Lo confesso, ho barato. Sì, è vero che sta per arrivare Lolo, ma la verità è che ho dovuto sottopormi a un piccolo intervento chirurgico (per i più curiosi: digitare l'acronimo TURV su Google), e così la mia testa era da tutt'altra parte.
E'
andato tutto bene. Mi sono trattenuto in ospedale (quello di Bracciano, vicino
Roma) per una settimanella e adesso sono di nuovo al lavoro. Era la mia
prima esperienza di ospedalizzazione e così l'ho vissuta almeno all'inizio con
qualche trepidazione, non sapendo bene cosa aspettarmi, ma alla fine si è
rivelata cosa di modesta entità e, addirittura, un'esperienza che mi ha
stimolato qualche riflessione.
Un ospedale è un mondo a parte, un microcosmo con orari e regole ben definiti,
del tutto diversi da quelli della vita di tutti i giorni. Il tempo scorre
lento, a volte sembra non scorrere affatto, e ci si ritrova a desiderare il
giro di visite dei medici, o la pulizia della camera pur di rompere la
monotonia. Ho consumato il corridoio dell'U.O. Chirurgia a furia di
passeggiare, e sono anche arrivato a non farmi i fatti miei (cosa che
solitamente faccio, e anche bene) per poter scambiare quattro parole con
qualcuno. I pasti sono quello che sono (inevitabilmente, aggiungo), ma una
settimana a dieta semiliquida è troppo anche per uno come me che qualche chilo
da smaltire ce l'ha eccome.
Detto questo, però, ci sono anche degli aspetti positivi. Ho trovato un
personale medico molto disponibile e professionale, e soprattutto uno staff di
infermiere giovani e gentili che in certi momenti mi hanno davvero risollevato
il morale. E soprattutto ho vissuto in prima persona il valore della
solidarietà. Un ospedale è un mondo di persone che soffrono, a vari livelli di
gravità. Sorge spontaneo l'impulso ad aiutarsi, a venirsi incontro, a
partecipare in prima persona al disagio o al dolore degli altri. Io, che non
sono un chiacchierone, in certi momenti mi sono scoperto quasi logorroico,
bisognoso di parlare e di ascoltare, di essere parte attiva di quel mondo, dove
c'è gente che va e viene, ogni sorta di caso umano e clinico, e alla fine ci si
accorge che è una vera e propria scuola di vita. E proprio perché c'è tanto
tempo libero, viene spontaneo riflettere e farsi delle domande.
Mentre stavo eseguendo l'ecografia cardiaca e guardavo sul monitor il mio cuore
che pulsava regolarmente mi ha colpito un'idea: l'uomo è in grado di costruire
una macchina che funziona senza mai interrompersi, senza pezzi di ricambio e
senza manutenzione per sessantatré anni? La risposta è no. E invece il nostro
cuore è lì a testimoniarci la bellezza di questo meccanismo straordinario e, se
vogliamo, la piccolezza dell'uomo di fronte al creato.
E
dunque grazie a tutti, in particolare a Luana, Roberta, Livia, Giulia,
Cristina, Jole, Anna, Fabiana (le infermiere, e di qualcuna non ricordo il
nome), e al mio amico Massimiliano, scaricone e metallaro, con cui ho condiviso
momenti molto belli e che ricordo con affetto. Sono ancora qui, più ricco di
prima, e ho intenzione di restarci a lungo.
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