Prima di tutto una correzione al mio precedente post. Il mitico bibitaio che scorazzava per gli spalti dell'Olimpico negli anni sessanta si chiamava Gasperino, e non Angelino come ho erroneamente scritto. Da cui la frase con cui veniva sempre accolto dai tifosi di entrambe le fedi: "Ammucchia, Gasperi'...". Ringrazio mio fratello per avermelo segnalato. Eh, la mia memoria non è più quella di una volta.
Ho già avuto occasione di parlare
una volta della memoria e delle sue bizzarrie. Esistono delle cose che si
ricordano per sempre, anche se risalgono a uno scatafascio di anni fa. Il fatto
è probabilmente dovuto all'abitudine di un tempo di imparare le cose a memoria,
diciamo pure a pappagallo, da "Cantami o Diva l'ira funesta del pelide
Achille che infiniti lutti addusse agli Achei" alle preghiere che ci
insegnavano a scuola, soprattutto a me che ho fatto le elementari dalle suore,
per finire con le parole dell'inno di Mameli, uno dei testi più orrendi che mente
umana abbia mai concepito. Ma voi avete mai capito che diavolo significa
"... le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò"?
Tra l'altro sembra un inno del
fascismo, e invece risale al 1847. Chi non lo conosce a memoria, almeno fra
coloro che hanno una certa età? Ed è buffo vedere i calciatori della nazionale
italiana che evidentemente non lo conoscono bene, e si limitano a masticarlo
quando viene suonato all'inizio di una partita.
Gli americani, invece, ci tengono
eccome al loro inno. Perché loro il senso della nazione ce l'hanno più di noi e
anche perché, diciamoci la verità, The Star-Spangled Banner è un po'
più bello di Fratelli d'Italia.
Qualche anno fa ci fu un certo
dibattito sull'opportunità di sostituirlo, e qualcuno propose addirittura la
Marcia trionfale dell'Aida, poi non se ne fece nulla. Certo che la musica del
maestro Giuseppe Verdi è tutt'altra cosa rispetto a quella del maestro Michele
Novaro.
Ma sto divagando. Quando andavo
allo stadio Olimpico non c'era ancora l'inno della Roma di Venditti, i
calciatori non avevano il nome sulla maglietta e i numeri andavano dall'1
all11. Lo schema era semplicissimo: un portiere, due terzini, tre mediani, due
ali, due mezze ali e un centrattacco. Senza tante pugnette tattiche come oggi.
Fino agli anni sessanta, se un giocatore si faceva male non poteva essere
sostituito e doveva rimanere in campo. Lo si metteva in genere all'ala
sinistra, dove bivaccava claudicando, e in generale veniva ignorato dagli
avversari perché ritenuto innocuo. Così qualche volta ci scappava il gol dello
zoppo. Me ne ricordo uno di Giacomino Losi, di testa. E non era un gigante.
Altri tempi, quando le righe si
facevano con la polvere di calce e il pallone era ancora di cuoio,
rigorosamente color cacca.
Meglio, peggio? Giudicate voi.
Sicuramente diverso, ma per fortuna quei ricordi sono ancora nella mia testa e
nel mio cuore.
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