venerdì 28 aprile 2006

La Chiesa vs Il Codice da Vinci

Francamente mi riesce difficile capire il motivo dell'avversione che le alte sfere della chiesa cattolica romana hanno dimostrato nei confronti del Codice Da Vinci, il bestseller di Dan Brown, fin dal momento della sua pubblicazione. E' stato un continuo di interventi critici, di condanne, di anatemi dal sapore medievale (o, se preferite, islamico), dai piccoli parroci di paese allo stesso Pastore tedesco (così titolò al momento dell'elezione di Benedetto XVI il quotidiano di Rifondazione, che quanto a titoli ne sa una più del diavolo). Manca solo la condanna a morte e siamo a livello dei Versetti satanici di Salman Rushdie.

In fondo stiamo parlando solo di un romanzo, di un'opera di pura e semplice fiction. Non è un trattato dottrinale, né ha pretese di esserlo, ma evidentemente ha toccato un nervo scoperto. Guai a chi scalfisce i dogmi dell'ortodossia cattolica, anche solo in forma narrativa. Guai a chi mette in dubbio le certezze sancite da generazioni di teologi nel corso di due millenni.
E invece io consiglio il romanzo a tutti quelli che non l'hanno letto. E' una macchina perfetta, di godibilissima lettura, e ricca di stimoli ad approfondire la storia un po' nascosta dietro il velo della santa ufficialità. E quando fra pochi giorni uscirà il film, facendo violenza alla mia ormai inveterata pigrizia probabilmente andrò a vederlo. Alla faccia di chi vorrebbe impedirmi di ragionare con la mia testa.

mercoledì 19 aprile 2006

Pasqua a Roma

Per Pasqua sono stato a Roma, la città in cui sono nato e in cui sono vissuto fino a trent'anni. La città dove ancora vivono tanti miei parenti. La città dalla quale in pratica sono scappato, rifugiandomi in una regione tranquilla e contadina, passando nel tempo dalla grande città alla piccola città, dalla piccola città alla campagna. La prossima tappa è l'isola deserta o il faro sul promontorio.

Ogni volta che torno a Roma non vedo l'ora di fuggirne. E' troppo rumorosa, troppo sguaiata, troppo affollata, troppo sporca. Una sgualdrina senza più classe, appesantita dal trucco, incapace di sedurre se non con i suoi aspetti più vistosi e celebrati (che ai miei occhi di romano non possono più avere lo stesso fascino), con il ricordo di una bellezza fatta merce a basso costo per torme senza fine di turisti frettolosi, fagocitati dall'industria esasperata del turismo. Una Roma da supermercato.
La ricordo ancora com'era negli anni cinquanta e inizio dei sessanta, bella ma vivibile, senza troppo traffico, profumata in tutte le stagioni, incantevole perché non ancora artefatta, non ancora trasformata in metropoli, non ancora messa in (s)vendita, né svilita da molti suoi figli. Era forse la Roma che amò Fellini e che lui ritrasse così bene nel suo film che proprio dalla Città Eterna prendeva il nome. Nostalgico anche lui nel descriverla com'era prima e durante la guerra, e già capace di coglierne le trasformazioni, l'involuzione, la decadenza. Sarà il destino di tutte le grandi città, forse, che ingoiano fameliche e insaziabili il proprio passato e non sanno proporre un presente altrettanto fascinoso, per non parlare del futuro, che già si intravede nella cementizzazione senza pudori.
Ci sono solo due cose che rimpiango di Roma, oltre al ricordo di com'era una volta: il clima e l'acqua. Lì non c'è bisogno di cappotti, tranne per poche settimane d'inverno. E non c'è bisogno di acqua minerale, perché quella che sgorga dalle mille fontane e fontanelle (i nasoni, per i non romani) è una delizia impareggiabile. Troppo poco per cambiare idea e tornare sui miei passi.

martedì 11 aprile 2006

Risultati elezioni 2006

E così questa kermesse elettorale è finita, forse. Salvo ricorsi, contestazioni, richieste di nuove elezioni. Proprio quello che non ci voleva per un'Italia già debole. Quasi tutti potranno affermare di aver vinto, e qualcuno a buon diritto. Un ritornello che già conosciamo. Mi sia concessa solo qualche personalissima osservazione.

