trattato dottrinale, né ha pretese di esserlo, ma
evidentemente ha toccato un nervo scoperto. Guai a chi scalfisce i dogmi
dell'ortodossia cattolica, anche solo in forma narrativa. Guai a chi mette in
dubbio le certezze sancite da generazioni di teologi nel corso di due millenni.
E invece io consiglio il romanzo a tutti quelli che non l'hanno letto. E' una
macchina perfetta, di godibilissima lettura, e ricca di stimoli ad approfondire
la storia un po' nascosta dietro il velo della santa ufficialità. E quando fra
pochi giorni uscirà il film, facendo violenza alla mia ormai inveterata
pigrizia probabilmente andrò a vederlo. Alla faccia di chi vorrebbe impedirmi
di ragionare con la mia testa.
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