Dopo l'abbuffata taiwanese torniamo a cose italiane. Fra poco più di un mese si andrà a votare, in quella che secondo me è una tornata elettorale fra le più importanti della nostra storia recente. Perché si tratta di decidere dove vogliamo andare, di trovare un'identità politica definita e un ruolo riconoscibile nel mondo che ci aspetta, o meglio che non ci aspetta, perché qualcuno corre mentre noi continuiamo a procedere con il freno tirato. Dovremo farlo, ahimé, scegliendo fra il poco e il niente della nostra scena politica attuale. Uomini di governo improvvisati, candidati opportunisti o voltagabbana, coalizioni appiccicate con lo scotch, programmi confusi e molta demagogia. Un padrone del vapore da una parte e un parroco di campagna dal'altra, con un avvilente contorno di comprimari più attaccati alla poltrona che alle esigenze dell'elettore. Un teatrino di basso profilo nel quale nessuno sembra emergere dal grigiore e nel quale non si intravedono nemmeno quelle figure marginali, ma di qualche spessore e con qualche idea chiara, alle quali ci si poteva aggrappare una volta in mancanza di meglio, scegliendo di votare la persona a dispetto dell'idea politica. Mi riferisco ai vari Pannella, Segni e simili, tutti tristemente segnati dall'avanzare dell'età.
Che fare allora? Io ho sempre votato e voterò anche stavolta, ma turandomi il naso, come disse qualcuno, e dopo avere esaminato con attenzione i nominativi, in cerca di qualcuno che mi sembri un po' più promettente degli altri. Mi perdonerete se vi confesso che qualche volta rimpiango gente come Giulio Andreotti. Non solo perché è buon tifoso della Roma, ma perché almeno in lui brillava (e qualche volta brilla ancora) la luce inconfondibile dell'arguzia e dell'intelligenza. Con questi personaggi, invece, siamo nel buio più completo.
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