I sondaggisti hanno fatto la più magra figura che si ricordi. Non ne hanno azzeccata una. Si giustificano col dire che questa è la scienza statistica e che loro non possono farci niente. Bene, allora a che servono i sondaggi? Se la statistica è quella cosa per cui, se tu mangi due bistecche e io nessuna, è come se ne avessimo mangiata una a testa, allora non so che farmene. Tutti a casa, la prossima volta, e quei soldi (miliardi, mica bruscolini) si risparmino per iniziative più degne.
A mezzanotte di ieri sera, nove ore dopo la chiusura dei seggi, ancora non c'erano i risultati definitivi, non dico per la Camera, ma nemmeno per il Senato. E questo in una tornata elettorale in cui non c'era nemmeno il voto di preferenza. Che fa questa gente, dorme? Oppure è il Viminale che non funziona? In ogni caso c'è qualcosa da rivedere. Questi strampalati meccanismi per cui se al Senato la maggioranza sia pur risicata degli italiani vota per X, rischia di vincere Y a seconda dei risultati nelle varie regioni, mi sembra un'emerita fesseria. E non mi convince nemmeno il premio di maggioranza alla coalizione che vince alla Camera. Io sono per le cose semplici. E allora viva il semplice proporzionale di una volta, duro e puro, magari con sbarramento. Basta con queste accozzaglie di partiti e movimenti improbabili. Fra qualche secolo, quando saremo diventati una nazione politicamente matura, potremo tornare al maggioritario.

giovedì 6 aprile 2006

Le donne arabe potranno entrare in biblioteca

E' di qualche giorno fa la notizia che dopo quasi cinquant'anni le donne arabe potranno entrare in biblioteca. Sì, avete capito bene. In Arabia Saudita le donne non potevano accedere alle biblioteche, e adesso, grazie alla lungimiranza dei loro governanti, potranno farlo. Naturalmente non così, sic et simpliciter. Eh no, non chiediamo troppo. In certi orari e in certi luoghi, sempre sotto il rigido controllo dei maschi. Si sa, la biblioteca è galeotta, hai visto mai che qualche svergognata possa approfittarne per fare qualcosa di diverso dal leggere. Però la donna nei paesi musulmani è al centro dell'interesse sociale. Guai a chi la tocca, e la vede. Chi se ne frega se poi è anche un essere umano e ha voglia di fare cose da essere umano. Vivere, per esempio.

lunedì 3 aprile 2006

Il caso Tommaso Onofri

Ahi, com'è forte la tentazione di dire "al rogo, al rogo!" quando si sentono brutte storie come quella del piccolo Tommaso. Per me (per tutti, spero) è impensabile già solo l'idea di rapire un bambino, di strapparlo alla sua famiglia, di creargli nel migliore dei casi un trauma dal quale forse non si riprenderà mai. Figuriamoci ucciderlo, o lasciare che, per imprudenza, menefreghismo o semplice incapacità, perda la vita. Ce l'ho avuta anch'io quella tentazione, e ce l'ho ancora, mi impedisce di cedervi non tanto l'idea che ogni criminale sia redimibile (hanno voglia a redimersi, gli assassini di Tommaso) quanto la prospettiva che, una volta aperta la porta, diventi impossibile richiuderla

E allora che dire? Niente. Spero solo che fra qualche anno, fra benefici di legge, buona condotta e condoni, non ce li ritroveremo fra i piedi riaprendo le stucchevoli tavole rotonde sulla giustizia ingiusta. E' troppo chiedere che esseri così abominevoli crepino in galera?